Fin dall'incipit, dalle polifonie gotiche di Faithful Servant Friend Of Christ, un affresco non distante da certe pagine Dead Can Dance, si è capito che il difficile terzo album di Kristin Hayter sarebbe stato naturalmente evolutivo rispetto ai due miliari precedenti. Un disco sfaccettato e composito, lunghissimo, che ha richiesto più attenzione e concentrazione per essere assimilato. L'effetto finale, per quanto l'impressione continui a restare altissima, è che l'immediatezza sia stata sacrificata in nome di una maggiore cura dei dettagli. Spicca infatti il coinvolgimento di diversi musicisti a sostegno (cello e violino, batteria e percussioni sparse, qualche sgocciolìo di elettronica) delle 11 composizioni, che raramente vedono la Megachurch Mom in perfetta solitudine come in passato.
La base di partenza resta la dolente sonata piano/voce, per mezzo della quale si dipanano le sfuriate harsh, le mazzate doom (Day of tears and mourning ricorda vagamente i Locrian), le orchestrazioni a pieni giri (Spite alone holds me aloft, I Am The Beast), in un labirinto difficilmente estricabile. Se si trattasse del disco di una esordiente i toni sarebbero forse più entusiastici; l'impressione generale è che si sia trattato di un episodio di transizione. Ma è la transizione di una fuoriclasse, ed è inevitabile renderle omaggio, ancora una volta.
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