Visualizzazione post con etichetta Post-Dub. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta Post-Dub. Mostra tutti i post

mercoledì 29 giugno 2022

Pop Group – Y In Dub (2021)


Simpatica operazione del Pop Group che rispolvera le bobine originali di Y e le rimette in mano al produttore Dennis Bovell con l'intento di manipolarle, rimasticarle e tirarne fuori una versione in lucido, scintillante spirito dub. Ovvero uno degli ingredienti più latenti nel dna del PG; ne faceva parte, ma come tutto il resto non predominava mai, restava un po' sullo sfondo, si amalgamava in quel titanico meltin' pot grazie soprattutto al bassone di Underwood, la cui opera finalmente riesce a riemergere nella superba equalizzazione generale.

Y non aveva certamente bisogno di questo auto-tributo per essere rivalutato, ma dopotutto una spolverata sta sempre bene, soprattutto a chi non l'avesse mai ascoltato. In Dub rimescola anche la scaletta, rivoluziona gli assetti, non opera una fusione chimica ma scombina e scombicchera con cognizione di causa. 42 anni sono un'eternità, ma il PG ha ancora voglia di sconvolgere e farci dimenare anche e cervello.

venerdì 19 novembre 2021

Al Cisneros ‎– Apple Pipe 7" (2020)


Dopo diversi anni di assenza, il ritorno di AC alle sue fulminee scorribande dub strumentali che mi piacerebbe ascoltare prima o poi sul formato lungo. Il suo è un rispettoso tributo a questa nobile tradizione giamaicana, ed in questo 7" i titoli anzichè indugiare sulle tematiche cristiane vertono sull'aspetto pratico meditativo (il gioco di parole Apple Pipe lascia i pochi dubbi al retro, No Tobacco...). Sul contenuto, poco da dire: 2 x 04 minuti plastici di sezione ritmica con un arabesco di fiati intercalato, immancabilmente mistico e visionario. Si può ascoltare anche 10 volte di fila, l'effetto è terapeutico.

giovedì 5 agosto 2021

Fishmans ‎– Long Season (1996)

Splendida scoperta, con un notevole scarto temporale dovuto anche alla relativa oscurità destinata agli acts giapponesi che per una serie di motivi non vengono esportati. I Fishmans furono una band attiva lungo gli anni '90 che iniziarono con crossover ska-dub-reggae ma durante il decennio vissero un'evoluzione che li portò a questo autentico capolavoro Long Season. Si tratta di un raffinatissimo e multiforme pezzo di 35 minuti, in bilico fra dream-pop, dub, psichedelia ovattata, minimalismo, che riesce a mixare i classici segni distintivi del melodismo nipponico (rilevabile soprattutto nella voce del cantante, che in questo contesto riesce ad inserirsi egregiamente) con alcuni capisaldi occidentali di grande statura come l'ambient-rock e lo shoegaze. La suite funziona come un flusso unico dal meccanismo ingegnoso, in cui i vari strumenti solisti si cedono a turno le luci dei riflettori ed i rimandi compositivi si rincorrono a distanza. A me ha ricordato a sprazzi gli Insides di Clear Skin, i Can di Dizzy Dizzy (lo stile del batterista è abbastanza vicino a Jaki Liebezeit) e persino la versione dilatata di Does Caroline Know che i Talk Talk eseguivano dal vivo nei loro ultimi concerti, nel 1986. Un gioiello che dà dipendenza immediata.

 

sabato 13 giugno 2020

Om – BBC Radio 1 (2019)

Ho apprezzato gli arabeschi ed i misticismi di Advaitic Songs, ma li ho ritenuti un piccolo passo indietro rispetto all'ispirazione divina di God Is Good. Passati 8 anni, speravo in un nuovo album, invece lo scorso Ottobre è uscito un live alla BBC di mezz'ora, che propone per 3/4 materiale di AS, riservando a GIG soltanto la divina Cremation Ghat.
Non molto da dire, quindi, se non una più che valida occasione per tornare all'ascolto, per far scaldare il nuovo polistrumentista Tyler Trotter (uno del giro Zak Ryles, nonchè militante nei Watter), nonchè per saggiare le acrobazie di un sempre più scatenato Emil Amos. E confidare in un ritorno in studio, chè di questi tempi abbiamo sempre più bisogno di un conforto interiore.

venerdì 1 marzo 2019

Om – God Is Good (2009)

Abbiamo apprezzato la reunion degli Sleep ed anche il ritorno dei Grails, ma senza che neanche ce ne siamo accorti sono ormai sette anni che gli Om non fanno un disco nuovo, così il decennale è l'occasione buona per andare a ripescare il loro massimo capolavoro, quel God Is Good che avevamo potuto saggiare dal vivo pochi mesi dopo l'uscita. Primo disco con il grande Emil Amos e registrato come sempre impeccabilmente da Steve Albini, sorprese in positivo per il parco innesto di nuovi strumenti (chitarra, piano, flauto), contiene la suite definitiva del metal-mantra Thebes, rotolante ed ossessiva, la meditazione Mediation is the practice of death, la Cremation Ghat in due parti, divisa fra freddo dub bianco (con una parte di basso che non credevo Cisneros fosse in grado di elaborare) e splendida aria indiana, con un orchestrazione da brividi (e l'evidente mano di Amos, ormai uno specialista di queste creazioni). Tre anni dopo Advaitic Songs si porterà un po' più in là come ambizione, ma senza la necessaria lucidità per confermarsi a questi livelli.

mercoledì 21 novembre 2018

.O.Rang - Fields And Waves (1997)

L'ethno-dub più lussureggiante e variegato che mai dei due ex-Talk Talk, purtroppo destinato ad essere l'ultimo in quanto Paul Webb si disinteressò al progetto, portandolo di fatto allo split nonostante un terzo album fosse in cantiere. Disco molto più prodotto e curato del precedente, Fields And Waves schiera uno stuolo di musicisti aggregati fra cui i più rinomati furono Beth Gibbons dei Portishead e Graham Sutton dei Bark Psychosis, e brilla in modo particolare per le innumerevoli soluzioni che i due talentuosissimi musicisti sapevano apportare a composizioni avvincenti, nonostante restassero flussi di coscienza diluiti. Un peccato che si fermarono qui; a modo loro, anche questo era post-rock illuminato.

sabato 30 giugno 2018

Scorn ‎– White Irises Blind (1993)

Mini-lp uscito a poca distanza da Colossus, dal quale deriva la title-track; di quel grande disco era la traccia più leggera e lineare, fantasmatica se vogliamo, senza dubbio la più musicale e meno ossessiva del lotto. Questo stava a segnalare un imminente cambio di direzione per il duo Harris-Bullen, un liberarsi delle ultime zavorre post-metal e post-industrial per librarsi in un dub elettronico spettrale ed immagignifico. Di fatto questo 5 tracce è una questione di remix: della Minimal mix della title-track, virata in chiave trip-hop con un buon lavoro di chitarra, al dub galattico di Black Ash Dub, allo statico rantolo industriale di Drained, si chiude in grande stile con Host Of Scorpions, una versione raffinatissima di quello che forse era il miglior pezzo di Colossus, ovvero Scorpionic. Manco a dirlo, una perla scoperta su Mental Hour. Inaudita fino a pochi mesi prima, tanta era la velocità di movimento dei due.

lunedì 20 giugno 2016

Bill Callahan ‎– Have Fun With God (2014)

Capita, che un vecchio idolo col tempo ti piace sempre meno perchè sostanzialmente finisce per fare semi-cover di sè stesso oppure cerca di reinventarsi goffamente. Così è capitato a me con BC e Have fun with god si è rivelata una mossa davvero sorprendente, di quelle che ti fanno rivalutare il personaggio.
E' andata che BC nell'estate del '13 pubblica un 12" contenente due rivisitazioni in chiave dub di pezzi estratti dall'appena uscito Dream River. La cosa lo prende parecchio e neanche 6 mesi dopo doppia tutte le 8 tracce della scaletta con altrettanti remix.
Il motivo per cui amo tanto questo disco, forse, è perchè non ho mai ascoltato Dream River. Perchè forse quel disco mi avrebbe stancato dal primo all'ultimo minuto ed allora l'idea di sorbirmene una versione dub non l'avrei neanche presa in considerazione. Che poi, che cosa c'entra BC col dub? Ne ha mai avuto a che fare?
Da questo imprevedibile gemellaggio ne esce un flusso magico in cui la poetica statica e l'eleganza formale di BC se ne restano sullo sfondo mentre tutto attorno c'è uno stop & go ultra-riverberato di percussioni caracollanti, basso sinuoso in rilievo, flauti, la voce in delay, una chitarra che sa alla perfezione quando entrare e quando uscire. Un contrasto di quelli che li ami o li odi (ho visto fra le recensioni addirittura un 3/10), il songwriting lucidissimo e composto con le stonature, gli echi incontaminati e la profondità di un dub bianco che entra gentile in un campo inedito e non ha paura di giocarsela. E vince.
Relax carismatico.

lunedì 21 marzo 2016

Al Cisneros ‎– Toward Nazareth (2014)

Sempre più illuminato dalla fede e dall'iconologia cristiana, il buon Al da 3 anni a questa parte si è dato al Dub ed ha rilasciato una manciata di 7 pollici, alcuni in proprio sulla sua label personale Sinai ed altri sulla Drag City come questo 12".
La particolarità di tali singoletti è che, nonostante titoli differenti, i pezzi sono gli stessi su entrambe le facciate (a meno di essere incappato in una serie di sviste colossali). Una scelta difficilmente spiegabile, soprattutto a chi li ha comprati.
Toward Nazareth segna un progresso di stile e quantità; 5 pezzi, numero dispari. 2 su 3 sono ripetuti, però guardacaso sono per adesso i migliori dell'esiguo repertorio. Come si poteva intuire da alcune tendenze in Advaitic Songs, il dub spettrale e misticheggiante potrebbe essere il centro della maturità di Cisneros, e queste potrebbero essere le prove generali. Si tratta di mantra spiritati e solenni (la title-track), grooves caracollanti e rilassanti (Indica Fields), grooves notturni e sinistri (Yerushalayim). L'effetto ipnotico è a dir poco garantito; io riesco ad ascoltare l'EP anche diverse volte di seguito senza stancarmi. Eccellente.

domenica 12 luglio 2015

O Yuki Conjugate ‎– Sunchemical (1995)

Fondati ad inizio anni '80 sulla scia della post-wave più avventurosa, gli inglesi OYC hanno rilasciato pubblicazioni abbastanza sporadiche e a tutt'oggi non si hanno notizie dal 2010 in cui pubblicarono l'ultimo disco, peraltro una raccolta di inediti risalenti ai primi tempi di vita.
Nel momento più affollato, a metà '90, si erano assestati in uno stile abbastanza definito ma anche personale, fatto di elettronica trance allora in voga, dub spettrale, percussioni etniche e relax ambientali. Sunchemical è perfettamente rappresentativo della tavolozza, contiene 6 remix e ciascuno ha il titolo di un elemento della tavola periodica
Riservato agli amanti di queste sonorità, oggi ancor così affascinanti checchè se ne dica.

mercoledì 5 febbraio 2014

Terminal Cheesecake - Angels In Pigtails (1990)

Stranissima band londinese attiva fra la fine degli '80 e la metà dei '90, partita da un substrato acid-rock di quelli belli cattivi fino ad elaborare una mistura fra wave deviata, industriale spinto e sperimentalismi un po' amatoriali ma shockanti.
Di questi tre elementi è formato Angels in Pigtails: lasciando il proto-stoner ad una metà dei pezzi (a tratti così abrasivo da lambire il noise-rock come in Inbred 73, in cui sembra di sentire gli embrioni dei Pissed Jeans!), una certa ispirazione proviene dai Pil di Metal Box (dub scarnificato, batteria riverberata) e da Y del Pop Group (collages avanguardistici, che girano un po' a vuoto a dire la verità). Se dal titolo dell'opening track, Chrome, si può pensare quale fosse la loro musa, all'ascolto del complesso si rimane abbastanza delusi. Ne deriva un disco troppo frammentario e casinista per essere apprezzato; forse l'idea originale era troppo ambiziosa per i mezzi in dote ai Terminal. In un'area affine, soltanto i Blind Idiot God sono riusciti a fare centro, ma le basi di partenza erano ben altre.

mercoledì 25 dicembre 2013

Mark Stewart + Maffia - Learning To Cope With Cowardice (1983)

Si potrà disquisire sul fatto che Stewart abbia dato le sue prove migliori grazie ai musicisti che lo spalleggiavano, che il suo strumento-voce di certo non sarebbe stato così peculiare sopra ad un altro suono. Ma non si può dubitare del fatto che fino a metà '80 sia stato un fenomeno portatore della bandiera della fusione fra musica nera e bianca creando mostri irripetibili.
Seppur accreditato anche al trio Maffia, Learning è all'80% di sua penna ed è immancabilmente un caposaldo di dub fantasmatico ambientato su un altro pianeta, e neanche nel sistema solare. Quasi impossibile riuscire a descriverlo, tanto è movimentato e spettacolare, col climax incredibile di Jerusalem, che catapulta l'alieno in una terra santa di samples sinfonici e cori di preghiere così, come se nulla fosse.
Geniale è dire poco.

venerdì 25 ottobre 2013

Scorn - Gyral (1995)


Nel giro di un paio d'anni, la sigla Scorn subisce una di quelle mutazioni che ha velocità maggiore della luce. Harris si ritrova da solo, senza più Bullen, ed abbandona egli stesso la batteria per diventare un musicista elettronico. Gyral  è un coacervo di ritmi anemici e di emissioni di elettronica algida, in cui non è più rimasta traccia nemmeno del dub: l'unica parvenza musicale resta un piano minimalista che ogni tanto fa capolino.
Ricordo che ai tempi divise: da un lato i recensori amanti dell'elettronica salutarono Harris come un nuovo paladino, dall'altro gli scettici art-metallari lo salutavano e basta al proprio destino. Certamente non ha sconvolto la storia, ma il sound da bassifondi di Gyral mantiene intatto il proprio fascino lunare, ancora dopo 18 anni.

venerdì 26 luglio 2013

Peaking Lights - 936 (2011)

Mancava all'appello della corrente new-weird America una coppia così, tutta colorata e così beatamente gioviale, ovviamente su Not Not Fun. I due sposi del Wisconsin sono andati a colmare un'area che forse era ancora scoperta: il dub.
Detto in una parola, 936 è assolutamente irresistibile. Le profonde linee di basso, i ritmetti digitali, i synth e gli organetti a manetta, le schitarrate sparse, e la voce algida, quasi fredda della Dunis, sono tutte parti integranti di un lungo, godevolissimo flusso di coscienza che fa ricorso a linee melodiche fresche, per non dire pop.
Si è parlato anche di tropicalizzazione, e non a torto; se Sun Araw ha fissato un nuovo standard di psychedelia dell'equatore, i PL rispondono a gran voce con queste splendide e scanzonate songs che ascolto a ripetizione. Non annoiano, non stancano, rilassano e fanno muovere il bacino, stimolano il cervello e regalano anche qualche bella emozione sincera (All the sun that shines, Amazing and wonderful su tutte).
Grandi, peccato che il successivo Lucifer dell'anno scorso non si sia ripetuto su questi livelli.


martedì 20 settembre 2011

Jah Wobble - Deep Space (1999)

Confesso di essere un po' indietro su Wobble. Sono molto legato alle sue prime produzioni, Betrayal e Bedroom album, che adoro, ma poi come spesso succede tendo a diffidare di chi inonda il mercato con decine e decine di dischi. Sull'ultimo Blow Up c'è un lunghissimo servizio di Zingales che li passa praticamente tutti, così ho deciso di pescare uno dei consigliati di metà carriera, e devo dire che ne valeva la pena, specialmente per la prima parte.
The immanent è un immagignifica immersione di 13 minuti nell'oceano dell'ambient-dub e della psichedelia più etnica, perseguita dai metafisici 12 di The trascendent che tiene fede al titolo. Il basso di Wobble, umile leader, tiene la guida senza mai salire sopra le righe, neanche quando è pronunciato e bombato in Disks, Winds And Veiling Curtains. Splendido il mantra celtico di Funeral March, per cornamuse, percussioni e bordoni d'organo impenetrabili.
Il dub-beat elettronico di Girl Amazed, con voci femminili in sottofondo e la tiritera di fiati sintetici di Debussy turning to his friend chiudono in tono un po' minore, ma Deep space resta comunque un gran bel trip.

giovedì 1 settembre 2011

Ui - Sidelong (1996)

Negli anni d'oro del post-rock, chi incideva su Thrill Jockey o Southern aveva possibilità di ottenere una buona esposizione. Ma i newyorkesi Ui dalla branca cercavano di fuggire, nonostante la formazione facesse sospettare subito l'adesione; due bassi, Jones e Waldmann, ed un batterista, Wright. Il loro semmai era un funk-dub contaminato, rallentato e passato sotto un filtro leggermente jazz. Che, a parte qualche influenza palpabile (i Liquid Liquid nelle fasi più percussive, i Can un po' appannati del 1976-77) finisce anche per essere abbastanza peculiare.
Peccato che un po' di manierismo ed autoindulgenza in Sidelong inficino leggermente il complesso, rendendolo poco più di un gran bel sottofondo; il basso-base snocciola belle linee sinuose, l'altro si incarica delle funzioni armoniche con ghirigori spesso dissonanti, la batteria indugia su frasi percussive insistite, quasi ipnotiche. Qualcosa del primo disco dei Tortoise affiora, ma senza la stoffa di McEntire e compagnia. Sarebbe stato meglio evitare qualche frase di chitarra solista (presumibilmente suonata da Jones), ingombrante ed inopportuna.
Bravini ma passabili.

martedì 3 maggio 2011

Rome - Rome (1996)

Chicago, Thrill Jockey, 1996. Tre comuni denominatori che corrispondono a Millions dei Tortoise, ma anche a questo dimenticatissimo trio che realizzò un solo disco e poi, a quanto mi pare di verificare, è scomparso nel nulla. Oppure è stato risucchiato dal buco nero sprigionato da queste sulfuree, spaziali emissioni.
Non erano soltanto coraggiosi e avventurieri, questi romani d'america. Erano veramente avanti, ai tempi in cui il post-rock imperava e la brillante label dava loro l'opportunità di avere una certa visibilità nonostante fossero piuttosto distanti da quelle coordinate.
Alquanto difficile definirli: una specie di dub modificato geneticamente, sfigurato, corroso da samples e da slabbramenti rumoristici, in cui il basso suona in modo del tutto anticonvenzionale, e la ritmica è fratturata. Suoni autenticamente lunari (per l'appunto uno dei migliori pezzi si chiama Lunar White), ai limiti dell'industrial in certi tratti (Intermodal, Radiolucence), refrattariamente statici-ambientali (Leaving perdition, con una lucente melodica in evidenza). L'ultima traccia, Deepest laws, assume i contorni della suite con prima parte a base di gorgoglii allucinanti e seconda improntata su un beat di cassa costante, rullate quasi tribali e samples ronzanti.
Non so quanta percentuale di improvvisazione ci fosse in questi solchi imprevedibili; ma dopo 15 anni occorre rammaricarsi del fatto che non c'è stato un proseguio a questo brillante saggio di avanguardia.

mercoledì 30 giugno 2010

Jah Wobble - Bedroom Album (1983)

Niente male come progressione per uno che proveniva dal punk, che era famoso per le risse e che si dice sia stato introdotto al basso da Vicious, che notoriamente non sapeva suonare. Bedroom Album è il suo capolavoro della prima fase, in cui si smarca da tutto e tutti e affronta un trip misticheggiante dalle mille sfumature e coloriture. Dub, reggae, arabia, africa, bossa nova e quant'altro possibile, a condizione che sia contraddistinto dalla visionarietà di questo artista bianco dal sangue oriundo.
Realizzato con il contributo del chitarrista Maltby, il disco è ovviamente imperniato sulle profondissime linee, ma è costruito con arrangiamenti che lasciano spazio a percussioni, synth, flautini, melodiche e persino la voce incerta e stonata di Wobble, peraltro perfettamente in tema con le atmosfere "sballate".
Fra i pezzi migliori, la dilatazione afro di Fading, il circolo vizioso di Long long way, il dub arabeggiante di Invaders of the earth, il post-metalbox di Concentration camp, il miraggio di Desert song.
Tutto è deliberatamente lo-fi, ricco di mistero e minimale.

(originalmente pubblicato il 29/01/2010)

mercoledì 26 maggio 2010

'O'rang - Herd of istinct (1995)

La leggendaria sezione ritmica dei Talk Talk, orfana del reietto Hollis (anche se Webb aveva già abbandonato ai tempi dell'ultimo disco) che si mise in proprio con questo progetto squisitamente etnico, con qualche inflessione della band madre, in un lavoro quasi esclusivamente strumentale e di grande originalità. Ovviamente lo scheletro portante è fornito da basso e batteria, con giri e ritmi ipnotici, sopra i quali divampano fuochi world di percussioni, fiati, tastiere di vario tipo. Il fascino lisergico dell'opening track, O.rang, è uno dei momenti migliori di un albo di grande fantasia e ricchissimo di colori, frutto di improvvisazioni collettive aperte a soluzioni imprevedibili fra inflessioni arabeggianti, psichedelia pura, ambient, reggae, elettronica, dub e tutto ciò che va dietro ad essi.
Impenetrabili e padroni della situazione. E con un destino simile al loro ex-capo, cioè di scomparire negli ultimi 10 anni. Speriamo che ritornino (tutti, ma non necessariamente insieme).

(originalmente pubblicato il 23/04/09)

martedì 4 maggio 2010

Moonshake - Eva Luna (1992)

Un dub inaudito e ri-adeguato a cavallo degli anni '90, quello dei Moonshake. Sospesi fra etnicismi, chitarre indie e rimembranze wave intransigenti, coniarono uno stile altamente originale e mutante, in parte dissonante e in parte melodica. Largamente dominato da una sezione ritmica dub-wave, Callahan e la Fiddler si occupavano dei compiti vocali (il primo) e le sfilettate chitarristiche (la seconda), con fiati, campionamenti e vari effetti a corredare il tutto.
Fra soluzioni grintose e digressioni lunari, spicca su tutti un pezzo come Secondhand clothes, che inizia come i Pop Group e poi esplode in una gragnuola chitarristica quasi metal, con contorno di fiati deliranti.
Originalissimi.

(originalmente pubblicato il 19/10/08)