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sabato 2 luglio 2022

Crass – The Feeding Of The Five Thousand (1979)

 

Se Station of the Crass fu il loro insuperabile manifesto in quanto mirabolante punto d'incontro fra rozzezza e servizio informativo/accusatorio, The Feeding of the 5000, che lo precedette temporalmente, fu la divertente esplosione dell'anarco-punk più sardonico ed elementare, l'istantanea di un gruppo che stava imparando a mettere in fila tre accordi e sciorinava una trafila irresistibile di anthems al fulmicotone (Do they owe us a living?, General Bacardi, Punk is dead, Banned from the Roxy, So What?) registrati in un bunker totalmente privo di qualsiasi riverbero, con un paio di varianti a base di grattugie, onde radio e bestemmioni, tanto per farsi riconoscere subito e farsi costringere alla censura ancor prima di esordire (manco da un'autorità qualsiasi, bensì dagli operai della fabbrica che stampavano i vinili). Sempre unici, dall'inizio alla fine.

domenica 10 aprile 2022

Erase Errata ‎– Other Animals (2001)


Il fulminante esordio delle Erase Errata, 15 tracce di lunghezza massima appena 3 minuti, una formula che incontrò seduta stante il favore della critica. La chitarra aspra ed arzigogolata di Sara Jaffe, la voce cantilenante (una specie di Siouxsie meno enfatica) di Jenny Hoyston, la sezione ritmica sincopata e sempre di Bianca Sparta ed Ellie Erickson), ed un drappello di pezzi caustici quanto irresistibili. Pop Group, Gang Of Four, Gun Club, quell'oncia di follia cubista e dissonante del Capitano che poi emergerà implacabilmente sul terzo Night Life. Nessuno spazio all'approssimazione, giusto un paio di riempitivi per spezzare il saliscendi dei ritmi, caracollanti e sghembi. Essenziale.

lunedì 10 gennaio 2022

Aburadako - 2004 (Tunnel)


Tre decenni di Aburadako: il punk e l'art-hardcore degli anni '80, il sofisticato math-rock degli anni '90, ed infine il paradossale decennio Zero, con soltanto due dischi di cui questo Tunnel del 2004, con ogni probabilità il più cervellotico della loro discografia, definito infatti dall'ottimo Federico Savini un tributo (più o meno volontario) a Lick My Decals Off Baby del Capitano ed alla sua estrema complessità, alle sue partiture impossibili ed alle sue digressioni vagamente blueseggianti, di quel blues che tal vien richiamato soltanto per similitudini beffarde che per le strutture.

Hasegawa, per conto suo, non fa nulla per evitare il confronto. Il suo metodo compositivo sembra proprio quello di DVV. Non è più l'urlatore alla carta vetrata del passato, ma l'effetto della sua verbosità non è meno caustico: sono le capacità del super-trio alle sue spalle ad impressionare persino più che in passato, col chitarrista Masato esclusivamente su toni puliti.

Nella cartella c'è un bonus di 24 minuti, che potrebbe essere il disco del Fiume, ovvero la pubblicazione del 2002, (come sempre, impossibile ricavare qualsiasi informazione) un unico pezzo piuttosto strano per i loro standard, lineare e vagamente psichedelico, con dei passaggi quasi slintiani. Forse un esperimento per disorientare il proprio pubblico, posto dopo Tunnel ha un effetto quasi rilassante.

domenica 12 settembre 2021

Half Japanese ‎– Loud (1981)


Dopo il ciclopico debutto vinilico dell'anno precedente, ai fratelli Fair venne un'ideuzza niente male: triplicare la line-up con elementi affini, raggiungendo la quota di triplo duo: due chitarre, due batterie, due sax. La ricetta di fondo, sempre quella: follia brada e pedale sul gas. Il risultato, un art-free-jazz-punk spastico e deforme, irresistibile sagra naif, più loud e lo-fi che si potesse. 

Difficile, quasi impossibile separare una di queste 20 schegge impazzite della durata media di 2 minuti: Loud fu fatto per essere ascoltato interamente, senza alcuna sosta, per assimilare al meglio questi cingoli abrasivi ricoperti di schegge di vetro. Jad Fair singhiozza belluino, i due sax starnazzano incontrollati, le chitarre raschiano selvatiche, le batterie rullano e spiattazzano incessanti. 

Ma guai a sostenere l'idea della totale disorganizzazione alla radice. I più attenti lo sanno da 40 anni, ed ancora oggi ci tengono a precisare che gli Half Japanese avevano tutto ben chiaro in testa e lo mettevano in campo con grande lucidità. Che poi il risultato fosse un audio-shock, beh, era esattamente l'obiettivo.

mercoledì 14 luglio 2021

MX-80 Sound ‎– Hard Attack (1977) (2013 Reissue)

 Ristampa del primo, strano, album degli MX-80, con un cd bonus che preleva una decina di outtakes pre-produzione ed una ventina di live sparsi fra il 1976 ed il 1978, fra cui anche qualche traccia presa di peso dal Live At The Library già conosciuto. Strano perchè il quartetto dell'Indiana venne scovato in qualche modo dalla Island, la quale rilasciò il vinile esclusivamente in Europa. Stramberie degli anni '70, mentre in America continuavano ad essere totalmente sconosciuti. Hard Attack, tenendo fede al proprio titolo, metteva in mostra un art-punk al vetriolo sofisticato, un po' disordinato e disomogeneo, ma che già possedeva il lucido marchio terroristico dei 4 figuri. In rilievo un Bruce Anderson squisitamente hendrixiano, un po' vanesio nei suoi spericolati assoli. Insomma, un esordio immaturo alla luce di ciò che faranno: nei 2 anni successivi, infatti, metteranno ordine dappertutto e migreranno alla corte dei Residents, per fare finalmente le cose sul serio

giovedì 16 aprile 2020

Half Japanese ‎– Sing No Evil (1985)

Dopo qualche anno nel music biz, i fratelli Fair dimostravano di saperci fare e che non erano lì per caso. Le iperboli naif-punk dell'urticante esordio erano belle superate, ed il 4° album li caratterizzava con un approccio molto più professionale, grazie anche alla pattuglia di musicisti (una decina) utilizzati.
Una sorta di caos ben organizzato, omogeneo, senza sbavature macroscopiche, con evidenti derive blues (!) e pop, con il dispiego costante dei fiati. Sembravano veramente un altro gruppo, anche se il tratto demenziale di fondo restava (bastava la sgraziata voce di Jad a garantire). Ovvero come suonare sciatti ma professionali al tempo stesso, essere naif ma consapevoli.
Non resta certo ricordato come il loro capolavoro (i primi due restano insuperati, ovvio), ma nella loro discografia è un anomalia di normalità. Questo basta.

domenica 12 aprile 2020

Wire ‎– The Peel Sessions Album (1989)


La raccolta delle 3 Peel Session fra il 1978 ed il 1979, ovvero Storia Della Musica moderna.
1) Gennaio 1978: neanche 10 minuti, di cui soltanto 1 dedicato a Pink Flag. Sempre proiettati in avanti, gli Wire scoprono l'altarino di Chairs Missing con Practice Makes Perfet e I Am The Fly e svelavano l'altrimenti sconosciuta Culture Vultures, 2 minuti fulminanti di transizione
2) Settembre 1978: già digerito Chairs Missing, i quattro sono già focalizzati su ciò che diventerà lo sconvolgente 154, a cui dedicano l'intera session (13 minuti) con versioni (a modo loro) primitive di The Other Window, Mutual Friend, On returning e Indirect Enquiries, che in un certo senso danno un'ipotesi di come sarebbe stato il discone senza l'ingombrante produzione di Mike Thorne; certamente meno gelido e distaccato, ma forse meno lungimirante e sensazionale. La videro lunga, c'è poco da dire.
3) Un anno esatto dopo, con il gruppo allo sbando, solo una suite da 15 minuti: Crazy about love, di cui scrissi una decina d'anni fa. Nient'altro da aggiungere.
Appunto.

domenica 13 ottobre 2019

CCCP Fedeli Alla Linea ‎– Canzoni Preghiere Danze Del II Millennio - Sezione Europa (1989)

Uno dei dischi meno ricordati dei CCCP, perchè trovatosi in una terra di mezzo; non più tagliente e rasoiato come gli inizi, non ancora mistico ed ultrasensoriale come l'ultimo album, con la formazione ante-CSI, Canzoni Preghiere Danze vive di contraddizioni interne difficilmente spiegabili. Perchè si apre con una meraviglia assoluta come Svegliami, dal climax emotivo insuperabile e con uno dei testi più brillanti di Ferretti; prosegue con l'irresistibile ironia mid-punk di Huligani Dangereux, poi scade in un'orribile lounge senza nerbo (B.b.b.), un mediocre power-pop (Fedele alla lira), si riprende con l'iberico anfetaminico di Roco Rosso ed il pregevolissimo strumentale barocco-mediorientale La qualità della danza. L'illogica disomogeneità prosegue senza sosta nel lato B, col synth-pop rustico di E' vero, la tensione minimalistica di Palestina, il lussureggiante mantra cattolico di Madre, un ultimo guizzo punk con Conviene, persino uno scadente reggae con And the radio plays e la chiosa di Vota Fatur, un puro riempitivo cabaret-synth per una fantomatica campagna elettorale del performer da palco che animava i loro concerti.
Morale: un disco talmente confusionario ed accozzato che non è possibile non apprezzare, proprio per la sua assurdità. Erano stati in grado di non svendersi, di continuare a sbeffeggiare tutto e tutti, persino su major, persino raffinando le proprie capacità di arrangiamento.

domenica 26 maggio 2019

Crass ‎– Yes Sir, I Will. (1983)

L'ultimo album dei Crass, il più estremo, il più selvaggio, il più parlato, forse il meno amato. Al termine della loro missione ne avevano di cose da dire, soprattutto per quanto riguarda la questione delle Falklands, su quella folle incosciente che governava il loro paese. 
Ovvio che la denuncia prevarica e distoglie l'attenzione dal suono, ma che suono; questo era puro free-jazz-punk, soda caustica come se piovesse. La facciata B, Taking Sides, è una tirata chilometrica impossibile da districare. E la A lo è poco da meno, anche se più canonicamente divisa in tracce. E cosa tirano fuori i Crass? Una ballad intimista per canto, piano ed archi, Speed or Greed?, che spezza il disco in due. Se fossero andati avanti anzichè terminare l'anno successivo, sono convinto che ne avremmo sentite delle belle, sotto tanti punti di vista. Ed oggi forse ci sarebbe ancora tanto bisogno di loro....

lunedì 18 giugno 2018

Crass ‎– Best Before...1984 (1986)

Il delirante e farneticante art-punk dei Crass nella raccolta che pubblicarono postuma, un paio d'anni dopo lo scioglimento. Venti tracce che coprono l'intero percorso della leggendaria band-comune, dal 1977 al 1984, pubblicate prevalentemente su singoli; l'eterogeneità della scaletta non inficia comunque l'ascolto, al punto che mi verrebbe da dire che si tratta del loro secondo miglior album dopo l'immarcescibile Station of the Crass. E' chiaro che poi si sente un lieve declino nella seconda parte della loro carriera, anche a livello produttivo; c'è persino un inedito della fase finale, Smash the mac, che è un'anarco-wave quasi imbarazzante per i loro standard; forse se ne resero conto da soli, di aver compiuto la missione e quindi giusto fu lo split. Ma per il resto, le schegge arrivano a bomba, con Nagasaki Nightmare, Big A Little A, Bloody revolution, Rival Tribal Rebel Revel, irresistibili nel loro caracollare incessante ed ossessivo, oppure le "interferenze" concrete di Reality Asylum, Shaved Women, e pochissimi cali d'intensità.

mercoledì 13 dicembre 2017

Erase Errata ‎– Night Life (2006)

Nonostante il sostegno ed una copertina di Blow Up, ho ignorato e saltato a piè pari le Erase Errata, e soltanto perchè in quegli anni snobbai il movimento punk-funk, che era sostanzialmente parallelo a quello del revival della new-wave; il mio ragionamento era ma come, tutti questi gruppi adesso hanno successo con i ventenni che neanche sanno chi furono Joy Division o Gang Of Four, tanto per sparare due cartucce grosse?
Così è andata, ma non era giusto fare di tutta l'erba un fascio, c'erano anche gruppi talentuosi nel pagliaio; mentre la maggior parte bruciarono nel giro di poco, alcuni si sarebbero costruiti una carriera tutta loro (Liars), altri non sono sopravvissuti ma hanno lasciato un piccolo segno come il trio femminile di San Francisco, che col terzo Night Life realizzarono un gioiellino baldanzoso e ricco di rimandi alla stagione d'oro, ma con una freschezza ed una leggera follia che bilanciava il tutto. Una felice combinazione fra Wire, Gang Of Four, Dead Kennedys ed addirittura Captain Beefheart era possibile, ed ancor più bello era che fossero tre ragazze dotatissime a metterlo in pratica: tutt'altro che riot grrls, le Erase Errata meritano un posto in prima fila nella galleria di quel revival, anche solo per questo entusiasmante capitolo.

venerdì 17 novembre 2017

Aburadako - 1985 (Tree or wood)

Dopo i grezzi furori punk degli esordi, il primo album vero e proprio del Polipo Untuoso, un capolavoro di art-hardcore contorto ed articolato, in grado di elevare quello classico dei Dead Kennedys ad una forma superiore, complice anche la notevole tecnica strumentale (in formazione c'era il batterista Tetsuya, che qualche anno dopo travalicherà i confini alla testa dei Ruins). Un martellamento schizofrenico, ma ricco di break intelligenti e trovate variegate; da segnalare anche la produzione, infinitamente migliore della media di quegli anni, in un certo senso persino lungimirante; ad ascoltarlo a scatola chiusa si direbbe un disco dei primi anni '90. Hasegawa rules!

sabato 28 ottobre 2017

Scream From The List 64 - Poison Girls ‎– Hex (1979)

Nel panorama post-punk inglese potevano anche accadere delle congiunzioni così particolari: una ultraquarantenne madre di famiglia che, in risposta ai figli accasatisi presso punk band giovanili, ne fondava una sua; al di là delle curiosa genesi la notizia in sè però è che la proposta Poison Girls non era punk canonico, tant'è che si gemellarono coi Crass, gli astri indiscutibili dell'anarchia UK.
Quello di Hex è un art-punk beffardo, con tante sfaccettature e con ben più dei 3 frenetici accordi; la voce grassa e delirante di Vi Subversa (tutt'altro che una mamma affettuosa, e sorprendentemente affine a quanto inizierà a fare Jello Biafra un'anno dopo!), le stilettate delle chitarre, la ritmica coesa, le combinazioni dissonanti, tutto contribuiva a creare un clima paranoico, psicotico e quasi cabarettistico, fra i Crass stessi e gli Alternative Tv più aggressivi. Da manuale.
Da notare che il disco uscì sulla leggendaria Small Wonder.

martedì 4 luglio 2017

Ferdinand Richard ‎– En Forme !! (1981)

Il bassista degli Etron Fou Le Loublan al debutto solista, con un lavoro decisamente più melodico ma non per questo facile come si è sempre convenuto agli esponenti del RIO, persino negli anni ottanta. Il brillante concetto dietro En Forme!! è quello di suonare linee sempre arzigogolate ma smussate delle asperità del gruppo madre, in un substrato art-punk-wave stranito, suonato con foga ed evidente sense of humour. FR suona basso e chitarra, canta beffardo e sprezzante, coadiuvato da un batterista e più sporadicamente da un sassofonista ed un pianista, tanto per dare un po' di colore ad un disco molto teatrale, vista anche la presenza di un pugno di vignette di estrazione squisitamente vaudeville. Nonostante la disomogeneità, a più riprese En Forme!! rivelava un'autore molto originale e divertente; ed in ogni caso, i pezzi pseudo-punk sono quasi tutti irresistibili.

mercoledì 6 luglio 2016

Screams From The List 48 - Crass ‎– Stations Of The Crass (1979)

Impossibile identificare un gruppo più integralista ed isolato dalla scena punk britannica dei Crass, che non a caso vivevano in una comune ed ebbero un coraggio da leoni a portare avanti le loro provocazioni in anni molto difficili a livello sociale in Inghilterra.
A livello musicale furono a loro modo non meno unici, però ancora oggi è piuttosto difficile riuscire a parlarne perchè l'aspetto politico finisce per avere il sopravvento su tutto. Se è innegabile che di punk si trattava, la band lo gestiva come un veicolo di divulgazione qualsiasi, con un approccio diagonale fatto di suoni secchi e spigolosi, il basso in primo piano, una serie esplosiva di esplosioni e rallentamenti, gli sproloqui di Ignorant fra il furioso e lo stralunato; se si considera che in formazione c'era un hippy vero e proprio (il batterista Rimbaud), se si analizzano anche le variazioni significative (l'incubo per bombe e campane di Demoncrats è il caso più clamoroso, ma le stranezze sono disseminate ovunque), appare chiaro che questo fu art-punk nello spirito più spontaneo e puro. E, nondimeno, che furono di un influenza capitale sui nostri CCCP. 
Mangiamo tutti insieme queste schegge di vetro e rivalutiamoli (cit. Vlad).

mercoledì 20 aprile 2016

Screams From The List 29 - Come ‎– Rampton (1979)

Prima di varare il suo rovinoso progetto a lungo termine Whitehouse, William Bennett era un chitarrista art-punk. C'è da chiedersi perchè mai abbia accantonato la sei corde ed il suo progetto Come così presto, dato che la Casa Bianca non è che abbia espresso chissà quali velleità artistiche. Però sappiamo che si tratta di un personaggio discutibile (un'aneddoto su tutti, lo scherzo di cattivo gusto fatto a Maurizio Bianchi), quindi da cui ci si poteva aspettare tutto fuorchè ovvietà.
Rampton, uscito originalmente in cassetta nel 1979, è un disco poderoso di pezzi beffardi che come giustamente fatto notare da Vlad, sembra un incrocio fra i Throbbing Gristle e i Suicide, ma con l'aggiunta di questa chitarra secca che sparava riffs incisivi memori dell'Helios Creed incalzante dei power-chords più aggressivi. Con Bennett c'erano 3 personaggi misteriosi addetti ai synth, alle percussioni ed alle voci, davvero peculiari nel rendere beffardo, malato e più che mai deviato il materiale. A dir poco unico.

mercoledì 13 gennaio 2016

Half Japanese - Half Gentlemen/Not Beasts (1980)

Non molto da dire su un immortale capolavoro di art-naif abbrutito. I fratelli Jad e David Fair iniziarono a fare musica a metà anni '70, all'insegna della più gretta ignoranza musicale. Vissero l'era del punk in diretta e riuscirono a debuttare su disco soltanto 5 anni dopo, con un triplo vinile.
Tutto molto assurdo, e tutto molto geniale. Soltanto per una questione geografica non finirono nella Los Angeles Free Music Society, ma sarebbero stati laterali in ogni caso. Con un totale di circa 70 tracce, Half Gentlemen/Not Beasts fu un bestiario che aveva come numi tutelari precedenti ideologici solo il Capitano e qualche cavernicolo spostato degli anni '60, ma sempre col filtro del punk installato. Finirono per influenzare una marea di mostri che sarebbero nati nei 10-15 anni successivi, per non parlare del nippo-noise.
Memorabili i titoli per certi versi sperimentali, ovvero quelli strumentali con titoli onomatopeici o di sole consonanti, totalmente estranei al contesto circostante, in una parola dadaisti. I due estratti live di 20 minuti ciascuno santificavano la realtà a fuoco con una pioggia di sassate senza ritegno.
Contro ogni intellettualismo.

martedì 9 giugno 2015

Screams from the list 7 - Debris' ‎– Static Disposal (1976)

Altro clamoroso colpo di mosca bianca assestato dalla List, per giunta in campo strettamente rock.
I Debris' erano un travolgente combo pre-punk sui generis che infarciva i pezzi di effetti elettronici disturbanti, diventando così pionieri contemporanei ai primi Pere Ubu (rispetto ai quali erano comunque più melodici e meno arty) in fatto di evoluzione garagistica. Qualche retaggio sixties rendeva l'effetto ancor più stridente, e i pezzi sono quasi tutti dei killer.
Purtroppo ebbero una vita brevissima, forse dovuta anche alla lontananza dai centri nevralgici americani, dei membri non ci fu più nessuna traccia e il disco fu ristampato quasi un quarto di secolo dopo. Quindi, occorre dare sempre grande merito al fiuto di Stapleton che si era aggiudicato una delle 1000 copie autoprodotte e ce l'ha fatto scoprire.