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lunedì 11 luglio 2022

Neptune – The Ballet Of Process (2002)


Il secondo degli artisan-noisers bostoniani. Mi stupisce constatare che PS si sia perso un gruppo così originale e ricercato, ma in generale si trovano pochi riscontri in rete, ed appare paradossale che in un'epoca così fertile per l'underground americano come il decennio zero le loro quotazioni non siano andate molto oltre un paio di recensioni su Pitchfork. Al di là di questo, The ballet of process rivelava il trio come un'interessantissima fusione fra art-rock europeo e fragore yankee, con un approccio compositivo spezzettato e beffardo, al fine di tirare in ballo i nomi che già mi sono venuti in mente con i successivi, forieri di conferme e di un trash-sound che avrà necessitato di un'accuratezza a dir poco maniacale.

domenica 25 marzo 2018

US Maple ‎- Acre Thrills (2001)

Al 4° album, per gli US Maple iniziò a farsi veramente dura, riproporre sè stessi dopo le mirabolanti imprese di Sang phat editor e Talker. Una proposta così borderline da rischiare di diventare lama a doppio taglio, di diventare auto-parodia, ed invece. Nel lotto, a parte un paio di pezzi più accessibili della media, i quattro riuscivano ad ingarbugliare ancor di più la matassa, in primis dal punto di vista delle ritmiche, mai così spezzettate. Di certo con Acre Thrills non guadagnarono nuovi fans, tant'è che la loro parabola era verso fine corsa. Destino amaro dei grandi, quello di restare incompresi al grande pubblico e di far storcere il naso alla critica.

domenica 2 luglio 2017

USA Is A Monster ‎– Lost And Found (2012)

Pietra tombale posta sulla carriera del grandissimo power-duo, uscita soltanto su cassetta e su Bandcamp. Come scrive Colin Langenus nelle note di presentazione, gli sembrava doveroso recuperare queste 14 frattaglie (di cui una manciata registrate per compilation mai uscite), svuotare i cassetti del repertorio più oscuro del Mostro. Ovviamente è un prodotto riservato ai fans di stretta osservanza, che tuttavia copre un ottimo spettro dei vari stili messi in luce durante l'esistenza; quindi art-noise ultra-compatto, schegge enfatiche, ballads elettrificate sbilenche e dispari, canti pellerossa e complessità synth-derivanti dell'ultimo periodo. Qualche cosa è all'altezza dei dischi storici, qualche altro no.
Forse la loro missione è terminata al momento giusto, forse no. Io continuo a rimpiangerli.

martedì 20 giugno 2017

Trumans Water ‎– Of Thick Tum (1992)

Il famoso debutto dei TW per il quale John Peel perse la testa, mandandolo in onda per intero. Diciamo che per molto, tantissimo tempo, ho bistrattato Of Thick Tum in favore del secondo Spasm Smash..., perchè sono un po' allergico ai Sonic Youth ed i pur brevi frangenti in cui si sente qualche reminescenza mi avevano reso un po' prevenuto. Oggi, al quinto/sesto ascolto consecutivo, sono costretto a convenire che si tratta di un discone anch'esso, che si inserisce nella lunga scia dei grandi geni irregolari (Pere Ubu, il Capitano) aggiornati all'era dell'alternative rock, fratturato oltre l'inverosimile eppure miracolosamente compatto e coeso. Del resto, il loro suono spigoloso (e le imperfezioni, volute o casuali che fossero) è invecchiato molto molto bene. E loro erano dei dannati folli.

giovedì 20 aprile 2017

Elvish Presley ‎– Black Elf Speaks (2003)

Dietro (l'infelice, diciamocelo) monicker di Elvish Presley nei primi anni Zero si è celato Tom Hohmann, il batterista dei grandissimi Usa Is A Monster. Dopo due cd-r autoprodotti, Black Elf Speaks è stato la prima ed ultima uscita ufficiale per lui, sull'etichetta harsh-noise Bulb Records.
Se penso ai furiosi prodotti contemporanei degli UIAM, questo è sorprendente perchè anticipa in qualche modo le derive light dei loro ultimi dischi, a dimostrazione di come Hohmann ne fosse molto di più che il batterista; era già un songwriter con delle idee personali e definite. Il meltin' pot fra le cantilene d'ispirazione degli Indiani di America, il folk psichedelico americano, il suono pastoso e stonato del muro di chitarre, le ritmiche dispari, le armonie vocali raddoppiate e curate, le figure solenni di tastiere, tutto questo assumerà un peso molto più rilevante su Space Programs. Questo di sicuro non sminuisce la figura del grande Langenus, ma rende Black Elf Speaks un disco decisivo in prospettiva.

lunedì 20 febbraio 2017

Gang Wizard ‎– Important Picnic (2014)

Band californiana in attività da quasi 20 anni, quindi ben precedente l'ondata dell'harsh-noise sia quella dello shit-gaze. Risalta quindi che questo album, ultimo di una lista che inevitabilmente è fin troppo lunga, fuoriesca come un'improbabile incrocio fra le due correnti. con una componente primitive-arty che ricorda tanti nomi del passato remoto e persino certe correnti più o meno sotterranee statunitensi di 20 e passa anni fa.
Un disco delirante, lo-fi, sgangherato ma con una visione ben precisa dall'inizio alla fine. Un suono che aliena come quelli delle metropoli ma elabora anche allucinazioni di naivetè a loro modo stilish.

lunedì 9 gennaio 2017

Lake Of Dracula ‎– Lake Of Dracula (1997)

Progetto estemporaneo (solo questo omonimo ed un live postumo pubblicato una decina d'anni dopo) di Weasel Walter, qui dedito ad una chitarra spigolosa e dirompente, affiancanto dal cantante Magas (un monotono beffardo) e dalla batterista Melowic (minimale e sincopata). Nell'autentico segno della Skingraft che produceva, Lake of dracula fu un disco esaltante nonostante l'evidente provvisorietà della situazione, fatto di un art-noise-punk catastrofico ma a modo suo persino cabarettistico (qui sta la chiamata in causa anche dell'influenza del Capitano), con 16 pezzi tutti piuttosto brevi che si rincorrono come schegge acuminate in un campo minato.
Altrimenti detta no-wave.

mercoledì 2 novembre 2016

Warmer Milks ‎– Radish On Light (2006)

Stranissimo incrocio fra ubriachezza post-folk, noise ed art-rock per questo gruppo aperto del Kentucky facente capo al chitarrista Turner, che ha pubblicato una selva di dischi nel giro di tre anni per poi sciogliersi. Radish on light, primo della serie, è a dir poco disorientante. All'inizio sembra una versione ubriaca e/o sballata degli Oxbow (In the fields), poi deraglia in un magma ribollente di ampli seguito da un motorik marcio sopra un delirio di chitarre sbilenche e voce strozzata (The shark), poi si focalizza su un fermo-immagine degli U.S. Maple ignorante ed indurito (Pentagram of sores), per terminare con un lento, interminabile concerto di feedback controllato con tambureggiare sottostante (la title-track), equivalente ad una passeggiata in mezzo alla lava. La domanda è di quale sostanza possano aver abusato i Warmer Milks, la risposta è che ne so, intanto il disco è una goduria per le orecchie comprensive e vogliose di musiche inaudite.

sabato 2 luglio 2016

Von Lmo ‎– Red Resistor (1996)

Terzo ed ultimo disco ufficiale di Frankie Cavallo, anche se Discogs segnala un autoprodotto del '99 del quale non si trova traccia in rete. Chissà se il destino ci riserverà un'altro rientro a sorpresa, ma soprattutto chissà come se la passa a 60 anni suonati questo fanta-rocker dei perdenti e dei maledetti.
Su Red Resistor ci sono poche info; la più evidente è che la formazione non è quella di Cosmic Interception, bensì un rocciosissimo power-trio con in grande evidenza il chitarrista nippo-americano Tamura, uno scalmanato senza ritegno. Si tratta sicuramente di un live registrato in studio a New York, e se si trattasse veramente della fine della sua storia, ritengo sia perchè dopo questo inferno non sembra esserci rimasto più nulla da suonare.
Soprattutto non si può andare oltre i 31 minuti di X + Z = 0, un'interminabile sarabanda di space-noise che spazza via qualsiasi cosa, compresi i 10 di Mass destruction, cingolato marziale che apre il programma. Più relativamente canonici gli altri due pezzi, sulla scia del robot-metal di Cosmic Interception. Difficile dire se quale sia più indispensabile questo eccesso di violenza o l'altro, più per modo di dire sotto controllo. Diciamo che Red resistor si comprende meglio dopo aver preso coscienza del personaggio, che resta un mito totale.

giovedì 2 giugno 2016

Neptune – Gong Lake (2008)

Il disco più ordinario dei Neptune, voluto fortemente dalla Table Of The Elements che richiese loro più rock come dichiarato in un intervista a Blow Up, è anche quello forse meno rappresentativo ma se qualche nostalgico cerca cattive vibrazioni da noise-rock anni '90 con un ottica più arty qui trova soddisfazione.
A dimostrazione di un talento intrinesco che trascende le sonorità bizzarre degli strumenti autocostruiti, già evidente in Intimate Lightning, in Gong Lake il power-trio guidato da Sanford elabora 10 pezzi contorti, sincopati, per farla breve come se gli Shellac jammassero coi Faust, oppure come se i Cop Shoot Cop jammassero con gli Einsturzende Neubauten, con grande enfasi sul suono di batteria classico alla Albini che è sempre valore aggiunto. Micidiale, e non è certo inferiore agli altri loro dischi perchè meno colto.

giovedì 21 aprile 2016

Screams From The List 30 - Decayes ‎– Ich Bin Ein Spiegelei (1978)

Oggetto non identificabile proveniente da oltre Oceano. I californiani Decayes, entità sperimentale letteralmente dimenticata dal mondo: 5 vinili realizzati (suppongo) privatamente, in edizioni di max 300 pezzi, di cui soltanto uno ristampato su cd negli anni zero.
Ich Bin Ein Spiegelei, il primo della saga, vedeva al lavoro il duo Kane & Sakrison, che nei dischi successivi faranno entrare un sacco di gente in formazione. Ancor prima di metterlo sul piatto il concetto di tributo alla gloriosa epoca dei maestri teutonici era evidente: titoli in tedesco ed art-work a base di spray deliberatamente mutuato da Neu! 2. All'ascolto, la conferma, ma con una debita dose di personalità: il lato A, Deur Müten, è una compassata e minimale nenia che lascia ipnotizzati: clarinetto suonato come Schneider soffiava sul flauto traverso nei primi Kraftwerk, risacche e rimestamenti acquatici come i Neu! di Lieber Honig, senso di pace e rilassatezza prima di un deragliamento finale a base di oscillatori impazziti, cocci, vetri in frantumi e clarinetto che perde la bussola.
Il lato B cambia totalmente approccio, con la title-track: dopo una intro parlata, partono i reattori di un motorik minaccioso accompagnato da un sibilo di chitarra fuzzato; non siamo molto distanti da Negativland, ma i rumorismi che pian piano iniziano ad avere il sopravvento chiamano in causa i grandi maestri Faust.
Entità da approfondire assolutamente.

lunedì 7 marzo 2016

Heliogabale ‎– Mobile Home (1999)

Seguito di quel fondamentale secondo album che li fece conoscere un po' anche al di fuori del territorio nazionale, Mobile Home vedeva i francesi scivolare verso terreni più subdoli, psicologici se vogliamo. Ma fu anche quello che precedette un lunghissimo iato, di fatto undici anni se si esclude l'autoprodotto del 2004. Si chiudeva un decennio del quale essi incarnavano alla perfezione l'essenza, e forse il non essere riusciti ad esportare concretamente la loro musica (incisero solo sulla parigina Prohibited) fece loro segnare il passo. Peccato, perchè meritavano ancora una volta: Mobile Home vedeva un quartetto più concentrato a costruire grooves scuri, con Thiphaine più intento a sperimentare che a snocciolare le sue trame di classe. Altro punto a favore la registrazione impeccabile alla Steve Albini di Al Sutton. Da segnalare anche un episodio deragliante con Eugene Robinson a delirare ed incursioni di tromba; questo molti anni prima che il vocalist degli Oxbow diventasse uno dei guest più richiesti.

martedì 27 ottobre 2015

Yvette - Process (2013)

Il chitarrista dei newyorkesi Yvette, Kardos-Fein, ha dichiarato in un intervista che ad un certo punto si è un po'  stancato di suonare la sei corde con i suoi pedali e si è dedicato più a suonare i pedali stessi. Insieme al batterista Daniel ha creato Process, fino ad oggi unico album del duo, che è un piccolo capolavoro di art-noise moderno di spiccata originalità.
I ritmi tornitruanti ed incessanti sono un indubbio retaggio post-punk; potrebbe esserlo anche il canto, sempre molto nitido e modulato in maniera tradizionale (forse anche un po' asettico, ma ci sta alla grande). E' proprio quella chitarra, o per meglio dire l'arsenale di pedali, a fare fuoco e fiamme, ad assestare continue scosse di adrenalina rumoristica. Ne esce questo ibrido curioso, che non è noise classico, non ha nulla di industriale nè di gotico. Tutti i pezzi durano 3-4 minuti e sono schegge micidiali. Sarà interessante seguirne il proseguio.

mercoledì 13 maggio 2015

Gravitar ‎– Edifier (2001)

Ultimo disco ufficiale ad essere rilasciato della loro carriera, contiene registrazioni risalenti al 1997, ovvero allo stesso periodo di uscita del loro capolavoro
Dato che gli altri due cd usciti nel '99 e nel '01 annoveravano materiale del '96 e del '97, è lapalissiano pensare che in quella breve ed umanamente irripetibile stagione i Gravitar diedero il massimo sfogo alla loro furia art-noise e poi lasciarono il campo di battaglia, stremati. Probabile anche pensare che furono tutte sessions scartate nell'immediato, ma questo è soggettivo. Il sangue sul battipenna della chitarra in copertina non lascia ombra di dubbio; questi qua davano sempre tutto.
Edifier è più il frutto di jams colossali e poco studiate. Fu più un flusso di violenza brada alternata a stati allucinatori. Due le eccezioni alla regola: la cover di Skip Spence Diana ed Eskimo Angel, che iniziano suonate in punta di dita, educate, per poi subire l'inevitabile trattamento Gravitariano, ovvero l'assalto psycho-sonico a massima saturazione dell'impianto. 
Sempre grandi.

martedì 28 aprile 2015

Mudboy ‎– This Is Folk Music (2005)

Ma anche no, che è folk music. Non si sa che fine abbia fatto (è dal 2010 che non pubblica nulla) Raphael Lyons, ed è un peccato, forse poteva ancora regalare qualcosa di interessante. Ora non vorrei fare come Ferrero imitato da Crozza, però ho notato che quando certi artisti laterali dal grosso potenziale smettono di pubblicare per più di un paio d'anni significa che hanno interrotto le trasmissioni.
Stranamente affiliato al noise-rock degli anni zero (forse più per la provenienza, Providence, che per altro), Mudboy sul primo album creava un misterioso meltin pot fra minimalismo '60 e mostri sacri tedeschi '70, con qualche breve ma efficace incursione su una specie di sub-industriale (la geniale Beirut dance party, ipotetica out-take degli ultimi Throbbing Gristle). Musica che affascina senz'altro gli amanti del suono vintage, grazie a quell'organo dal suono spesso e polveroso, elaborata su figure minimali (di qui l'eventuale accostamento a Terry Riley) e di umore particolarmente gioviale.
Conquista dopo 2-3 ascolti.

giovedì 13 marzo 2014

USA Is A Monster - Citizens Of The Chronic (2003)

Raccolta dei primi due EP che gli UIAM pubblicarono nel 2002, Citizen of the universe e Masonic chronic, improntati su un suono abbastanza grezzo e lo-fi ma già fin da subito rivelatore delle abilità fulminanti dei due prodi guerrieri antigovernativi.
Citizen parte con una docile cantilena folk, ma l'illusione è breve: la debordante formula math-noise faceva sfracelli con un flusso continuo di schegge impazzite, un mulinello di iniziative selvagge e mai fini a sè stesse. Masonic era persino più concitato e frastornante, pur contenendo la prima delle loro ballads ed arrivando ad elaborare la loro prima agile suite acid-prog-punk con gli 8 minuti della finale Trippa bobippa. Primi, fondamentali tasselli di battaglia.

domenica 6 ottobre 2013

Eugene S. Robinson & Xiu Xiu - Sal Mineo (2013)

Per me un caso più unico che raro, andare a vedere qualcuno dal vivo prima di averlo mai sentito su disco. Chiaro che non si tratta di elementi sconosciuti, però fa un certo effetto e ad ascoltare Sal Mineo a casa le considerazioni sono semplici ed elementari. Innanzitutto la produzione privilegia certi aspetti musicali (talvolta anche notevoli, nel miglior stile Xiu Xiu) che Stewart aveva certamente estremizzato sul palco; non vi sono pressochè rumorismi assordanti che spesso ci facevano sobbalzare dalla paura. Inoltre, pare di visualizzare nella mente l'impatto teatrale di Robinson e l'ascolto ne guadagna; forse senza di questo una attenzione superficiale ne pregiudicherebbe il giudizio.
Considerazione finale, il contesto resta sempre molto ostico e credo concettuale (non ho avuto modo di capire la tematica, ma è una mia carenza), lo collocherei in un area free-elettronica che non sarà forse avanguardistica, ma fa impressione.

giovedì 19 settembre 2013

Rake - The Art Ensemble of Rake - The Tell-Tale Moog (1995)

Due ore e venti minuti di alienazione totale, di gratuità non-sense, di come mettere una buona tecnica e padronanza degli strumenti al servizio dell'illogicità; i Rake volevano sconvolgere l'ascoltatore, suonare tutt'altro che banali e ci riuscirono. E se la risero alla grande.
Io mi sono fidato della stampa di settore e non ho ascoltato altro del trio virginiano, perchè pare che oltre questo doppio non ci sia molto altro di esemplare, ed in ogni caso dopo un'esperienza del genere non è che si possa chiedere di più.
Il primo disco contiene essenzialmente 4 lunghi pezzi (fra gli 8 e i 23 minuti), jams deliranti di psycho-jazz-noise-space, senza un'architettura apparente, con la sezione ritmica ed il clarinetto in evidenza (Klang Co.), ma anche con elucubrazioni infinite di synth rumoristico (Remote sensing), dialoghi cubisti fra chitarra e basso (Helio-moog), e misticismi sfiaccati (Quadrablenders).
Discorso opposto per The Tell-tale moog, spaccato in 75 tracce da un preciso minuto cadauna. Le origini del gruppo risalivano all'hardcore più intransigente ed una buona parte, mi verrebbe da dire registrata dal vivo, verte su sorprendenti sfuriate in linea diretta con i primi anni '80 californiani, che di sicuro non mi sarei aspettato visto cos'era successo precedentemente. Ma alla lunga la vena scherzosa di questi mattacchioni riprende il sopravvento e così i deliri incessanti ritornano, ancor più psicopatici di prima.
Ed il divertimento è assicurato.

giovedì 8 agosto 2013

Polvo - Today's active lifestyles (1993)

I primi, già grandi Polvo, non erano molto più cervellotici di come sarebbero diventati qualche anno dopo: le melodie ci sono sempre state, soltanto che erano semi-nascoste sotto una dura scorza fatta di sincopi e convulsioni ritmiche, piegamenti e stretching chitarristici spinti al parossismo. 
In Today's active lifestyles ci sono tutti gli aspetti essenziali del loro sound, già un classico al primo vero album sulla lunga distanza. Il sapore delle loro sbilenche orchestrazioni dà ancora il gusto di un avventura unica e gli assalti all'arma bianca si fondono con le estensioni psichedeliche. 
Forse il loro disco più difficile e senza compromessi, più math.

lunedì 15 luglio 2013

Oxbow - Serenade In Red (1997)

Complice una cattiveria inusuale ed anche la registrazione di Steve Albini, Serenade in red è probabilmente il disco più duro che gli Oxbow abbiano rilasciato. Già con Let me be a woman si tendeva a recintarli nell'ambito noise-rock americano, ma dire che era una restrizione è nulla.
E' vero che Wenner & co. avevano messo un po' da parte le ambizioni avanguardistiche (qui isolate ad un paio di episodi peraltro clamorosi, Babydoll e The killer), a discapito di un impatto più fisico, ma come si sa gli Oxbow non hanno mai sbagliato un disco.
Quindi spazio al blues-core deviato e malsano, dai ritmi rallentati, di Over, 3 o'clock, Insane asylum, all'efferatezza noise di Lucky, al groove gigantesco di The last good time. E il memorabile psicodramma della Untitled di 12 minuti, con un canto femminile a rendere l'atmosfera più teatrale e struggente.