Visualizzazione post con etichetta Jazz-Rock. Mostra tutti i post
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mercoledì 25 gennaio 2023

Muffins – Manna/Mirage (1978)

Eccellente jazz-rock strumentale di estrazione della più nobile matrice softmachiniana, ma con un tocco di personalità che fa sensazione tutt'oggi. Protagonista un'anomalia americana, questo quartetto di Washington che nel proprio essere isolato creò un caso unico. Come ha memorabilmente scritto PS, condussero un'esistenza misera e solitaria ed infatti non furono filati da nessuno fino a quando, negli anni '90, furono rivalutati un po' da tutto il mondo del settore. Ma c'è da dire che se fossero stati europei,  Manna/Mirage, il loro debutto, risalterebbe ancora oggi come un bellissimo disco di tecnica applicata alla fantasia ed all'immaginazione, componente che li fa inquadrare anche nel tag progressive (allo stesso modo dei Soft Machine o dei Colosseum, cioè molto grossolanamente). Poco vanesio e concentrato sulle elaborate strutture compositive, Manna/Mirage è imperniato su due pezzi molto lunghi, Amelia Earhart e The Adventures of Captain Boomerang, che sviluppano decine di tessiture in rapidissima successione con protagonisti gli ispiratissimi fiati e le tastiere, ma anche con una sezione ritmica spettacolare, forse alla fine della fiera l'elemento più interessante. Mai troppo tardi per scoprire questi atipici yankees.

sabato 23 luglio 2022

Screams From The List #109 - Companyia Elèctrica Dharma – Diumenge (1975)


In effetti mancava un nome spagnolo nella List, oppure non ne ho memoria. Ad essere precisi, catalano in questo caso, trattandosi dei barcellonesi CED, un combo a conduzione strettamente familiare (3 fratelli su 5 nella line-up originale) tutt'ora attivo ai giorni nostri (l'ultimo disco è del 2019). Il loro esordio Diumenge annoverava un jazz-rock strumentale pirotecnico, ad alto tasso tecnico, con qualche puntina prog e folk sparse, più che altro per abbellimento e/o introduzioni. Riferimento principale sicuramente Mahavishnu Orchestra, con le dovute proporzioni: ritmica vertiginosa con batterista in evidenza, piano elettrico liquido, sax soprano guastatore, chitarra affilata ed arzigogolata. L'iniziale diffidenza per un disco che comunque non innovava già un bel niente all'epoca si fa tranquillamente da parte man mano che l'ascolto procede, vista l'estrema gradevolezza delle architettura e della registrazione. Con perizia, i Perigeo della Catalogna.

domenica 5 giugno 2022

Screams From The List #108 - Roberto Colombo – Sfogatevi Bestie (1976)


Tastierista milanese qui al debutto con un titolo programmatico; le bestie in questione furono i musicisti assoldati (fra i più conosciuti Calloni, Donnarumma e Belloni), a cui evidentemente diede ampissimo margine di libertà esecutiva per le sue partiture jazz-rock con qualche punta di progressive. Il disco inizia alla grande con Sono Pronto e Caccia alla volpe, dopodichè affiora qualche autoindulgenza, inevitabile vista la situazione di auto-referenzialità. In sostanza, non siamo al cospetto del formalismo impeccabile dei Perigeo nè dell'istrionismo degli Arti & Mestieri, dato anche il fatto che si trattava di un ensemble estemporaneo, ma il fascino ed il divertimento trasudante non si discutono. L'inclusione nella NWW List è più pretestuosa alla luce di Metronomo 138, un collage di 8 minuti che include elettronica dissonante, percussivismo e funk, ed ad Assurdo P.2, un curioso teatrino RIO-pop che chiude un po' in agrodolce. L'anno successivo Colombo replicherà con un altro disco e poi diventerà un professionista dello studio, finendo per lavorare in pratica per qualunque cantante italiano/a, dal più impresentabile / impronunciabile a Fausto Rossi, passando addirittura all'esperienza di scrivere un pezzo insieme a PH nel 1988.

sabato 30 aprile 2022

Magma – 1001° Centigrades (1971)


Prima dell'iconica fase di Mekanik e Kohntarkosz, i Magma erano ancora un collettivo, nel senso che Vander non ne era l'unico compositore. Il doppio d'esordio del 1970, in prospettiva, era un po' acerbo, mentre su 1001° Centigrades la penso diversamente rispetto alle mie fonti critiche preferite. Il lato A occupato da Rïah Sahïltaahk, avventurosa suite di Vander, un salto nell'ignoto kobaiano, presagio di sceneggiate e cataclismi futuri, meravigliosamente orchestrata. Sul lato B; "Iss" Lanseï Doïa del pianista Cahen e Ki Ïahl Ö Lïahk del sassofonista Lasry, due fondatori del gruppo destinati di lì a poco ad abbandonare e lasciare il campo al dispotico batterista, almeno fino a quando salirà sull'astronave Jannik Top. Si tratta di due fascinosi ed articolati pezzi di jazz-rock con qualche reminescenza Soft Machine e la particolarità della presenza inquietante di Klaus Blasquiz, un tratteggio sicuramente inedito per il genere di allora. E' un disco all'ombra del futuro, ma superiore al predecessore.

martedì 26 aprile 2022

Screams From The List #107 - John Greaves / Peter Blegvad / Lisa Herman ‎– Kew. Rhone. (1977)

Destino curioso e beffardo per questo disco realizzato da due reduci di esperienze importanti in Inghilterra; il tastierista Greaves ed il chitarrista Blegvad, di Henry Cow fama, realizzarono Kew. Rhone. che ironia della sorte si ritrovò ad essere pubblicato per la stessa etichetta (la Virgin) e nello stesso giorno di Never Mind The Bollocks dei Sex Pistols. Probabilmente la tempistica non era quella giusta, ma d'altra parte i due, che si avvalsero fra gli altri della cantante Lisa Herman, avevano lavorato a lungo su questo pseudo-concept ed il tempo avrebbe reso giustizia ad un piccolo gioiello di post-Canterbury, articolato ed elegante sfoggio di complessità in soluzione di pezzi brevi ed oculatamente strutturati. Certamente la lezione Henry Cow si sente, ma affrontata con una maggior leggerezza (Blegvad proveniva dagli anomali Slapp Happy) ed un'ariosità irresistibile. 

venerdì 25 febbraio 2022

Screams From The List #105 - Christian Vander ‎– Tristan Et Yseult (1974)


Colonna sonora di un film (piuttosto oscuro) del connazionale Lagrange, T&Y uscì a nome di Vander probabilmente per motivi contrattuali, perchè i Magma al tempo erano vincolati alla Vertigo, e forse per lo stesso motivo in copertina la line-up recava nomi kobaiani inediti a celare le identità. Che poi erano il nucleo pulsante, vibrante ed essenziale dell'entità: Vander / Top / Blasquiz / Stella V.

Di fatto, quindi, un vero e proprio album dei Magma semi-nascosto, ma che sicuramente i cultori conoscono molto bene. Non era il mio caso, però, e ci è voluta la List per entrare in collisione con un altro gioiello degli anni d'oro. Con la formazione al minimo essenziale e senza alcun orpello, il talento sconfinato emerge ancora di più: Vander, unico compositore, si esprime splendidamente anche al piano acustico. Blasquiz e Stella si piazzano sotto i riflettori a vocalizzare a modo loro, enfatici e teatrali. Il bassone di Top invece resta un po' sotto nel mixaggio, come a limitarne l'apporto (è leggenda diffusa che fra i due fosse una guerra continua, ed infatti nel live dell'anno successivo fu sostituito da Paganotti).

Come fosse la pellicola, è un mistero, così come non è spiegabile che questa fantomatica soundtrack potesse essere di puro servizio. TEY è un serpente che si contorce senza soste, un ottovolante inscindibile lungo le sue 12 tracce. E' con ogni probabilità il disco più raffinato dei Magma, non voglio dire meditato perchè il sacro fuoco kobaiano appare sempre vulcanico, pur senza mai eruttare. Di sicuro svetta di fianco ai loro capolavori riconosciuti, sia precedenti che successivi.


mercoledì 28 luglio 2021

Screams From The List #98 - Brainstorm – Smile A While (1972)


Jazz-rock pirotecnico e variopinto da parte di un quartetto del sud della Germania, che realizzò soltanto due album fra il '72 ed il '73. L'influenza dei Soft Machine è tangibile nelle partiture formalmente più composte, ma in lungo ed in largo emergono elementi di pura follia che scompaginano il copione e conferiscono un tocco estremamente personale, punto non da poco per un genere abbastanza inflazionato come quello di competenza. Il disco scorre così catturando costantemente attenzione ed evitando narcisismi strumentali di qualsiasi natura. Quel che si dice un'ottimo lavoro di squadra, e che fossero affiatati e compatti lo si deduce anche dalla decisione (sempre se non fu loro imposto da qualcun'altro) di fare quella copertina, nel (forse ingenuo) tentativo di catturare più attenzione di quanto avrebbero ottenuto con la loro musica.

domenica 26 aprile 2020

Screams From The List #94 - Banten ‎– Banten (1972)

Eccellente jazz olandese per una formazione con unico album all'attivo, su etichetta BASF (e quanti ricordi che istilla questa sigla in maiuscolo...).
La formazione, un trio base batteria-contrabbasso-piano + una cantante attiva in una parte ed un cellista sporadico. Il pianista Van Der Broeck è il faro di tutto il disco, con uno stile sia melodico che eterodosso. I Banten avevano radici nelle zone classiche del genere ma sapevano anche fermarsi e produrre atmosfere rarefatte (Incosekwenza memorabile in questo versante) ed eterodosse, con la vocalist più impegnata a starnazzare col kazoo che a cantare. 
Un disco strano, che mi immagino registrato in 2 giorni o giù di lì, che in certi momenti ha addirittura anticipato determinate movenze degli Henry Cow.

sabato 28 dicembre 2019

Screams From The List #90 - Xhol ‎– Motherfuckers GmbH & Co KG (1972)

Valeva bene la scusa del dimezzamento della ragione sociale per aggiungere un'altro nome alla List, quel volpone di Stapleton. I prodi teutonici di Electrip, indecisi fra scorie residue alla Colosseum e tentazioni avant, chiusero qui la loro carriera, con un album controverso capace di impennate superbe (Love Potion 25, 13 minuti dalle fasi strumentali reminescenti i migliori Soft Machine), dilazioni psichedeliche (Side 1 First Day), cincischiate etniche (Grille, per grilli notturni, flautino e bonghi), collage sconclusionati (Radio) e radiazioni organiche (Orgelsolo).
Love Potion 25 da sola tiene su il disco e lo chiude in bellezza, ponendo la parola fine ad una band che forse terminò la propria strada per differenze di vedute fra i membri. Avevano un grande potenziale ma restarono una sostanziale incompiuta.

mercoledì 27 febbraio 2019

Scream From The List 80 - Thirsty Moon ‎– You'll Never Come Back (1973)

Ensemble tedesco che fu più di una meteora, dato che realizzò ben 5 dischi nell'arco del decennio dorato del kraut-sound. Con il quale non aveva ovviamente nulla a che fare: il settetto infatti si sbizzarriva liberamente in un jazz-prog colorito ed esuberante metà strumentale e metà cantato, certamente poco innovativo ma dalle indubbie radici crucche; è un po' come quando per l'it-prog o l'it-jazz si tira fuori l'appellativo mediterraneo; io nei TM ci sento l'atmosfera dell'Oktober Fest più intellettuale che ci sia, a modo suo affine ai Grobschnitt, ma con meno prosopopea e più attenzione alle parti soliste. Molto in vista il sax e la sezione ritmica, impeccabili.

domenica 30 settembre 2018

Scream From The List 75 - Alcatraz – Vampire State Building (1972)

Filed under le cose più accessibili della list, e pertanto destinate ad un oblio maggiorato in quanto nè innovative nè rivoluzionarie. Semplicemente jazz-rock fra Soft Machine di IV, Jethro Tull di Stand Up e Colosseum di Daughter of time, da parte di un quintetto amburghese che rischia di essere citato soltanto perchè registrò Vampire State Building nello stesso studio in cui, più o meno contemporaneamente, i Faust scrivevano la storia col loro primo.
Lo spettro coperto è notevole, partendo dall'opening soffice ed educato dell'apertura fino al tornitruante finale con tutto quello che ci poteva stare dentro, luoghi comuni o meno. Doveva esserci voluto del tempo agli Alcatraz per preparare questo album, lo registrarono in 3 soli giorni e poi restarono fermi fino al 1978. Non erano destinati a fare storia, ma erano veramente bravi e l'inclusione nella List fu un attestato di stima importante.

sabato 14 luglio 2018

Embryo - Steig Aus (1973)

Uno dei primi 5 dischi degli Embryo, quando ancora non erano stati contaminati dalla componente world che avrebbe caratterizzato pressochè tutta la loro produzione successiva. 
Jazz-rock fluido, anglosassone in tutta la sua essenza, con una componente visionaria che a tratti sfocia in una parvenza di psichedelia (frutto di certe svisate di violino, o di cascate tastieristiche), e con qualche passaggio simil-prog (colonnati di mellotron a iosa); in ogni caso, jamming ispiratissimo, musicisti non narcisisti, 3 lunghe tracce, musica antica per quanto ancora fresca e coinvolgente.

mercoledì 2 maggio 2018

Scream From The List 70 - Dedalus ‎– Dedalus (1973)

Poderoso jazz-rock da parte di una band torinese dalla vita brevissima; due dischi su Trident in due anni e poi lo scioglimento. Composto da 5 pezzi ovviamente strumentali, Dedalus metteva in mostra quattro strumentisti mostruosi, che è veramente difficile non citare, di cui un paio addirittura doppiamente impegnati: il batterista Grosso, il bassista F. Di Castri, il pianista/cellista Bonansone ed il chitarrista/sassofonista M. Di Castri. Che fossero impegnati in fughe ritmicamente sostenute, in fasi più morbide e melodiche oppure più spiritatamente sperimentali (il sax manipolato di Santiago, da brividi, o le allucinazioni di Conn), i 4 riprendevano la lezione Soft Machine e la portavano un po' più in là, col loro suono algido e paurosamente coeso. E' sicuro che si tratta di un disco riservato agli amanti del genere, ma di elevatissima qualità.

venerdì 26 gennaio 2018

Perigeo ‎– Genealogia (1974)

Eccellente, brillante, elegante jazz-rock da parte di un complesso che restò abbastanza allineato sui suoi binari, con una coerenza indubitabile. Il loro successo popolare infatti coincise con il periodo in cui il jazz era diventato quasi una moda presso la gioventù italica, almeno quella che si identificava politicamente a sinistra. Sia stata fortuna, coincidenza temporale o furbizia non ha molta importanza, dopo più di 40 anni questa musica porta benissimo il suo tempo anche se non fu per nulla avanguardistica come quella degli Area, tanto per citare esimi contemporanei. Raccogliendo soprattutto l'eredità importante dei Soft Machine, ma anche dei Weather Report, con Genealogia i Perigeo realizzarono un disco di virtuosismi al servizio di una musica asciutta, funambolica ma anche capace di bei squarci melodici. Astenersi free-jazzers incalliti, superfluo dire.

sabato 6 gennaio 2018

Hugh Hopper ‎– Hopper Tunity Box (1977)

Secondo disco del bass-master, tre anni dopo il monumentale 1984: non fu fortunato, perchè rilasciato da una etichetta norvegese (! ma era possibile che nessun inglese volesse pubblicarlo?) dall'etica, stando a quanto disse Hopper stesso, dilettantistica. Tant'è che poco tempo dopo, fallì.
Erano comunque tempi duri, si erano dimenticati tutti dei gloriosi giorni Soft Machine; mentre una strana entità con quella ragione sociale ma senza nessun membro fondatore continuava indifferentemente a pubblicare dischi, Wyatt aveva virato a 360° con Rock Bottom, Ratledge si era dileguato, Hopper faticava a farsi sentire. Su Hopper Tunity Box sono comunque della partita Dean, Windo e Charig, i fiatisti di 3, perchè il baffo aveva abbandonato gli audaci esperimenti di 1984 in favore di un ritorno al jazz-rock più stentoreo e dinamico. Delusione? Ma anche no; nell'anno 1977, se aveva ancora un senso fare questo genere, Hopper era l'oscuro condottiero in grado di traghettare sincopi e controbalzi con l'eleganza di un feroce felino.

mercoledì 23 agosto 2017

Pluto – Shoehorse Emerging (1994)

Fra gli innumerevoli acts a nome Pluto (Discogs ne elenca una trentina..) ci fu anche questo 7-piece assemblato a mo' di supergruppo, le cui personalità più in evidenza erano i fiatisti Slusser e Carney (collaboratori rispettivamente di Tom Waits e John Zorn) ed il batterista Weinstein degli MX-80 Sound. Un progetto a due colpi, col secondo che uscì 4 anni dopo, dedito ad un post-jazz strumentale sfaccettato e senza troppo sfoggio di tecnica e/o vanagloria. Un po' di free classico ma tutto sommato controllato, un po' di swing aggiornato, un po' di RIO, qualche puntata metallica, tutto orchestrato con maestria e un senso dell'ironia più che palpabile. Devono essersi divertiti un mondo. Riservato agli amanti del settore.

mercoledì 12 luglio 2017

Soft Machine ‎– Fourth (1971)

L'artwork interno qui raffigurato sembra quasi una metafora della situazione in seno ai SM al momento della pubblicazione del quarto: sulla destra un Ratledge che giganteggia, braccia conserte, aria da capo nonostante una frangia improbabile. Sulla sinistra l'impassibile Hopper, che sembra pensare so il fatto mio e lo dimostro, e Dean, che guarda altrove con aria assente. Al centro, arretrato, un Wyatt piccolo piccolo, impacciato e a disagio, con aria quasi clericale, e con le mani in mano.
Fino ad allora tutti i dischi dei Soft Machine erano stati molto diversi fra loro, al punto che sembrava una band in perenne transizione. Fourth fu in qualche modo la pietra tombale del primo, gloriosissimo lustro. Il cattivone Ratledge, dopo avergli tarpato le ali impedendogli di contribuire creativamente, cacciò il nostro beniamino Bob, fresco fresco di End Of An Ear. Così Fourth rappresentò il suo addio alla Macchina; ascoltandolo in quello che credo sia l'unico disco in cui non apre bocca, possiamo tuttavia concentrarci sulle sue doti di batterista e concludere un'altra volta che, se ce n'era bisogno, era un grande anche alle pelli e lasciava il segno anche da gregario.
Per la cronaca, Fourth è un altro classico del jazz-rock algido ed oscuro che già aveva sfondato su Third, concentrato su minutaggi più ridotti. E' dominato da Hopper, che firma un 3/4 del lotto, in particolare con la lunga Virtually, una replica in toni meno apocalittici di Facelift ma quasi altrettanto affascinante. Eccellente, a prescindere.

martedì 9 agosto 2016

Embryo – La Blama Sparozzi - Zwischenzonen (1982)

Nella prima Mental Hour, fra le varie primizie, c'era un diversivo che esulava dalle atmosfere dominanti; un tre minuti scarsi di crossover jazz-etnico, pregno di fragranze orientali, di ticchettii frenetici di marimba e cimbalero, impreziosito dai fiati. Per 23 anni non ho avuto l'idea di chi fosse questo delizioso melting-pot. Poi, qualche mese fa passai un pomeriggio a divertirmi con Shazam alla ricerca di varie identificazioni e scoprii che si trattava di (per l'appunto) Cimbalero degli Embryo, la freak-jazz-ethnic band di Monaco che con incredibile tenacia tutt'oggi continua a fare musica a quasi mezzo secolo dalla fondazione, sempre guidata dal batterista ed unico membro stabile Christian Burchard. Una band del tutto atipica nel panorama krauto, non soltanto per la sua spaventosa longevità, ma anche per il suo stile sfaccettato.
La Blama Sparozzi fu un doppio vinile, e non saprei dire se sia stato uno dei loro capitoli migliori o più rappresentativo di altri, dato che conosco soltanto i loro primi due, quelli degli anni d'oro. E' un coacervo di jazz-rock, etnica tendente all'orientale con commisioni di art-rock, fin quasi a rasentare il RIO. Esaltanti le bonus tracks della ristampa andorrana (!) in cd del '99, all'insegna di una brillantissima fusion, poco vanitosa ed ottimamente orchestrata. Non c'è che dire, un gruppo da esplorare.

martedì 17 maggio 2016

Noa - Noa (1980)

Come nel caso dei grandi Archaia, anche i transalpini Noa stamparono un vinile autoprodotto e poi scomparvero. Ci ha pensato la Soleil Zeuhl (paragonabile all'italiana Mellow in tema di recuperi nazionali) una trentina d'anni dopo a disotterrare un gioiellino che in caso contrario sarebbe rimasto ingiustamente nell'oblio dei tempi andati.
Il quintetto, che annoverava ben due fiatisti a tempo pieno, realizzava un'ambizioso incrocio fra Zeuhl, Rio, jazz-rock e progressive con fantasia e grande competenza tecnica. Il tempo era ormai scaduto ma come la storia ci ha insegnato anche i ritardatari potevano essere in grado di sbaragliare il campo; ciò grazie all'espressività della voce femminile, vero valore aggiunto del suono, ricca di personalità e teatrale al punto giusto, grazie alle composizioni articolate e passionali, capaci di fondere atmosfere drammatiche ed enfatiche con un equilibrio perfetto.

lunedì 25 aprile 2016

Screams From The List 34 - Blue Effect & Jazz Q Praha ‎– Coniunctio (1970)

Spettacolare joint-venture per due gruppi dell'allora Cecoslovacchia, all'ombra di un regime opprimente che fra le tante imposizioni vietò persino l'uso della lingua inglese. I Blue Effect, qui in versione power-trio effetto della temporanea esclusione del cantante, avevano esordito nello stesso anno ed erano in pieno transito dal blues al progressive, guidati da un chitarrista prodigioso, Hladik, virtuoso di gran gusto. Per i Jazz Q Praha, quartetto programmaticamente nominato ma con grosse tendenze free, invece era la prima testimonianza discografica.
In questa fusione, il settetto risultante fece faville. I 20 minuti di Coniunctio I furono il manifesto; apertura impetuosa su ritmo blues-rock con le tastiere ed i fiati in libera uscita, break progressivo per flauto pastorale, ripresa free-jazz e finale acrobatico in cui gli stili si incrociano mirabilmente. Nel resto del disco non si assiste più a questo amalgama generale, ma le imprese non mancano: il puro free di Asi Půjdem Se Psem Ven, la jam blueseggiante Coniunctio II che altro non è che uno showcase delle singole abilità dei musicisti, e soprattutto la magnifica Návštěva U Tety Markéty, Vypití Šálku Čaje, unica traccia composta dai Blue Effect, 6 minuti di pura magia progressiva guidati dalla grande chitarra di Hladik.