mercoledì 31 agosto 2011

U.S. Maple - Long hair in three stages (1995)

Fra i migliori eredi di Cpt. Beefheart degli anni '90, gli U.S. Maple hanno realizzato una manciata di dischi genialoidi che lo stesso DVV avrebbe apprezzato, in caso di ascolto. Quest'opera prima è un labirinto di deviazioni psicotiche, grovigli chitarristici, ritmiche frastagliate e poi c'è quella voce che da peculiarità in senso inverso.
Al Johnson, infatti, tutt'è fuorchè uno shouter invasato; semmai, con quel timbro all'apparenza innocuo ed afono, impersonifica perfettamente la follia recondita degli U.S. Maple, di cui lui stesso e il chitarrista Shippy provenivano da un gruppo classicamente noise-rock, gli Shorty.
Qui avviene qualcosa in più della classica "destrutturazione del blues": le radici del Capitano si sentono (citerei due pietre miliari come Best batch yet e Sheriff of Honk Kong per dare un'idea), ma ci vanno di mezzo anche i Red Krayola di Soldier Talk e in certi tratti le fughe iperboliche dei Sonic Youth.
Una perla su tutte, The state is bad. Peccato che non abbiano avuto la giusta ricognizione da parte del pubblico.

martedì 30 agosto 2011

Two Dollar Guitar - The Wear And Tear Of Fear: A Lover's Discourse (2006)

E' un cantautorato molto lucido quello che Foljhan propose in questa sede, rinunciando alle ritmiche di Shelley che l'aveva accompagnato fin dall'inizio del progetto. Chitarra acustica e voce profonda marcano la chiara appartenenza folk, che guarda indietro fino ai '60, in questo senso intendo la lucidità. Ma di tanto in tanto compare qualche tastiera a rendere le atmosfere più spesse, a non lasciare la veste di questi pezzi così spartana.
Questo succede nella prima metà del disco, di gran lunga meglio della sua opposta. Le belle elegie di Cascade e The wild night mettono a nudo un autore placido, con una vena leggera di spleen mai troppo accentuato. La straniante Wild load è un gradevole giochino minimalista, ma alla fine lascia un po' l'amaro in bocca perchè Foljhan avrebbe potuto sperimentare un po' di più, mentre da lì in poi si sbraga in un pugno di sonnolente country-ballads. Che per carità, si fanno anche ascoltare con piacere ma di certo non lo elevano a prim'attore.

venerdì 5 agosto 2011

True Widow - As High As the Highest Heavens... (2011)

Insieme agli Implodes ecco la più bella rivelazione americana della prima metà dell'anno. Fondamentalmente i TW si ispirano a certe splendide pagine degli anni '90 come i Codeine per quanto riguarda il passo, il canto fragile e l'attitudine introspettiva, ma la massiccia dose di fuzz e distorsione impressa dal chitarrista Phillips li porta ad una mistura inedita di doom-dream che li fa sembrare un incrocio fra i primi Low e i Jesu dell'esordio.
Ogni pezzo di As high as... è un piccolo gioiello compositivo che splende di luce propria. Jackil, Wither, Doomser e NH in particolare, snocciolano una moviola fragorosa ed estatica in cui il flebile dualismo vocale fra Phillips e la bassista Estill rafforzano il confronto con la band di Duluth. Ma anche quando la cadenza si risveglia le gemme arrivano come se piovesse: Blooden horse, la vetta assoluta del disco, Skull eyes, Night witches movimentano la greve letargia che aleggia sulle pieces con ispirazione insperata.
Un disco che cresce ascolto dopo ascolto, che esala tutto il suo fascino etereo/sulfureo in piena soluzione di continuità.
Buone ferie.

giovedì 4 agosto 2011

Treponem Pal - Excess & Overdrive (1993)

C'era una volta l'industrial-metal, ovvero nei primi anni '90. I Ministry sbancavano tutti i botteghini, i Nine Inch Nails ci stavano arrivando, ma anche in Europa non si scherzava, con gli svizzeri Young Gods e i francesi Treponem Pal, che qui trovavano la loro consacrazione a livello perlomeno continentale. Isoliamo i Godflesh, che sono sempre stati a sè stanti.
A ripensarci adesso, era un movimento eccitante ed ha lasciato qualche bella testimonianza. Excess & Overdrive non sarà forse ricordato come una pietra miliare e a livello produttivo dimostra tutti i suoi 18 anni; l'enfasi dei TP era tutta spostata sull'ossessività, sui riff chitarristici urticanti e sulla vocalità feroce dell'armadio Neves. Un sound molto lucido ed omogeneo (quasi troppo), privo delle schegge di follia dei Ministry o della creatività di Reznor, alla lunga un po' ripetitivo nel suo dibattersi animalesco.
Ipotizzando di stilare una compilation, però, non si potrebbe non inserire l'highlight Pushing you too far, in cui qualche inserto elettronico dà una bella mano e le chitarre si sgranano un po', allucinate da una forma di psichedelia androide. Molto bello.

mercoledì 3 agosto 2011

Treepeople - Just Kidding (1993)

Il primo gruppo con una certa visibilità di Doug Martsch, che dall'Idaho si trasferì a Seattle con un bell'occhio lungo, infatti intorno al 1989. Incidevano per la C/Z, una indie molto promettente che ai tempi sembrava poter rivaleggiare ad armi pari con la Sub Pop.
Non sono stati nulla di eccezionale ma avendo in dote un asso di tale levatura appare interessante osservarne le radici. Influenzati dai Dinosaur Jr. meno ottundenti, con Just Kidding galleggiavano fra tentazioni grunge, scorie residue di punk-hardcore e persino qualche puntatina di folk-rock.
Un dischetto gradevole e nulla più, con la plusvalenza delle trovate chitarristiche del leader che di tanto in tanto fanno drizzare le orecchie. Di lì a poco si staccò per dare inizio all'avventura Built To Spill, ma quella è decisamente un'altra storia....

martedì 2 agosto 2011

Trans Am - What day is it tonight? (2009)

Ci voleva davvero un documento celebrativo che sintetizzasse le gesta on stage dei veterani di Chapel Hill. L'anno scorso vennero in Italia soltanto per una data e me li persi, peccato perchè da questo live album si intuisce che dev'essere uno spettacolo non trascurabile.
Si copre un arco di ben 15 anni, a partire da ancor prima di esordire ufficialmente su solco digitale, fino al 2008. Ogni dettaglio sembra evidenziare che l'ago della bilancia indica la direzione prettamente '70 rock dei TA: uscito soltanto su doppio vinile, seppur abbinato ad un DVD, privilegia l'approccio fisico del power-trio in luogo delle creazioni più elettroniche, fa bella mostra delle doti tecniche (come prevedibile, il batterista Thomson fa scintille) e gioca ironicamente, col titolo, con le peripezie e lo stile di vita on the road spericolato e ricco di sorprese. Da non perdere, in questo tema, la divertente intervista al bassista Means sulla pagina promozionale della Thrill Jockey riservata a What Day (googlare il titolo del post e sarà la prima page in lista).
Una lunga cavalcata di 17 titoli, in cui un'altra volta si avvera il loro miracolo di non apparire cafoni, vivendo sul sottilissimo filo del rasoio dell'hard-rock più cataclismico e dell'elettronica tedesca più abusata.
Inutile citare pezzi piuttosto che altri; What day è un live roccioso e mozzafiato, compendio riassuntivo essenziale per inquadrare la discografia dei longevi TA(marri).

lunedì 1 agosto 2011

Toshack Highway - Toshack Highway (2000)

Parentesi un po' interlocutoria per Franklin, che all'indomani dello iato a tempo indeterminato degli Swervedriver trovò asilo alla Flower Shop di Robin Proper-Sheppard e assemblò una formazione a supporto dandogli il nome di due calciatori inglesi degli anni '70.
Il songwriting un po' appannato di 99th Dream, uscito appena un anno prima, lo aveva inchiodato ad una fase non proprio felice. Così, non si sa quanto per voler cercare nuove strade o per effettiva carenza d'ispirazione compositiva, Franklin retrocedette verso una psichedelia morbida, languida, d'ambiente, ricca di tastiere analogiche e per metà strumentale.
Quindi, un album fatto di calma serafica ed estatica che sa far germogliare qualche bel momento fra i quadretti senza parole (l'arcobaleno dub di Waking up, le cinematiche Theme e Harlem, la riflessiva Just landed) e i pezzi convenzionalmente cantati (Wurlitzer Walzer, Toshackinblack), scanditi dalla tipica voce pigra ed espressiva di Franklin, a suo agio anche su tappetini di tal guisa.
Peccato che l'altra metà del disco sia davvero inconcludente, fra tentativi fuori portata (c'è addirittura un pezzo di ethnic-world che proprio non c'entra niente) e sterili riempitivi che andavano accuratamente preservati sullo scaffale degli scarti. A causa di ciò, Toshack Highway non si può definire certo una delle vette artistiche di Franklin.