E' un cantautorato molto lucido quello che Foljhan propose in questa sede, rinunciando alle ritmiche di Shelley che l'aveva accompagnato fin dall'inizio del progetto. Chitarra acustica e voce profonda marcano la chiara appartenenza folk, che guarda indietro fino ai '60, in questo senso intendo la lucidità. Ma di tanto in tanto compare qualche tastiera a rendere le atmosfere più spesse, a non lasciare la veste di questi pezzi così spartana.
Questo succede nella prima metà del disco, di gran lunga meglio della sua opposta. Le belle elegie di Cascade e The wild night mettono a nudo un autore placido, con una vena leggera di spleen mai troppo accentuato. La straniante Wild load è un gradevole giochino minimalista, ma alla fine lascia un po' l'amaro in bocca perchè Foljhan avrebbe potuto sperimentare un po' di più, mentre da lì in poi si sbraga in un pugno di sonnolente country-ballads. Che per carità, si fanno anche ascoltare con piacere ma di certo non lo elevano a prim'attore.
Questo succede nella prima metà del disco, di gran lunga meglio della sua opposta. Le belle elegie di Cascade e The wild night mettono a nudo un autore placido, con una vena leggera di spleen mai troppo accentuato. La straniante Wild load è un gradevole giochino minimalista, ma alla fine lascia un po' l'amaro in bocca perchè Foljhan avrebbe potuto sperimentare un po' di più, mentre da lì in poi si sbraga in un pugno di sonnolente country-ballads. Che per carità, si fanno anche ascoltare con piacere ma di certo non lo elevano a prim'attore.
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