sabato 6 giugno 2015

Cure - Reflections Tour 2011-11-26 Live Beacon Theatre New York

Devo ammettere, pensavo ad una stampa ufficiale dell'impresa titanica che Ciccio Smith e compagni hanno compiuto 4 anni fa in una decina di date fra Australia, Londra e Stati Uniti. Peccato che non si sia concretizzato, sarebbe stato l'highlight della vecchiaia più di Trilogy.
Vista la sterilità produttiva che sembra aver investito il gruppo da oltre 10 anni, cos'è rimasto ormai se non celebrare il proprio passato, possibilmente quello più remoto possibile? A me resta scavare fra i bootleg reperibili e selezionare quello che si sente meglio, ovvero uno fra i 3 della grande mela.
Reflections è stato un atto di forza, una sfida nella sfida, ma anche un atto di eterno amore nei confronti dell'oceano di fans. La faticaccia di suonare una cinquantina di pezzi, per oltre 3 ore, a 50 anni suonati, non è scontata per nulla.
A parte l'ammirazione concettuale che secondo me dovrebbe essere oggettiva e al di sopra di ogni legame filologico, è una pacchia, una manna dal cielo, una bazza: i primi 3 album sparati uno dietro l'altro, ordinatamente. L'energia dirompente e l'ironia post-adolescenziale tutta british di Three imaginary boys. L'introspezione velenosa e tagliente di Seventeen seconds. La sacralità e il culto gotico di Faith. Il tutto eseguito in maniera eccezionale, col piacere di avere il miglior batterista della storia dei Cure, con l'inattesa quanto funzionale comparsata di Tolhurst, e pazienza se Ciccio Smith ogni tanto ha il fiatone, mica c'ha 20 anni (che sia stato questo il motivo della non-ufficializzazione discografica??).
L'incredulità prosegue nel 4° set, un bonus in cui si divertono a ripescare singoli, b-sides e chicche assortite. Obbligatorio eseguire certi classici, certo; una sorpresona le b-sides, ancor di più l'antichissimo scherzo white-funk Do The hansa, risalente agli albori assoluti. Inaudito infine infilare due fra le cose più ostiche che abbiano mai fatto, lo strumentale ipnotico Descent e il delirio acido-tribaleggiante Splintered in her head, possibilmente l'incubo peggiore mai prodotto in studio insieme a Pornography (qua piuttosto umanizzato, a dirla tutta).
Come se non bastasse, al termine un settetto di pezzi assortiti fra l'83 e l'85, come a dire; intanto che ci siamo, chiudiamo col pop e mandiamo a casa tutti contenti, dal primo all'ultimo. Non ce ne sarebbe stato bisogno, chè già eravamo fra le nuvole.

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