venerdì 27 febbraio 2015

Planning For Burial - 3 EPs 2011-2012

Un po' demoralizzato dal recente Desideratum, corro a cercare di rinfrancarmi su 3 uscite minori di Wasluck, uscite su cassetta o su cd-r.
Con una maggior cura generale ed un accurata selezione del materiale migliore, con questi 3 EP avrebbe potuto far uscire un seguito degno del micidiale Leaving. Nel segno delle sue contraddizioni, il giovanottone del New Jersey si rivolta fra vulcanici doom-gaze, laconici slow-core, incerti galleggiamenti cantautorali e meditazioni ambientali.
In ognuno dei 3 c'è almeno un pezzo che avrebbe meritato di stare su quel grande debutto: su Late twenties blues c'è quello emblematicamente titolato I put Red House Painters on a mixtape for you, sorta di sporca letargia spaziale alla Have A Nice Life. 
Untitled apre con il solenne doom-gaze urlato al parossismo I hope you'll pick me down, ma subito dopo c'è Annick, perla di minimalismo notturno dalle parti dei Pan American.
Su Quietly si parte con lo splendido slow-core Bleached body per poi divagare su una serie di abbozzi, parecchio suggestivi per la maggior parte, ma troppo lo-fi e sfocati per valorizzare l'enorme potenziale di Wasluck. 
A prescindere da questi, spero vivamente che ritrovi la forma dell'esordio.

martedì 24 febbraio 2015

Cheer-Accident ‎- No Ifs, Ands Or Dogs (2011)

Chicagoani, guidati dal batterista Thymme Jones, hanno attraversato 30 anni di sottobosco americano riuscendo a sopravvivere in chissà qual modo, senza mai aderire veramente ad una tendenza ben precisa. Nei primi anni '00 furono ingaggiati dalla Skin Graft, riuscendo quindi a farsi sentire anche dal pubblico del noise-rock. Prima, a metà anni '90, Jones era riuscito a farsi conoscere per via della collaborazione con Gray e O'Rourke sfociata nel progetto Brise Glace. Nulla comunque che avesse molto a che vedere col classico suono dei Cheer-Accident: un bizzarro miscuglio di math-rock e zeuhl-Rio.
Che in quest'ultimo episodio assume spesso sembianze quasi pop, specialmente nell'uso delle voci in una buona parte dei pezzi, in cui sembra che tutto stia svoltando verso un territorio dolciastro e ruffiano, salvo poi essere smentiti da qualche bella aria canterburyana (o nel migliore dei casi, dalle parti di Zoogz Rift). Per poi essere adombrati da un'imponente marzialità Magma-tica, qualche fraseggio frippiano, qualche schitarrata noise di quelle nobili.
Insomma, roba su cui c'è poco da scherzare. Roba in cui questi veterani dalla grande tecnica sguazzano dentro alla grande, e non a caso sono approdati su Cuneiform da pochi anni. Una sorta di premio alla carriera.

sabato 21 febbraio 2015

Oxbow - Love's Holiday Orchestra (2008) + Stone & Towering Edifice - Live At The BAM (2011)

Sono sempre riempitivi, certo, ma di valore nobile: ovvero quelli che soltanto certi mostri possono permettersi senza rischio di sfigurare.
Peraltro trattasi entrambi di live acustici, ma non ci si aspetti carinerie o delicatezze di nessun tipo. Con la spina staccata gli Oxbow non rinunciano per nulla al loro mordente, al sarcasmo e all'aggressività diagonale. Anzi, Robinson in questa veste finisce per essere ancor più devastante.
Love's holiday orchestra è una registrazione del 2007 in duo con Wenner, con l'ospitata di due eminenze come Broadrick e O'Malley a seminare terrore nel caos di 19 minuti in You pay first.
Stone & Towering ritrova il quartetto completo ed è più avvincente anche per l'esame delle dinamiche interne. Davis lascia volontariamente colpi per strada per non appesantire ma il tocco duro alla batteria resta immutato. Adams abbraccia un violoncello, per la verità molto spesso sotto la soglia dell'udibile (i livelli di registrazione sono insoddisfacenti, e non solo per questo). L'insieme, alla resa dei conti, esalta il gruppo e fa risaltare in primis la grandezza di Wenner come compositore ma anche come chitarrista acustico. Il repertorio, poi, pesca equamente da tutta la loro storia e quando si arriva alla superba rendition di The Valley (anno 1989, Fuckfest), l'emozione percorre le braccia e fa alzare i peli.

mercoledì 18 febbraio 2015

Harold Budd - The pavillon of dreams (1978)

Potrebbe essere arduo definire Budd un compositore ambient, in quanto la sua opera e soprattutto questo disco non portano esattamente alla distrazione e all'avvolgimento come faceva invece Eno in quel periodo. Eppure il tocco delicatissimo di Pavillon portava alla luce un talento rimasto probabilmente irripetibile, in possesso del tocco serioso della musica colta unito ad una speciale attenzione per la passionalità, seppure fragile, debordante.
Alla pari dei Popol Vuh di qualche anno prima (cioè contemporanei alla composizione del materiale), Budd applicava la lezione della sottrazione creando una musica estatica/estasiata per arrangiamenti nitidi e ridotti all'essenziale nonostante il gran numero dei collaboratori impiegati. Le 4 pieces si snodano attraverso schemi semplici condotti dal piano, già di per sè splendidi, impreziositi dall'uso sparso ed elegante di sax, arpa, marimba, vibes e voci. Basta già Bismillahi 'rahman 'rahim per prendere il volo e sprofondare in una specie di sogno cinematico.
Non c'è ombra di salotto qui. Magnifico.

domenica 15 febbraio 2015

Kukan Gendai - 2 (2013)

Viva ancora il Japan, che periodicamente produce qualcosa di geniale come i KG, power-trio autore di una sottospecie di math-rock incidentato. Non so quanta influenza su di loro esercitino i Massacre di Killing Time, il primo pensiero che mi è capitato in testa; al termine del disco però so che da circa 14 anni non capitava di trovarmi di fronte ad una concettualità così Storm & Stressing.
2 lo si ascolta con attenzione, con una consapevolezza: questo è math puro, ma non arrendiamoci subito, cerchiamo di seguirlo un po'. E così si scopre che le strutture sono tutt'altro che intricate, soltanto che c'è sempre qualcosa che non torna. Così tramite un ottimo articolo di Savini su BU scopro una dichiarazione programmatica che vale più di qualsiasi parere; 
Abbiamo suonato e registrato ogni strumento separatamente, uno per volta, cercando di enfatizzare i silenzi e la goffaggine dei giunti delle nostre composizioni, il loro difficile arrancare per trovare una forma. In pratica abbiamo cercato di riprodurre, suonando, lo stesso clima di tensione che probabilmente avverte il pubblico ai nostri concerti. Dal vivo utilizziamo anche qualche macchina che crea appositamente degli errori, delle fratture ritmiche, così ogni volta il risultato sarà diverso.

giovedì 12 febbraio 2015

Cloud Nothings - Attack on memory (2012)

Giovane formazione americana tendente all'hardcore-pop-grunge di cui non me ne sarebbe fregato assolutamente nulla se non fosse per un quarto d'ora entusiasmante di ruspante revivalismo fine '80/inizio '90 contenuto all'inizio di Attack on memory. Considerato che gran parte del grunge tende ad invecchiare maluccio, è impresa meritevole di lode.
L'iniziale No future/no past è una litania depressa, sostanzialmente un fermo immagine dell'ultimo Cobain, cinico e fatalista, ma che ricorda vagamente anche i Van Pelt. Quando ad un minuto dalla fine il pezzo sembra decidersi a decollare, la produzione di Albini fa il primo grosso regalo al gruppo ricreando in tutto e per tutto il suono di In utero.
La sensazione vera è Wasted days, classificabile come uno dei migliori pezzi mai scritti dagli Husker Du altezza '83/85, che parte subito come un siluro a presa immediata e poi deraglia in una specie di jam iper-nevrotica con effetti deliranti, fino alla durata finale di 9 minuti.
Sembrerebbe di trovarsi di fronte ad un capolavoro, ma il resto del disco getta bruscamente acqua sul fuoco facendo scendere in verticale la soglia dell'attenzione. Esclusa un'altra buona mutuazione nirvaniana (No Sentiment), i 5 pezzi residui parlano un linguaggio punk-pop con poca personalità e piuttosto scontato, mille volte inferiore a quel quarto d'ora da orgoglio in flanella.

lunedì 9 febbraio 2015

Screams from the list 3 - Bomis Prendin - Test (1979)

Una delle scoperte più eccitanti della list è questo gruppo di mattacchioni di Washington che incredibilmente risulta essere ancora attivo, nonostante una decina scarsa di pubblicazioni di vario formato in 35 anni. Non si potrà dire che hanno inflazionato il mercato.
La mezz'oretta contenuta in Test è fulminante, un bignami di follia schizofrenica senza alcuna regola. Stapleton fu davvero veloce nell'intercettarli e porli sulla lista, vista la contemporaneità di Chance meeting. Gli estremi temporali del disco sono le cose meno anormali, o per meglio dire musicali in senso stretto: lo stomp spastico di Rastamunkies sembra mettere subito di buon umore, la seconda Artemia salinas è una splendida elegia allo sballo; in coda Auto-acupuncture chiude con una cantilena acidissima carica di nastri ed effetti.
E' quello che c'è nel mezzo che fa sensazione; dei Vas Deferens Organization lo-fi con 15 anni di anticipo, dei Residents con la smania di fare più rumore possibile, dei Throbbing Gristle con molto più senso dell'umorismo, un Helios Creed totalmente fuori controllo. In tutto questo caos di sirene, spirali, corde martoriate, fischi, bubboni e pedali, appare miracolosamente una visione, che non è per nulla naif. Come avvertono sul proprio sito, questo suono contiene powerful psychoacoustic resonant frequencies that actually alter your brain waves as you listen...

venerdì 6 febbraio 2015

Flying Lizards - Flying Lizards (1979)

Brillante caposaldo di art-wave intelletualoide contaminata di pop ed elettronica. Cunningham, la mente dietro l'operazione, escogitava un metodo di composizione in grado di fondere melodie ammiccanti con l'avanguardia, e con un senso dell'ironia fortemente palpabile. Le continue e bizzarre trovate sonore lo renderanno poi più produttore che musicista, attività che ha continuato a svolgere piuttosto saltuariamente,
In un certo senso il disco è un po' il contraltare colto e raffinato del primo Swell Maps; Cunningham non proveniva dal punk ma assimilava certe tendenze della new-wave (qualche basso in stile Gang Of Four, le ritmiche secche e scandite) ed aveva appreso lezione di Brian Eno in merito ai suoni. La seconda metà della scaletta è  memorabile perchè lascia perdere il pop e si concentra sull'avanguardia elettronica, includendo un paio di proto techno-trance da brivido (The Flood, Trouble). A dispetto dell'irritazione che mi provocano i due pezzi più smaccatamente accattivanti, resta un disco geniale.

martedì 3 febbraio 2015

Chrome - Half Machine From The Sun (The Lost Chrome Tracks from '79-'80) (2013)

Sono stato assalito dalla paura, alla notizia di questo reperto; ciofeca o reliquia? Alla fine la risposta sta più verso la seconda, con l'unico rimpianto che se Edge & Creed avessero potuto produrre ed editare meglio il materiale ci sarebbe stato un altro capolavoro nella loro storia.
Infatti sono 18 tracce registrate fra Half machine lip moves e Red Exposure, quindi verso la fine del loro periodo aureo. Si intuisce che alcune erano soltanto abbozzate (la durata eccessiva, la linearità degli spunti), ma la quantità e varietà di idee che il duo sapeva estrarre è ancora sorprendente, segno di un momento di cambiamento nella loro produzione ma anche di fertilità artistica.
Vi troviamo più o meno tutte le variazioni del Chrome-sound: l'acid-punk sostenuto, l'allucinazione ai limiti dell'industriale, lo sci-fi-wave minaccioso, la gag astratta. Ciò che stupisce maggiormente è un paio di pezzi molto asciutti in stile new-wave di cui uno, Something rhythmic, era potenzialmente un hit, a detta di Creed stesso.
Ottimo compendio; aggiunge qualcosina alla storia e non abbassa la media, quindi missione di ripescaggio perfettamente riuscita.