mercoledì 18 febbraio 2015

Harold Budd - The pavillon of dreams (1978)

Potrebbe essere arduo definire Budd un compositore ambient, in quanto la sua opera e soprattutto questo disco non portano esattamente alla distrazione e all'avvolgimento come faceva invece Eno in quel periodo. Eppure il tocco delicatissimo di Pavillon portava alla luce un talento rimasto probabilmente irripetibile, in possesso del tocco serioso della musica colta unito ad una speciale attenzione per la passionalità, seppure fragile, debordante.
Alla pari dei Popol Vuh di qualche anno prima (cioè contemporanei alla composizione del materiale), Budd applicava la lezione della sottrazione creando una musica estatica/estasiata per arrangiamenti nitidi e ridotti all'essenziale nonostante il gran numero dei collaboratori impiegati. Le 4 pieces si snodano attraverso schemi semplici condotti dal piano, già di per sè splendidi, impreziositi dall'uso sparso ed elegante di sax, arpa, marimba, vibes e voci. Basta già Bismillahi 'rahman 'rahim per prendere il volo e sprofondare in una specie di sogno cinematico.
Non c'è ombra di salotto qui. Magnifico.

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