lunedì 12 settembre 2022

Iosonouncane – Ira (2021)


Cantautore sardo che in passato ho ignorato per futili e snobistici motivi, lo ammetto. Il monicker non particolarmente attrattivo e soprattutto l'affiancamento (sbagliatissimo, ma da qualche parte l'avrò letto) ad altri interpreti connazionali che poi sono andati a vincere Sanremo, e per me interessanti soltanto in sede di programmi TV di satira politica. Chiusa parentesi, ovviamente non ho potuto ignorare il fatto che Ira sia stato sbandierato ovunque come un capolavoro di art-avant e devo dire che si tratta senza alcun dubbio di un lavoro importante, che merita la maggiore attenzione possibile.

Jacopo Incani si è preso un lustro per concepire quest'opera di dimensioni colossali e di impatto ottundente, rivendicandolo nelle interviste come un disco apertamente politico. Perchè è politico di questi tempi uscirsene con un oggetto di quasi 2 ore, di ascolto così impegnativo, con dei riferimenti così ingombranti, anche se la cifra stilistica personale è molto marcata, soprattutto nell'utilizzo del canto che è declinato in una specie di Esperanto solista, che sembra ricalcare le grammatiche inglesi ma utilizzando pronunce fonetiche italo-spagnole. Nella maggior parte del percorso sonoro, sono gli aperti contrasti a brillare: i ritmi nord-africanti vs. quelli techno, le algide striature elettroniche vs. i richiami ancestrali di piano e dei mellotron, spesso presenti. Il tutto declinato in pezzi che non durano mai meno di 4 minuti e si estendono fino ai 10'.

Impossibile non pensare a Thom Yorke & Radiohead quando Incani acutizza il suo falsetto su tessiture scabre e fantasmatiche (mi ritorna in mente la metafora di PS per il suono di Kid A, quel ....come una carcassa nei boschi....che credo sarebbe appropriata anche per Ira), e penso che i fan degli inglesi dovrebbero dare una chance a questo monolite, armandosi di pazienza e apertura mentale. Ma ci sono tante altre sfere di influenza, che Incani peraltro ha onestamente denunciato: Swans, Robert Wyatt, Residents, roba forte e storica. Io aggiungerei anche gli ultimi Talk Talk e perchè no, gli Audiac traslati in un contesto mediterraneo, ma non per questo meno raffinato.

Il limite più grande di Ira sta nella sua lunghezza, so che è borioso da dire perchè si tratta di un prodotto che non dovrebbe essere considerato come un disco, ma come una forma d'arte che non va confinata bensì fatta risuonare nelle coscienze di chi ci si dedica. Comprendo perfettamente che la sua omogeneità è tale da renderlo un corpo unico, e grazie ad essa sostengo che è quasi impossibile trovare momenti di stanca. Occorrerebbe prendersi qualche giorno e far girare soltanto questo, isolandosi da altri ascolti. Non è escluso che lo faccia: sarebbe un andare controcorrente le mie abitudini, un'azione in difesa della libertà personale, un gesto di responsabilità a favore di questo presunto atto politico. Per una volta non è così male allinearsi alla critica mainstream; probabile disco dell'anno scorso.

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