venerdì 9 settembre 2022

Holy Sons – Survivalist Tales! (2010)


Se solo ne avessi voglia e riuscissi ad essere un po' più coerente con gli ascolti (non mi lamento più di non avere il tempo, perchè sarebbe ipocrita nei confronti della vita), fermerei il blog, dedicherei un paio di settimane ad ascoltare tutti i 15 album che Emil Amos ha pubblicato dal 2000 ad oggi e ne scriverei un'approfondita monografia con tutte le info reperibili, che sono pochissime, in modo da esserne facilitato. Questo non è possibile e allora ogni tanto me ne ascolto uno, col rimpianto che probabilmente dietro l'angolo ce n'è uno più bello.

Di conseguenza non so se Survivalist Tales!, tappa mediana della sua discografia, sia più o meno bello degli altri. So per certo che serve le componenti essenziali di questo grande cantautore che, se fosse nato 25/30 anni prima, sarebbe diventato un gigante della sua generazione, contesti sociali permettendo. Il suo songwriting contiene tutto il dolore, il piacere, la sofferenza e la gioia del mondo, lo stordimento delle droghe, le visioni alterate e la lucidità della grande bellezza, l'imponenza pantagruelica dei Grails, lo straniamento ad un passo dal dub (Payoff, mozzafiato), l'ancestralità di Neil Young (Slow Days), la raffinatezza e l'eleganza dei Pink Floyd wrightiani (A Chapter must be closed e Reckless liberation, clamorosità), in un contesto disomogeneo che fa il filo allo spirito perfettamente inquieto del Nostro. 

Che forse non avrà mai fatto un disco capolavoro, perchè sarebbe stato troppo scontato e faticoso. Chè forse i suoi dischi funzionano meglio così, incerti e sul punto di crollare, un po' mimetizzati e pudici, trasudanti tutti i sentimenti.

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