domenica 29 marzo 2015

Grains - Cranes (2009)

In tempi in cui il sovraccarico di informazioni è scontato, fa ancora fascino trovare personaggi di cui si sa poco o nulla. Non a caso trattasi di un reduce dei '90. Grains è tale Rob Williams, ai tempi in un tal gruppo chiamato Ubzub, che non ho mai ascoltato. Per chi li abbia conosciuti all'epoca, invece, questa recensione forse è abbastanza esaustiva.
Nel 2009 ha rilasciato questo CDr (promotrice un etichetta italiana dedita al weird-folk che durò solo un paio d'anni) che contiene esclusivamente pezzi per chitarra acustica, qualche voce sparsa, qualche tastiera e ben poco altro. E' un disco fantasma, talmente assente e svanito che si rischia di perdere la cognizione del tempo durante l'ascolto (è abbastanza lungo, comunque). Oltretutto è in maggior parte strumentale, le chitarre sembrano lievemente scordate, le sequenze sono ripetitive fino all'ossessione. Williams non sembra essere tanto a posto con la testa.
Soltanto nel finale tira fuori la voce, come se il torpore in cui era sprofondato si interrompesse, ma non del tutto. Compare quindi anche un po' di retaggio psichedelico, e all'orizzonte si materializza persino lo spettro dei Supreme Dicks, acustici e senza batteria.
Sulla carta uno dei dischi più pallosi della storia. Per me è stupendo.

giovedì 26 marzo 2015

Vss - The skin of tiny teeth + Live 1997 (2008)

Aggiunta alla ristampa di Nervous circuits rilasciata da Hydra Head nel 2008, consistente in una manciata di inediti + un live del 1997. Per tacere del dvd allegato: un'operazione che credo sia stata appannaggio di pochi fan e nostalgici, e che fa anche riflettere sulle cause che hanno portato la gloriosa etichetta di Aaron Martin a congelare le attività nel 2012.
Non che non la meritassero, quest'operazione: i Vss erano un'anello-simbolo di congiunzione fra post-hardcore, noise e art-rock ed infatti il percorso di alcuni loro membri ne è stata chiara dimostrazione. Fra gli inediti, probabilmente risalenti alla prima fase di vita del gruppo per la maggior incidenza delle chitarre, spicca una brutale cover di No hands degli Echo & The Bunnymen. Per quanto riguarda il live, è un baccanale infernale che, malgrado la non eccelsa qualità della registrazione, colpisce con la sua ossessività, con le urla belluine del vocalist ed una concitazione esecutiva che non ha molti paragoni negli anni '90.

lunedì 23 marzo 2015

Lucio Battisti - Amore e non amore + Le Tre Verità (1971)

Può essere considerato l'ingresso nell'età adulta, uno spartiacque fra Vol. 4 e Il mio canto libero non soltanto temporale, ma anche concettuale in tutti i versi.
E' un disco fatto di saliscendi; Amore (i 4 pezzi cantati) vs. non amore (i 4 strumentali), o viceversa, le liriche infarcite di ironia e doppi sensi di Mogol vs. 4 sonorizzazioni forse, chissà, destinate ad essere messe in pista col canto ma poi rimaste così, fortunatamente sostengo io. Quasi inutile ribadire che rappresentano il piatto forte del lotto, anche se fra gli altri si fanno ricordare lo shuffle a rotta di collo di Se la mia pelle vuoi, divertente e animalesco, e l'acustica Supermarket, dal testo memorabile.
Titolati magistralmente da Mogol, i 4 strumentali esplorano ciascuno un area diversa; latin-soul, folk visionario e cinematico, spleen dolente e gospel bianco trionfante. Ci sono anticipi delle meraviglie che Battisti sfornerà nei 3-4 anni successivi; non è un disco che viene ricordato molto ma è giusto ripescarlo.
Sempre del 1971 è il 7" Le tre verità, altro pezzo simbolo della chiusura di un epoca. Semplicemente magnifico, forte di una fitta ragnatela di arpeggi della 12 corde elettrificata, una serie micidiale di stop and go ed un trasporto emotivo/drammatico che ha pochi eguali nel catalogo del Maestro. 
Si scusi sempre er guanto.

venerdì 20 marzo 2015

Jesu - Ascension (2011)

Due anni dopo Infinity, Broadrick tornava ad irradiare la sua estasi metallica e lo faceva accasandosi, anche se solo per quest'episodio, alla Caldo Verde di Mark Kozelek.
E molto curiosamente le sonorità, quando sono spogliate dalla mazza ferrata chitarristica, si fanno vicine ai Red House Painters. Quasi inaudito.
A me è venuto quasi un colpo, ascoltando la seconda parte di Black Lies o le estremità di Fools; l'imprinting è kozelekiano fino al midollo, ritmi lenti e ben scanditi, filigrane acustiche, il canto sognante ma sofferto, l'emotività distaccata ma da far propria all'istante.
Ma a parte questi episodi limite, quasi tutto Ascension vive di un ispirazione melodica superiore ai capitoli precedenti, in un processo poi proseguito felicemente nel 2013 con Everyday... I punti di contatto con Conqueror ci sono ancora, e sono di altissimo livello (Broken home su tutti), ma il colpo Ascension lo assesta al cuore, diretto. Col distorsore a manetta.

martedì 17 marzo 2015

Brian Eno - Music For Films (1978) + Ambient 4 On Land (1982)

Tre anni dopo il tentativo parzialmente riuscito di Discreet Music e subito prima del rivoluzionario Music for airports, un'altra programmatica raccolta chiamata Musica Per Films illuminò il tracciato ambientale del genio di Woodbridge.
Trattasi del disco se vogliamo più library del suo percorso, composto di 18 vignette estatiche e sognanti, perlopiù di breve durata. Gli ospiti sono di tutto rispetto (Frith e Cale i nomi più famosi), l'effetto è quello per l'appunto della sonorizzazione di un sogno cinematico.
Quattro anni dopo, a seguito di un importante filotto di collaborazioni, il ritorno in solitaria con Ambient 4: On Land segnava un astrattismo cosmico per bordoni e miraggi, a suo modo precursore della dark-ambient meno lugubre, sintomatico di un'ipotetica tempesta in arrivo.
Inutile dilungarsi sull'importanza.

sabato 14 marzo 2015

Gnaw - Horrible Chamber (2013)

Dubin è una forza della natura, non soltanto a causa della sua acre, instancabile ugola (vedere un qualsiasi video live è garanzia di non manipolazione), ma anche dello spirito di ricerca che puntualmente propone, senza fretta. Passati 4 anni da This Face, gli Gnaw tornano con un disco meno delirante, molto più orientato sul doom metalloso. Le chitarre colpiscono nel profondo col feedback, le ritmiche sono stra-fratturate come da manuale (il batterista costantemente nervoso sui piatti), la componente elettronica/rumorista si isola un po' anzichè fondersi nel contesto come nel debutto. Sembra il frutto di un gruppo che ha più suonato dal vivo che provato in studio, e il sacro fantasma di Khanate si staglia all'orizzonte in diverse occasioni.
La verbosità di Dubin fa il resto. Non ha il furore creativo e subdolo di This Face, è frontale e diretto. Il giudizio pertanto dipende dai punti di vista. Per me c'è da goderne.

mercoledì 11 marzo 2015

Screams From The List 4 - Taj Mahal Travellers ‎– August 1974 (1975)

L'urlo più forte emesso dalla lista.
E' andata così: ogni tanto mi interrogavo pensando non è possibile che in Giappone nei '70 non siano emersi fenomeni di rilievo mondiale, devono aver dato altro che non conosco. Poi, circa un anno e mezzo fa, incoccio senza troppa fiducia nei Taj Mahal Travellers. Come spesso accade, eccomi servita l'occasione grazie a Vlad. Li avevo già sentiti nominare, ma non li avevo mai ascoltati perchè a prima vista il nome e l'estetica mi sembravano troppo hippy per i miei gusti. 
Invece sbam. Me la sentivo che il Giappone doveva aver sfornato altri extra-terrestri oltre ai pochi da me conosciuti. Sì, credo che 40 anni e passa certifichino senza alcun ombra di dubbio la strepitosità di quanto il sestetto ha prodotto: tre album dal vivo, potenzialmente dalla durata illimitata, contrassegnati da una lungimiranza impressionante e composti da una fusione irripetibile fra avanguardia, elettronica e world-music. Tre live che fanno piazza pulita e riducono in poltiglia l'esercito intero del weird-folk, dell'electro-folk, della neo-psichedelia, del drone, e quant'altro.
Stendetevi al buio, sul vostro divano preferito, ed iniettatevi questo itinerario mentale. direttamente in vena.

domenica 8 marzo 2015

Mark Eitzel - Don't Be A Stranger (2012)

L'aspetto fisico invecchia, la grande voce non si inerpica più come un tempo, ma Eitzel resta integro e, cosa che più conta, insperabilmente ispirato.
Con gli AMC fermi al palo dal mediocre Golden Age del 2008, ha ripreso coraggio e forza nel rilasciare materiale solista, anche a distanza abbastanza serrata. Di questa rinascita Don't be a stranger è secondo me il meglio. L'evidenza più solida è un relativo ritorno alle sonorità di metà anni '90, fra Caught in a trap... e West, per il lirismo elettrico e l'acusticheria del primo e per l'eleganza formale del secondo.
La curiosità è che bastano i primi due pezzi a mettere k.o. al punto che si tende a fare marcia indietro, rischiando di semi-ignorare la seconda parte che ripiega su temi estremamente confidenziali e raccolti, che mostrano l'emotività disarmante di un eroe dei nostri giorni. Appresa la cosa, mi appresto a far ripartire il flusso.

giovedì 5 marzo 2015

In Zaire - White Sun Black Sun (2013)

Quartetto in cui figurano due personaggi che stimo come Pilia, forse il miglior chitarrista italiano degli ultimi 10 anni, e Rocchetti, elettronico. Insieme fanno (hanno fatto?) parte dei 3/4Hadbeeneliminated, per me autori del disco dell'anno 2010.
Ciò che propongono insieme alla sezione ritmica De Zan-Biondetti è uno psych-hard-rock strumentale acido e pestato. I pezzi sono essenzialmente delle jams delineate (per fortuna il minutaggio resta abbastanza contenuto), sviluppate attorno ad un tema portante che si ripete senza variazioni.
Le mie considerazioni sono un po' cattivelle sul contesto: se da un lato i 4 sembrano voler fornire una risposta un po' più prodotta rispetto alla media del filone italian-occult-psychedelia, dall'altro mi sento di dire che non avevamo bisogno di una proposta che dopotutto non offre nulla di nuovo, nè in fatto di suoni nè soprattutto in campo creativo. Magari Pilia avrà bisogno di un progetto un po' defatigante e come tutti ha bisogno di lavorare. Di sicuro, in questa concettualità sonica i Great Saunites sono infinitamente meglio.

lunedì 2 marzo 2015

Eluvium - Similes (2010)

Nel segno di un percorso sempre più interessante, Cooper ci ha fatto attendere 3 anni dopo il suo (neo-)classico Copia per dare un altra dimostrazione del suo talento. In Similes infatti spicca una propensione inedita al cantautorato ambient, e non soltanto per la comparsa di un timido ed incerto canto in una buona metà dell'album. Le strutture circolari, sempre all'insegna di un trasognato scenario ambientale, richiamano a tratti le saghe oniriche di Keith Kenniff. La ricerca dei suoni è sempre accurata, senza mai debordare troppo nei droni nè sui riverberi.
Ma per quante similitudini si possano trovare (sarà anche una questione personale, ma a me Weird creatures ricorda il Sylvian di Gone To Earth), alla fine trionfa sempre il bagaglio sensibile di questo discreto, gentile, sopraffino artigiano. Ce lo teniamo stretto, qualsiasi cosa faccia. Per adesso non ha ancora sbagliato nulla.