Lo strano cammino di Pyle in due
uscite piuttosto rappresentative della sua schizofrenia produttiva.
Ricapitolando in breve; ha iniziato nel 2008 con una elettroacustica
sporca e stridente, si è imposto nel 2010 con l'afro-cosmic dell'ottimo Psychical, ha transitato velocemente nel 2011 nell'ipnagogia suadente di Crossing the pass (per certi versi vicino a quanto fa Kirby sotto il moniker The Stranger), si è concesso un passaggio nel sound-collaging con Interval signal, per poi svoltare bruscamente nelle ultime produzioni verso un territorio che in pochi forse avrebbero immaginato.
Mattioli
non ha apprezzato ed è anche comprensibile; per chi è rimasto
impressionato dalle sue prime prove dev'esser stato spiazzante
verificare che Pyle si sia dato ad un gotico-etereo che sa di 4AD primi
anni '80, di Lycia e soprattutto di Black Tape For A Blue Girl. Ovvio
che stiamo parlando di ottimi riferimenti, ma lo è stato anche per me;
eppure, vista la perseveranza discografica (3 capitoli in un anno
scarso) c'è da credere in questa visione. Anche perchè il suono è
fascinoso e ben costruito e i pezzi sono gradevoli. Melt into nothing forse stabilisce un punto di non ritorno, è c'è da immaginare che Pyle stia progettando un'altra svolta.
Un capitolo cruciale della sua prima fase invece era Standing still, che potrebbe essere incasellato persino alla voce black-library.
Fra droni impenetrabili, tonfi galattici ed incubi orchestrali, si
aggira sinistra l'ombra dell'Egisto Macchi dei primi anni '70. Dire
minaccioso è poco.
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