Suonare la chitarra con l'archetto non è certo una novità, si sa. E' invece una novità reinventarne la gamma timbrica e sonora, grazie non solo ai dispositivi disponibili ma anche al luogo di registrazione (una grotta, nel caso di questo disco) ed all'immaginazione del chitarrista in questione, il norvegese Westerhus.
La sua è una tecnica estrema: mi viene in mente Ambarchi come presupposti di partenza, ovvero "non far mai notare che questi suoni non provengono da una sei corde". Al contrario delle prime prove dell'australiano, però, SW esterna degli stati d'animo, terrore, stupore, angoscia, cadute nel vuoto, ilarità, allucinazioni, non-sense. The matriarch è molto difficile da ascoltare, direi per gli stomaci abituati alla dark-ambient, che tange soltanto di striscio. Una volta fatto l'orecchio, si rivela terrificante in tutti i sensi.
Sidsel Endresen viene laconicamente presentata in rete come una cantante jazz. La sera in cui vidi suonare questa strana coppia dal vivo, non restai particolarmente impressionato dai suoi vocalizzi, al contrario di Westerhus che mi colpì in diretta. Ma è sempre la solita storia, occorre più di un ascolto per scavare nel concetto di un opera, se lo si trova. Didymoi dreams è la registrazione di un live del 2011, pecca di un eccessiva frammentarietà, causata forse dal fattore impro, quindi l'ascolto è ancora più ostico. Ma quando lei gioca a fare la Galas e lui si scatena, l'impatto è assicurato. Per pochi, comunque.
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