mercoledì 30 novembre 2016

Robert Wyatt ‎– The Animals Film (1982)

Un bel lusso, avere RW come autore della colonna sonora, ma è chiaro che non si trattò di una congiuntura da industria: innanzitutto il film era un documentario animalista contro la vivisezione, in quegli anni Wyatt era all'apice del suo impegno politico al punto di aver lasciato la musica in secondo piano, con tutti quei singoli  di cover popolari francamente inutili (a livello musicale).
Eppure, nonostante la sua funzione di servizio, The animals film testimoniava che il Maestro era ancora in forma per fare qualcosa di diverso: in neanche mezz'ora si cimentò con una pseudo-library che ovviamente non aveva nulla a che fare con Rock Bottom nè con quant'altro realizzato nel decennio di massima gloria. Ben poco spazio era riservato alla voce, con un intervento fonetico-melodico nella sigla di apertura ed un cicaleccio effettato nella traccia n.7. Affiora a più riprese il germe di quella follia memorabile che fu End of an ear, anche se traslato in un ottica deformata fatta di quadri minacciosi se non angosciati, per l'appunto affine alla library più criptica e con punte ai limiti dell'industriale.
Potrebbe anche non essere riservato ai fan di stretta osservanza del RW, tanto è ostico: ma in fondo viene da pensare che qualsiasi genere avesse affrontato, gli esiti non sarebbero mai stati meno che interessanti.

lunedì 28 novembre 2016

Harlassen ‎– A Way Now (2006)

Galassia Skelton, con una delle sue primissime pubblicazioni; il nome Harlassen resterà inusato a discapito di tutti gli altri, salvo poi essere riesumato nel 2015 su Corbel Stone, ma soltanto per un titolo postumo risalente al 2008. C'è da dire che questo era uno Skelton diverso, quasi fragoroso; a fronte del suo classico minimalismo strutturale, la selva di archi veniva ricoperta da striature stridenti di chitarra elettrica (What the river said) od incorniciata in un pattern di piano (An eddy of the blood), in entrambi i casi con contorno di percussioni, orpello che se non sbaglio è rimasto bellamente ignorato dal Nostro in tutti gli altri suoi. Solo la (peraltro splendida) Untitled ci accompagna nelle confortevoli radure britanniche del suo classico stile, per il quale è sempre difficile trovare le parole di ammirazione. Da annoverare, Harlassen.

sabato 26 novembre 2016

Los Random - Pidanoma (2014)

Per gli orfani dei Mars Volta o per chi comunque ama forme di crossover (sì, lo so, non c'entra niente con ciò che veniva incasellato con questo nome nei '90, mi piace chiamarlo così) che includono metal, psichedelia, progressive e post-rock, il power-trio argentino Los Random è un nome sicuro su cui puntare. Il parallelo con la band di Lopez & Zavala si propone in virtù delle acrobazie strumentali e della torrenziale visceralità (dna latino-americano?) delle esecuzioni, però per i Los Random le performance vocali, riservate al chitarrista Garcia, sono poco più di un accessorio, e la lunghezza delle tracce è ampliata a dismisura, fino ai 20 minuti finali della splendida Guri Guri tres pinas. Da queste kilometrico-epiche pieces inevitabile deriva l'accostamento al progressive, ma dopo tutto Pidanoma resta un lavoro cangiante, privo di autoindulgenze e soprattutto istintivo, il che non è scontato per questo tipo di complessità.

giovedì 24 novembre 2016

Flying Luttenbachers ‎– Gods Of Chaos (1997)

Armato della follia e dell'arroganza (dei del caos era un invocazione o un'autoreferenzialità?) necessarie a lasciare il segno, Weasel Walter ha guidato innumerevoli incarnazioni dei Flying Luttenbachers nell'underground a cavallo di scadenza millennio come Vander guidò i Magma, ovvero da dietro una batteria carismatica ed impetuosa, titanico e tirannico, con un turnover folle davanti a lui. Qui è col chitarrista Falzone ed il bassista Pisarri (cognomi oserei dire in odore di malavita export...), nel secondo su Skin Graft che diede loro più visibilità. Un delirio inarrestabile di noise-jazz-art-space apocalittico e corrosivo, con scorie industriali sparse, il sax incosciente dello stesso Walter che passa da barriti lascivi a starnazzamenti impazziti. E qualche graditissimo tributo a Captain Beefheart, così per spezzare i ritmi folli di un capolavoro classicamente out.

martedì 22 novembre 2016

Aphex Twin ‎– Computer Controlled Acoustic Instruments Pt2 EP (2015)

Più che l'attesissimo ritorno di Syro, che per carità, è stato un buon disco ma nulla per cui far urlare come faceva RDJ negli anni '90, è stato questo EP in sordina che mi ha letteralmente stregato.
Un uscita accolta con parecchia freddezza da più o meno da qualunque fonte d'informazione musicale, se non ostentatamente stroncata. Il titolo è pleonastico/didascalico: la ricreazione di strumenti acustici tramite software e null'altro, che nello specifico sono batteria, pianoforte e contrabbasso. Un Aphex Twin in assetto post-jazzistico lo dovevamo non soltanto ascoltare, ma forse anche proprio immaginare. CCAI è un disco scarno, spoglio e senza tanti orpelli, la cui unica peculiarità elettronica alla fine sono soltanto certi beats caracollanti, eppure lo scopo è raggiunto con successo: il suono, clamorosamente in your face e le partiture, facilmente riproducibili da mani umane, lo rendono di indiscutibile originalità. Visto che la pt1 non è di fatto esistita, la attendo molto volentieri.

domenica 20 novembre 2016

David Peel & The Lower East Side ‎– Have A Marijuana (1968)

Come si fa a non sorridere, a non provare simpatia per le cantilene sgangherate del primo album di questo menestrello sballato? Non si può. Queste torch-song al Thc che inneggiavano al consumo di ganja e che sparavano a zero sui poliziotti, registrate in mezzo al pubblico col solo ausilio di chitarra acustica e percussioni, altro non erano che unplugged-punk 10 anni prima. La voce arrochita ed energica di Peel ne era la pistola fumante, perchè sarebbe bastato un supporto elettrico ad una velocità appena appena più sostenuta e punk sarebbe stato (teoria di cui si sarebbe giustamente appropriato 10 anni dopo).
Have a marijuana intanto però non era un inno al nichilismo, ma un'invito al divertimento e a cantare insieme la voglia di libertà, più o meno legale che fosse, ma comunque libertà.

sabato 19 novembre 2016

R.I.P. What.Cd

E' un giorno di lutto.
What.cd è stato chiuso.
Ma non è stata la FBI, nè la CIA nè qualche altro ente pubblico americano.
Sono stati i francesi. Da non crederci.
Hanno speso due anni in indagini e ieri mattina hanno fatto irruzione e distrutto i server di quello che era il sito più bello del mondo, il paese delle meraviglie, l'archivio più sterminato e curato di tutta la storia.
Ero stato invitato ed introdotto da Allelimo nel 2008. Ero diventato un membro di categoria elite (grosso modo un 5% del totale degli utenti), il mio Utorrent è stato aperto 24/24 per 8 anni, avevo una ratio di 3, avevo una lista di bookmarks di 300 titoli ancora da scaricare. Nel mio browser c'era sempre la home page di What.cd aperta nella prima scheda, con 2 refresh al giorno consultavo le new subscriprions per vedere cos'era uscito di nuovo. Queste coniugazioni al passato mi fanno male. 
Francesi, vi odio. Pensate di salvare il mondo della musica, pensate che l'industria discografica così facendo si risolleverà. Siete soltanto dei poveri illusi. Persino la DMCA si era rassegnata, ma questo è un colpo basso, bassissimo.
Addio What.cd. Suona patetico e superfluo, ma mi manchi già tantissimo ora che non ci sei più.

venerdì 18 novembre 2016

Opal Onyx ‎– Delta Sands (2014)

Replicando il concetto di recupero brillantemente sviluppato dagli Have A Nice Life in passato, gli americani Opal Onyx hanno incarnato lo spirito gotico del passato per vestirlo con nuovi colori. Il motore creativo è composto dalla cantante Nowicky (voce possente e carismatica) e dal cellista Robinson, entrambi impegnati a costruire fitte muraglie di synth ma anche a creare ballads evocative, struggimenti eterei, cattedrali imponenti. Sono diversi i nomi pesanti che vengono in mente all'ascolto di Delta Sands (gli Swans di metà anni '90, Dead Can Dance, Black Tape For A Blue Girl), ma la sapienza ed il magnetismo dei due convince fin dal primo ascolto e regala 40 minuti di autentica magia gotica.

mercoledì 16 novembre 2016

Trans Europa Express ‎– Il Gatto Dagli Occhi Di Giada (1977)

Nulla a che fare con i Kraftwerk, i TEE sono stati un progetto effimero dedicato esclusivamente alla realizzazione della colonna sonora di un film horror del regista Bido. I paragoni collaterali Dario Argento / Goblin si sprecano in ogni pagina dedicata alla pellicola, a mio avviso frutto di un ascolto piuttosto superficiale della soundtrack, che in qualche tema può riscontrare affiliazione col gruppo di Simonetti, ma ovviamente c'era anche altro: psichedelia scura e ottundente (riferimento principale i Pink Floyd di One of these days), sperimentazioni percussive, squisite vignette bossa-library, digressioni acustico-mediterranee, con un basso legnoso e pulsante spesso in primo piano. 
Dietro al monicker si nascondeva un manipolo di reduci della stagione prog e cantautori un po' sotterranei, sostanzialmente illustri sconosciuti che avevano fallito l'appuntamento sia col successo commerciale che con la gloria artistica. Un prodotto curioso, non di punta ma di ascolto raccomandato per i cultori del periodo.

lunedì 14 novembre 2016

Fulk∆nelli ‎– Harmonikes Mundi (2015)

Un'altro buon colpo della IOP dei nostri giorni è rappresentato da questo duo di ormai consumati calpestatori di palchi alternativi della scena italica. Antepongo la mia opinione con la constatazione che i gruppi da cui provengono sia il chitarrista Naldi (Ronin) che il batterista Mongardi (Fuzz Orchestra) sono tutt'altro che entusiasmanti alle mie orecchie, anzi. Ma in questa sede, incappucciati, misteriosi, rabbuiati, circondati da sentori esoterici, i due raggiungono risultati eccellenti. Harmonikes Mundi è una suite di mezz'ora abbondante divisa in due che concettualmente richiama parecchio i Cannibal Movie di Mondo Music, ma che subito se ne distacca per il contenuto; chitarra ispida e stratificata che gira attorno ad un tema ossessivamente, batteria prima tribale e poi sincopata e tellurica. Una specie di occult-stoner-alien dalla progressione inarrestabile fino al rovinoso finale che interrompe bruscamente l'ipnosi raggiunta fino a poco prima. Perfetto per i cerimoniali più oscuri o per un bad trip naturale.

sabato 12 novembre 2016

Stars Of The Lid ‎– The Ballasted Orchestra (1997)

Arte ambientale allo stato puro per il terzo album del duo texano; 80 minuti di quiete ed estasi suprema, con tanto di omaggio a David Lynch (la suite in due parti Music for the Twin Peaks Episode #30), ed in generale uno stato vaporoso di pulviscolo statico unito ad una sensibilità tonale che esprime luminescenza. Certo, mancano le impennate emotive e semi-sinfoniche del loro grande capolavoro, ma sono dettagli e simboli di una crescita naturale. Erano diversissimi dagli altri grandi ambientali dell'epoca (Main, Labradford) e furono lungimiranti nell'aprire le porte al fenomeno drone che fiorirà inarrestabile nel decennio successivo.

giovedì 10 novembre 2016

Jar Moff ‎– Financial Glam (2013)

Delirante audio-scultura divisa in due tronconi di oltre 20 minuti, per rispettare le limitazioni fisiche del vinile; ma c'è la nettissima sensazione che senza questa barriera architettonica il flusso potrebbe durare all'infinito. Autore il collagist greco Jar Moff (probabilmente un monicker), un maniaco terrorista che tramite la strategia del copia/incolla ha inventato una formula magnetica piuttosto difficile da incasellare: elettronica brutale, pantano industriale, sax imbizzarriti, synth hypnagogici, scie droniche come panzer, harsh-noise che si autolimita negli slanci. L'effetto finale è molto semplice: non ci si capisce niente. E allora tocca far ripartire tutto dall'inizio, per cercare di dipanare un po' meglio il mistero; niente neanche alla seconda volta.
Non è che una formula funzioni sempre, a prescindere dalle intenzioni. JM avrà fatto tutto a casaccio col ghigno stampato di chi vuole soltanto seminare caos? Può darsi. Comunque sia, davvero bravo.

martedì 8 novembre 2016

Egisto Macchi ‎– Il Deserto (1974)

Prezioso recupero ad opera della Cinedelic, etichetta nostrana specializzata in soundtracks, che l'anno scorso ha ristampato in vinile questo lavoro mirabile del maestro maremmano, ormai sempre più giustamente tributato e riscoperto. Come del resto tutta la sua discografia concentrata nei '70, Il Deserto è ad alto tasso avanguardistico ma è sicuramente meno aggressivo e/o ostico di altri che lo hanno preceduto. E' un compromesso miracolosamente bilanciato fra musica sinfonica (con speciale attenzione alle partiture per i fiati), tribalismi, droni siderali di synth, qualche momento di armonie che risolleva dallo stato ansiogeno che regna sovrano (diciamo che nel filmato di riferimento potrebbe essere corrisposto con l'arrivo in un'oasi...). Certo è che, se chiudiamo gli occhi, possiamo immedesimarci brancolare per il Sahara, visualizzare i miraggi, le tempeste e le montagne di sabbia, per poi piombare nel freddo della notte, socializzare con gli indigeni, e quant'altro. Ovviamente imperdibile per i cultori.

domenica 6 novembre 2016

Khun Narin ‎– Electric Phin Band (2014)

A memoria, prima musica thailandese che mi sia arrivata alle orecchie, a meno che non sia capitato in passato in qualche ristorante. Ed è uno spasso dal primo secondo all'ultimo: una formazione aperta proveniente dalle campagne del nord catturata dal vivo (fedeltà perfetta), con un suono unico come solo gli acts più isolati possono avere. Protagonista di queste jams strumentali è il Phin, un liuto a 3 corde elettrificato che incarna il ruolo della chitarra elettrica; chi lo imbraccia, tal Sitthichai Charoenkhwan, è un virtuoso e va citato nonostante l'impronunciabilità. Gli altri forniscono un supporto in gran parte percussivo altrettanto esaltante, ma vista anche la presenza di basso e batteria il risultato finale si avvicina come spirito al rock psichedelico degli anni '60 (si potrebbe anche azzardare una similitudine coi Mermen) anche se il punto di vista è inevitabilmente diverso. Dipendenza immediata.

venerdì 4 novembre 2016

Screams From The List 52 - Pôle – Kotrill (1975)

Proto-industrial di grande influenza su NWW, ad opera di un trio francese di oscure provenienza e destinazione. Destino peraltro comune a svariati protagonisti della List, quella di essere stati incondizionatamente fuori, di non fare nessun compromesso e finire relegati in una nicchia appannaggio di pochi estimatori.
In Kotrill soltanto 3 tracce: la title-track è un capolavoro sperimentale di 17 minuti: frustate di loops, nebulose di oscillatori e synth, recitato demente, percussivismo metronomico e fuorviante, tempeste industriali pre-TG, sirene spaziali inaudite, tribalismo martellante. Osiris, soltanto 3 minuti di audio-generator e gong, inquietante ed opprimente. Villin-Gen è, sottoscrivo quanto ho già letto da qualche parte, la risposta in cristallizzazione e lo-fi delle stasi oniriche dei Neu!; 21 minuti di quiete ronzante per synth e oscillatori, di sciabordii acquei, di singulti alieni.
Al primo ascolto sembra di captare un po' di naivetè, ma già al secondo si capisce che i tre folli facevano sul serio e Kotrill fa ancora sensazione, nonostante dimostri tutti i suoi 40 anni.

mercoledì 2 novembre 2016

Warmer Milks ‎– Radish On Light (2006)

Stranissimo incrocio fra ubriachezza post-folk, noise ed art-rock per questo gruppo aperto del Kentucky facente capo al chitarrista Turner, che ha pubblicato una selva di dischi nel giro di tre anni per poi sciogliersi. Radish on light, primo della serie, è a dir poco disorientante. All'inizio sembra una versione ubriaca e/o sballata degli Oxbow (In the fields), poi deraglia in un magma ribollente di ampli seguito da un motorik marcio sopra un delirio di chitarre sbilenche e voce strozzata (The shark), poi si focalizza su un fermo-immagine degli U.S. Maple ignorante ed indurito (Pentagram of sores), per terminare con un lento, interminabile concerto di feedback controllato con tambureggiare sottostante (la title-track), equivalente ad una passeggiata in mezzo alla lava. La domanda è di quale sostanza possano aver abusato i Warmer Milks, la risposta è che ne so, intanto il disco è una goduria per le orecchie comprensive e vogliose di musiche inaudite.