lunedì 30 luglio 2018

Decayes ‎– Accidental Musik (1979)

Un'anno dopo l'esordio in stile krauto con cui guadagnavano spazio nella NWW List, i Decayes rilanciavano con Accidental Musik. Quella K potrebbe far pensare al proseguio dell'ossequio ai maestri tedeschi, ma in questa sede l'unico gruppo che forse sarebbe da citare è impersonato dai Can, anche se in forma più semplificata (le tecniche strumentali non sono molto paragonabili eccetto il chitarrista Van Winkle), ma si tratta di un appiglio. Quella che definivano accidentale era un'art-psych-rock minimalista e demente, non mi verrebbe altra definizione. Musiche per stati mentali alterati, che fossero naturali o meno; il malizioso ondeggiare di Rich People's Mailboxes, l'incedere horror di The Prisoner, le risacche cosmiche di K-7, la lunghissima Niteclub, a modo suo un collage di 3 tessere giganti, sono i momenti migliori di un disco inspiegabile se non affrontato con la giusta mentalità (follia). Freaks patentati.

sabato 28 luglio 2018

Have A Nice Life ‎– The Unnatural World (2014)

Ammetto che nel primo momento in cui ho ascoltato il secondo degli HANL, la mia sensazione è stata di disappunto. Troppe le aspettative dopo il capolavoro che ce li rivelò, e per più di un motivo. Innanzitutto il disco è molto, ma molto più breve del predecessore; sembrerebbe un assurdità, ma alla fine uno dei pregi di Deathconsciousness era questo dolce dipanarsi in un lungo percorso in cui al termine tutti i tasselli si completavano meravigliosamente, con tutti i suoi vari climax. Unnatural world invece è breve, ha un vago sentore di raccolta di scarti; suona molto più post-shoegaze, contiene alcuni passi falsi (i due strumentali 4 e 8, estatici ma sostanzialmente innocui e vacui; un pezzo quasi pop come Unholy life, impensabile per loro), ma voglio dire, cercavamo una replica del colosso? Pretendevamo che facessero un'altro sforzo così titanico?
Se dopo 6 anni se ne escono con un disco stentato come questo, significa che hanno poco tempo o poca voglia, ma se continuassero così (siamo già a 4 e non c'è odore di novità) io sarei comunque contento; Defenestration Song, Burial Society, Dan and Tim Reunited by fate e Cropsey rivivono la magia gotico-nebbiosa che i Dan e Tim hanno saputo rendere realtà diventando così i re indiscussi di qualsiasi revival della new-wave degli ultimi 10 anni.

giovedì 26 luglio 2018

Helios Creed ‎– The Last Laugh (1989)

Acid-punk deviato e fantascientifico per il disco seattleiano di Helios Creed, registrato da Jack Endino con l'ausilio della sezione ritmica dei suoi Skin Yard, nonchè primo su Amphetamine Reptile. Come grossomodo tutti i primi 5 album solisti della leggenda Chrome, un disco dominato dalla sua SG multi-espansa in delirio psicotropo, in questo caso con la componente punk in maggioranza (influenza cittadina? influenza di chi lo circondò in studio?), tant'è che a tratti riaffiorano incendiarie atmosfere altezza Alien Soundtracks. Fra i 3 migliori in assoluto della sua carriera.

martedì 24 luglio 2018

Invisible Things ‎– Time As One Axis (2015)

A tre anni dal debutto, il power-duo capitanato da Mark Shippy è tornato, in quella che sembra quasi una sfida a distanza con i Dead Rider di Todd Rittmann. E' chiaro che ognuno va per conto suo, ma la felice gara a chi la fa più stramba si perpetua senza esclusione di colpi.
A differenza di quello che era stato un tempestoso maelstrom magnetico, Shippy e Skies qui ragionano (per modo di dire) e dividono gli sforzi in 8 tracce ben separate. L'esperienza è sempre psicotica, sia ben chiaro: il cubismo rock dei gloriosi reduci US Maple è sempre bello intatto, i cervelli regolarmente saltati, gli ascolti a ripetizione non bastano mai. Al servizio della psichedelia, la sregolatezza sconfinata.

domenica 22 luglio 2018

Big Black ‎– Songs About Fucking (1987)

Il disco di commiato del Grande Nero, per evidenti motivi di missione compiuta. Dopo un capolavoro come Atomizer, era improbabile che il trio potesse andare oltre una formula che per quanto efficace fosse conteneva una grande limitazione: la batteria elettronica. Albini aveva bisogno di un drummer in carne ed ossa, ma non di uno qualunque, ed infatti le sue creature successive annovereranno due assi delle pelli come Washam e Trainer.
Tornando a Songs about fucking, lo potrei definire come il disco più punk in assoluto non soltanto dei Big Black: pezzi brevi, brucianti, a presa rapida, senza melodrammi psicotici ed elaborati come Kerosene, con un paio di cover memorabili (The Model dei Kraftwerk e He's a Whore dei Cheap Trick) e la solita inossidabile ferocia. Poco importa che Albini sentisse la fine avvicinarsi, non c'era modo migliore per chiudere l'esperienza.

venerdì 20 luglio 2018

Metz ‎– Strange Peace (2017)

Trio canadese con 3 albums all'attivo su Sub Pop, che tiene sempre a curare la propria fetta di catalogo in qualche modo "nostalgica", basti vedere la costanza e la fedeltà mai negata ai Pissed Jeans. Con i quali i Metz credo condividano lo stesso pubblico di apprezzamento, vista la mutua ispirazione deliberatamente tratta dal noise-grunge-punk degli anni '90. Strange peace è un disco travolgente, irruento, ispido, che ricorda tanti nomi ma trova una sua via personale e beneficia della produzione di Steve Albini soprattutto sull'impatto della batteria, sempre garantita in your face. Molto apprezzabili anche i pezzi rallentati, che sanno abilmente replicare anche le più malsane delle atmosfere tipicamente grande mela alternative all'alternative.

mercoledì 18 luglio 2018

Jean Michel Jarre ‎– Oxygène (1976)

Il classicissimo di Jarre, ripescato in quanto il primo movimento in elenco era un highlight di una delle primissime Mental Hours. Diventato un best-seller di proporzioni colossali, Oxygene è una suite di 40 minuti spezzata in 6 parti ma davvero coesa e di uno svolgimento coerente e ben strutturato, in cui gli hits (le parti 2 e 4, esiste qualcuno sopra i 35 anni che non le ha mai sentite??) sono di fatto distensioni corroboranti al contesto generalmente tempestoso e sognante, e che di certo aveva solide radici nei maestri teutonici. Poi è chiaro che rispetto a coloro, questo suono è invecchiato meno bene, ma la sapienza di questo giovane sintesista figlio d'arte cascò a fagiolo per il lancio su scala industriale della musica elettronica, il resto è storia...

lunedì 16 luglio 2018

Panoply Academy Legionnaires ‎– No Dead Time (2001)

Oscura e dimenticata formazione dell'Indiana che realizzò 4 dischi su Secretly Canadian a cavallo del 2000: nonostante l'autorevolezza della label, ottennero ben poco riconoscimento (persino PS non li ha omaggiati di una parola); magari è solo un piccolo dettaglio, ma il giochino di cambiare estensione al nome in ogni disco di sicuro non li favorì.
All'epoca ne avevo sentito solo parlare superficialmente, e ci ha pensato SIB in un Blow Up di qualche mese fa a disotterrarne il nome. La loro proposta era un indie-rock arzigogolatissimo, che trae origine dal post-hardcore più colto (Joan Of Arc, Heavy Vegetables), ma che evita testosterone a piedi pari e gira sui lati più cerebrali. Un disco labirintico e cervellotico, che lambisce i territori più progressive nel senso strutturale del termine; una specie di gioco di prestigio, che dopo svariati ascolti ancora non svela i propri segreti, e che forse ha un solo limite, cioè quello di restare un po' asettico ed impassibile nonostante la sua irrequietezza.

sabato 14 luglio 2018

Embryo - Steig Aus (1973)

Uno dei primi 5 dischi degli Embryo, quando ancora non erano stati contaminati dalla componente world che avrebbe caratterizzato pressochè tutta la loro produzione successiva. 
Jazz-rock fluido, anglosassone in tutta la sua essenza, con una componente visionaria che a tratti sfocia in una parvenza di psichedelia (frutto di certe svisate di violino, o di cascate tastieristiche), e con qualche passaggio simil-prog (colonnati di mellotron a iosa); in ogni caso, jamming ispiratissimo, musicisti non narcisisti, 3 lunghe tracce, musica antica per quanto ancora fresca e coinvolgente.

giovedì 12 luglio 2018

Ruben Garcia ‎– The Gatekeeper (1994)

Sodale di Harold Budd nel breve capolavoro Music For 3 Pianos, Garcia è stato un tastierista / compositore relativamente sconosciuto che forse ha avuto l'unica colpa di essere emarginato dal sistema discografico in quanto si è sempre autoprodotto. Evidentemente la considerazione di Budd non bastava a dargli un po' di visibilità. Attivo durante gli anni '90 e poi silente per tutti gli '00, realizzò l'ultimo disco nel '12, un anno prima di venire a mancare.
Dopo un debutto fin troppo esuberante e sintetico (Colors in Motion, 1992), la vera anima romantica di Garcia uscì su The Gatekeeper, una raccolta per solo piano di vignette melanconiche ed autunnali, dallo stile sobrio, alquanto sulla scia di Satie. Un musicista umile, messo a nudo, che non diresti certo californiano (ancor meno con origini latine, dato il nome); un'ora rilassante, per meditazioni possibilmente filosofiche.

martedì 10 luglio 2018

Amon Düül II ‎– Live In London (1973)

Torrenziale testimonianza della grandezza dei Düül sul palco, giustamente celebrati in terra britannica; fra i gruppi tedeschi sulla cresta dell'onda in quegli anni, forse proprio loro erano i più apprezzabili nella perfida Albione, per quell'approccio così fisico ed espanso al tempo stesso.
Registrato nel dicembre 1972, il concerto pescava quasi equamente dal mastodontico Yeti e dal successivo Tanz Der Lemmings, il cui materiale esce addirittura rinforzato dall'impatto in diretta. La ristampa del trentennale in cd ebbe il grande merito di includere materiale aggiuntivo, fra cui una versione ultra dilatata di Soap Shop Rock. Certo, la fedeltà non è di quelle eccezionali, ma siamo di fronte ad una leggenda al top della forma.

domenica 8 luglio 2018

Richard Skelton ‎– Towards A Frontier (2017)

Era quasi inevitabile che prima o poi il nostro grande Rick si confrontasse con una realtà immagignifica come l'Islanda. La sua musica poteva e doveva dar vita a questa unione, ed è stato grazie all'invito suggestivo di soggiornare in un villaggio sulla costa est, di neanche 700 anime, che però viene definito un vivace centro culturale. In loco Skelton ha risieduto in più riprese e nel giro di due anni ha realizzato questa suite di 66 minuti, tempestosa e colossale.
Avendo visitato quella terra e ritenendola il posto più bello che abbia mai visto, posso anche solo lontanamente immaginare l'ispirazione di cui il nostro abbia potuto beneficiare; i suoi archi, dilatati, irrobustiti, sviscerati, in fermo immagine, sovrapposti e miscelati, costruiscono la cosa più compatta e maestosa; manca un po' quell'afflato di cuore che caratterizzava i suoi massimi capolavori, ma l'abbiamo notato già da quando incide come Inward Circles, che l'uomo si è incupito, forse irrigidito; il tempo ha lenito il dolore ma l'uomo è segnato. Un po' Basinski, un po' Stray Ghost altezza Nothing but death, un po' tardo Xela, Towards a Frontier è un affresco imponente che svetta come uno dei 5-6 prodotti migliori di sempre di Skelton.

venerdì 6 luglio 2018

Michael Brook ‎– Cobalt Blue (1992)

Chitarrista canadese che, dopo origini più o meno world, diventò un personaggio tentacolare fra U2, Brian Eno, Sylvian/Fripp, Vedder, una marea di colonne sonore anche piuttosto famose. Uno di quegli artigiani che hanno la fortuna di farsi scoprire e divulgare da artisti famosi, in sostanza.
In completa solitudine, Brook ha pubblicato ben poco: questo Cobalt Blue, edito da 4AD quando era già diventato richiestissimo per la sua infinite guitar, un prototipo in verità non molto rivoluzionario, ma dal suono abbastanza peculiare. La sua musica è una mistura ambient-world-new age, con una leggera vena psichedelica, che sorprendentemente suona ancora fresca (esclusi alcuni timbri di tastiera che sanno molto di '80, per fortuna in netta minoranza), che lascia intravedere delle origini umili e profondamente animate da uno spirito sincero, e non da tappezzeria. Qualche episodio lascia a desiderare, ma nel complesso una più che buona meditazione.

mercoledì 4 luglio 2018

Candy Machine ‎– A Modest Proposal (1994)

Esempio di band americana di metà anni '90 che avrebbe avuto le potenzialità per diventare una piccola celebrità underground; fossero nati a Washington, ad esempio, avrebbero sicuramente guadagnato un posto alla Dischord e la conseguente esposizione; invece brancolarono per pochi anni fra oscure e piccole indies per poi scomparire.
A modest proposal fu recensito sul primo Blow Up che comprai; era il n.3, quello con l'anonimo EP degli Slint in copertina, quello di Musiche d'americhe. La recensione aveva un paio d'anni di ritardo, ma all'epoca ci poteva anche stare, visto che era ancora una fanza che freneticamente cercava di stare al passo coi tempi (e ci riusciva alla grande, direi). La band pareva provenire dal post-hardcore, e forgiava il proprio stile sardonico attraverso l'influenza palpabile dei Fall più ruvidi, con un approccio funky sostenuto, le chitarre post-Sonic Youth e post-Fugazi. Un disco godibile e divertente, immerso fino al collo nella propria epoca, che ai tempi non so se avrei adorato ma che ho avuto la soddisfazione di ascoltare a più di vent'anni di distanza.

lunedì 2 luglio 2018

Scream From The List 72 - Xhol Caravan ‎– Electrip (1969)

Jazz-rock frizzante e baldanzoso, venato di progressive ante-litteram, visto l'anno di uscita. Che fra l'altro fa scattare automaticamente una serie di domande; perchè la band di Wiesbaden non viene mai citata nei compendi, anche quelli più dettagliati della musica tedesca dell'età dell'oro?
Forse perchè suonavano molto più british che autoctoni, dato anche che il primo parallelo che viene in mente sono i Colosseum: ritmiche sostenute e belle compatte, organo in grande evidenza, sax e flauto che svisano in libertà, temi spaziosi e vigorosi. Soltanto che la band di Hiseman perveniva al debutto sempre nell'anno domini 1969, attestato che valorizza gli Xhol Caravan.
Le prime tre tracce, strumentali, sono assolutamente memorabili ed esemplificano ciò che riusciva meglio al quintetto. La lunghissima Raise Up High, con tanto di voce arrochita e stentorea, a tratti si perde un po' nei suoi meandri ma possiede una carica lisergica detonante. Nella ristampa in cd anche il loro primo singolo, due brevi pezzi gradevoli anche se ancora molto immersi nei sixties.