venerdì 31 agosto 2018

Scream From The List 74 - Igor Wakhévitch ‎– Logos (1970)

Le sorprese non mancano, anche quando siamo verso la fine dell'alfabeto. Figlio di un direttore russo emigrato in Francia, IW si diplomò in pianoforte e già piuttosto giovane si ricavò una carriera come sonorizzatore. Il suo esordio solista invece è un opera tremebonda fra neo-classica tempestosa, avanguardia, rumorismo e foschissima psichedelia in stile Ummagumma, disco in studio, parti più sperimentali. 
Eseguito da un gruppo prog transalpino a me sconosciuto, i Triangle, più cori mixati e nastri magnetici, Logos ha un suo percorso ben preciso: inizia con un drone galattico cupissimo, le voci in stile operistico-tragico che poi si perdono in un caduta libera come dal purgatorio ad un girone infernale, le percussioni orchestrali in sincrono con i fischi siderali dei nastri, i violini che entrano ad invischiare le atmosfere già torbide (per certi versi affini alle opere più spericolate di Egisto Macchi); e nel finale, quando sembra che la composizione sia prossima all'esaurimento, Danse Sacrale vira improvvisamente verso un demoniaco psych-free-rock, con la chitarra in feedback ed un riff memorabile all'unisono, beffardo e dispari, un motivo horror in piena regola. Invecchiato benissimo come le migliori opere library, ma con un focus fortissimo. Un compositore da perlustrare.

mercoledì 29 agosto 2018

Jacques Berrocal ‎– Parallèles (1977)

Del trombettista/trombonista/cornista transalpino sulla Audion Guide alla NWW List viene citato il primo album Musiq Musik del 1973, che però è co-accreditato ad altri due fiatisti relativamente sconosciuti, per cui Parallèles è da considerarsi vero e proprio suo esordio solista, nonchè molto più affine alle influenze di Stapleton; constatazione che poi sublimò nel tributo NWW del 1994
Si tratta di un lavoro di estrema ricerca vagamente imparentato col free-jazz, vista anche la moltitudine di ospiti e l'apparente spirito libero delle esecuzioni, con inserti di recitato sparsi (a me incomprensibili vista la mia ignoranza in francese, ma giurerei non essere di massima lucidità) e molti suoni concreti (fra cui spicca una bicicletta); ovviamente sono i fiati ad avere il predominio, divisi fra partiture apparentemente melodiche e starnazzamenti in libertà, ma ogni piccolo dettaglio, anche il più insignificante, concorre alla creazione di un disco straniante e iper-surreale che ad ogni ascolto svela nuovi particolari. Su tutto trionfano i 24 minuti di delirio assoluto di Bric-A-Brac, monumentale suite dell'assurdo per 8 performers che occupava l'intera facciata B. La ristampa Alga Marghen del 2001 aggiungeva 5 tracce registrate fra il 1972 ed il 1979, integrando a meraviglia l'originale con altre ricerche molto, ma molto significative sotto tutti i punti di vista.

lunedì 27 agosto 2018

Clientele ‎– Music For The Age Of Miracles (2017)

In termini di concerti si erano fermati solo un paio d'anni, ma a livello discografico i Clientele erano di fatto al palo dal 2009/2010, e devo dire la verità, le ultime due prove non mi avevano convinto più di tanto. Per cui, li avevo dati per persi in tutti i sensi, senonchè l'anno scorso sono improvvisamente tornati con questo album che per miracolo resuscita la verve compositiva lasciata 10 anni prima con God Save. McClean & Co. qui riescono a trovare l'equilibrio perfetto fra l'innocente e sbarazzino vintage-pop degli esordi e le orchestrazioni più sofisticate della fase matura, per un disco che nulla aggiunge e nulla toglie al loro bilancio complessivo; la notizia semmai è che un bel pugno di songs memorabili vanno ad aggiungersi al già ricco carniere del meglio che i londinesi sono riusciti a confezionare in un ventennio scarso: The neighbour, Everyone you meet, The Age of miracles, The circus, e soprattutto la clamorosa Everything you see tonight is different from itself, che sperimenta con eleganza un inedito ritmo digitale e le rasoiate di elettrica fuzzata, elementi assolutamente mai sentiti prima da parte di un gruppo che a questo punto possiamo davvero definire immortale.

sabato 25 agosto 2018

Replacements ‎– For Sale: Live At Maxwell's 1986 (2017)

Provvidenziale recupero ad opera della Rhino, che (probabilmente a causa del secondo e definitivo scioglimento) pubblica un eccezionale live dei Mats nel loro momento di massimo splendore, all'indomani di Tim, alla vigilia dell'allontananento di Bob Stintson e della perdità di identità. Poco da dire, la gran manna è di 29 tracce, i greatest hits ci sono proprio tutti, non ne manca uno che uno; Color me impressed, Dose of thunder, Hold My life, Unsatisfied, Bastards of young, Kiss me on the bus, Johnny's gonna die, Left of the dial, Hitchin' a ride, Go, le mie preferite in assoluto ma non importa, la notiziona è che il gruppo suona da DIO, i leggendari scazzi sul palco si fermano ad un episodio su 29, per il resto le esecuzioni sono assolutamente impeccabili e rendono giustizia ad un gruppo che avrebbe dovuto sbancare niente meno che il mondo intero. La sezione ritmica ha un tiro pauroso, Stintson farà 2 stecche in tutto, Westerberg getta il cuore oltre l'ostacolo e poi salta, con quella gola in fiamme. Era un bootleg, adesso è una delle ristampe fondamentali degli anni 10.

giovedì 23 agosto 2018

Heroin In Tahiti ‎– Sun And Violence (2015)

Fra alti (l'insuperato Death Surf) e bassi (poco entusiasmanti Canicola e lo split con Ensemble Economique) continua il lavoro di modernariato psichedelico di Mattioli e De Figuereido. Il loro penultimo lavoro Sun And Violence per fortuna rientra tra i primi, e vede il duo alle prese con una forma di library acida e contorta, ricca di fascinazioni sia cinematografiche che spiritatamente occultiste. Doppio vinile che si impone fra i prodotti più interessanti (seppur innocentemente passatisti, a dispetto delle moderne tecniche di registrazione) degli ultimi anni in terra italica. Spiccano le fascinazioni tribal-western di Superdavoli e Black Market, la magnifica ipnosi di Spinalonga, la concitazione corrosiva di Arena 2, il naufragio a base di mellotron di Costa Concordia. Pure allucinazioni, però una durata inferiore non avrebbe guastato....

martedì 21 agosto 2018

Fugazi ‎– Red Medicine (1995)

Insieme al primo, il miglior disco dei Fugazi. Red Medicine incarna perfettamente lo spirito dei dischi storici (si può dire, ormai sono passati vent'anni e passa) dei grandi gruppi degli anni '90: superamento dei luoghi comuni dell'area di provenienza lasciando comunque apposite nicchie con cui evitare di deludere i vecchi fans, lavoro di ricerca e commistioni inusitate, immediato riconoscimento da parte della critica (ricordo perfettamente quanto Max Prestia battè il ferro riguardo a Red Medicine durante il suo interregno su Planet Rock...), produzione e registrazioni perfette che non sono invecchiate anche se riconoscibili all'istante. 
Ricordo anche distintamente la sorpresa al primo ascolto di pezzi come Version (dub pallido con clarinetto delirante), la spettrale e dissonante Fell, destroyed, la potente e rumorosa imponenza di By You, la fatalità introversa di Forensic Scene, e cito soltanto quelle che per me sono le tracce migliori, perchè qui su 13 non ce n'è una che una che deluda o lasci indifferenti, neanche in quelle più tradizionalmente hardcore. Pietra miliare, c'è poco da discutere.

domenica 19 agosto 2018

Gnaw Their Tongues ‎– Abyss Of Longing Throats (2015)

Dopo tutta quella mole di suono messo in giro, sembrerebbe difficile dare ancora attenzione a Maurice De Jong sotto le vesti di GTT, soprattutto da quando ha avviato il luminosissimo progetto Seirom. E sarebbe un errore, perchè se da un lato sembra quasi impossibile replicare le imprese titaniche dei suoi lavori più ragguardevoli, dall'altro la sua ispirazione massimalista è tutt'altro che esaurita.
Basta ascoltare più volte questo suo lavoro di 3 anni fa, sostanzialmente snobbato dalla critica forse proprio perchè è venuta un po' a mancare quella maestosità e l'approccio a tratti sinfonico che rendevano grandissimi i precedenti; scomparsa ogni traccia di piano e/o violino, viene tutto sommerso da una catastrofe sferragliante, da un tornado infernale; tutto molto articolato e curatissimo in ogni dettaglio come ci si aspetta da De Jong, tutto apocalittico come abbiamo imparato ad apprezzare. Per me è ancora una garanzia.

venerdì 17 agosto 2018

Banco Del Mutuo Soccorso ‎– Io Sono Nato Libero (1973)

E' stata necessaria la ristampa dell'anno scorso perchè io recuperassi Io sono nato libero, il terzo album del Banco. Nocenzi, intervistato in merito, ha dichiarato di aver avvertito la necessità di ripubblicare il lavoro per via della drammatica attualità delle tematiche, che esprimevano l'urgenza di liberare l'individuo singolo dalle pastoie che il sistema impone per modellare il pensiero collettivo.
Musicalmente, in effetti, si tratta di un lavoro intenso e ben elaborato, personale come tutti i primi dischi dei romani: orchestrato divinamente, dove l'accoppiata Calderoni/D'Angelo (credo la sezione ritmica più forte di tutto l'It-Prog) fa a gara con le tastiere per farsi seguire di più. Più che Non mi rompete, il delicato acustico che si ricorda maggiormente, il disco va in gloria con le lunghe Dopo niente è più lo stesso e Canto nomade per un prigioniero politico, capolavori articolatissimi e pregni di quel senso del tragico/epico che ha reso grande il Banco.

mercoledì 15 agosto 2018

Father Murphy ‎– Croce (2015)

E' andata esattamente come scrivevo per quel gioiello di Anyway......Sulle prime Croce non mi ha entusiasmato, ma come possiamo fermarci in superficie con i FM? Dobbiamo scavare, dobbiamo analizzare con cura e tempo, dobbiamo soprattutto riflettere.
E allora...Riflettere su quanto, per un act così originale e fuori da ogni corrente, sia sempre più difficile ripetersi su livelli altissimi, col supporto di una label americana come la Flenser, che annovera nomi di prestigio. Così, se le prove precedenti erano state l'illuminazione e l'illusionismo, Croce è, per l'appunto, la via crucis. Un disco arreso, ripiegato su sè stesso, la liturgia del dolore, dove ciò che qualcuno ha molto semplicisticamente descritto come "mancanza di idee" è il vuoto pneumatico, è l'osservazione di un mondo sempre più marcio e pericoloso per la nostra specie. E' la processione a battiti rarefatti. Non resterà ai posteri come il miglior disco di FM, ma come foce naturale di un percorso precario ed indefinibile. Non mi stupirei se restasse il loro testamento.

lunedì 13 agosto 2018

Residents ‎– Fingerprince (1977)

Lavoro non abbastanza tributato del loro primo repertorio, a mio avviso. La lavorazione ebbe inizio nel 1974 ed ebbe fine nel 1976, dato evidente della complessità del materiale; la lunghissima Six things to a cycle, una delle tante intuizioni multimediali dell'entità californiana, era stata concepita come supporto musicale ad un balletto, ed è una superba ed articolata suite per campanelli, sintetizzatore, fiati deliranti, percussioni ed il solito, delirante recitato. Non molto differenti per impostazioni i pezzi "corti" sull'altra facciata (diciamo sul resto della ristampa che ha incluso quanto non raccolto sulla prima stampa per motivi di spazio e/o economici), arrangiati in maniera abbastanza scarna, con la chitarra di Snakefinger in pochi ed isolati frangenti. Folli, avveniristici ed enormemente influenti.

sabato 11 agosto 2018

Eiko Ishibashi ‎– Carapace (2011)

Primo atto della collaborazione fra la dolce Eiko e Jim O'Rourke, all'epoca già residente nel Sol Levante. Un disco che ho conosciuto però dopo i due usciti su Drag City, con conseguente promozione anche in Europa; succede così, che se non ti fanno uscire dai patri confini è dura farsi sentire qua. Che poi, alla maggior parte dei nipponici non freghi un granchè, è un altro discorso.
Rispetto a quel Car And Freezer di cui mi sono innamorato al primo ascolto, Carapace non aveva quell'esuberanza gioviale e quel senso sbarazzino; Eiko denota una vena intimista, quasi crepuscolare, che prende il sopravvento sulle tracce più ritmate. Lampante, in ogni caso, è la sopraffina maestria compositiva, nonchè l'eleganza delle parti e delle esecuzioni (e qui, senz'altro occorre tributare il solito Jimmy); cristallo purissimo.

giovedì 9 agosto 2018

Julian Cope ‎– Fried (1984)

Il classicissimo e programmatico secondo disco del JC tartarugato a spasso per la campagna, un costume che 30 anni dopo egli stesso definirà valorosamente ridicolo. Uscito solo 8 mesi dopo l'esordio, contiene fra i migliori episodi in assoluto di tutta una carriera in cui l'ambizione ha prevaricato spesso i risultati finali. Già l'apertura è un delirio, con i 6 minuti di Reynard the fox che si candida a miglior pezzo in assoluto escluso dal repertorio Teardrop Explodes: ritmica serrata tipicamente wave, refrain inarrestabile, delirio di cocci in frantumi. Tutta la Side A è a livelli stellari, con la catalessi celestiale di Laughing Boy, l'arrendevolezza di Me Singing, il revival '60 di Bill Drummond Said. La Side B inevitabilmente non può ripetersi, ma dispensa il pastoral-prog di Search Party e persino una (involontaria, spero) parodia semplicistica di Peter Hammill in O King Of Chaos. Nel 1984 c'erano ben pochi dischi così fuori dal proprio tempo.

martedì 7 agosto 2018

Dinner Is Ruined ‎– Worm Pickers Brawl (1994)

Sul primissimo numero fanzine di Blow Up, c'era un servizio di SIB dedicato a Palace, Smog e Wormpickers Brawl. Di questi ultimi c'erano talmente poche notizie reperibili che il Direttorissimo non soltanto non era a conoscenza dei due dischi rilasciati precedentemente dalla band, ma addirittura aveva invertito nome e titolo del disco, che invece andava attribuito a Dinner Is Ruined (sul secondo numero però arrivò puntuale l'errata corrige..). Tal progetto, proveniente dal Canada, fu attivo soprattutto negli anni '90, brancolando nell'underground meno in vista, e sostanzialmente riconducibile ad un polistrumentista / cantautore di nome Dale Morningstar.
Poco da aggiungere a quanto SIB puntualizzò, cioè che si trattava di un progetto nobile, dedito ad un post-indie-folk-free-form-freak-out deviato e deviante. Echi del primo Smog, irriverenza alla Half Japanese, sballi psichici alla Peter Jefferies, cantilente dementi alla Flaming Lips, sbraghi elettrici alla Strapping Fieldhands, tutto immerso in un calderone lo-fi che fa tanto anni '90. Godibilissimo.

domenica 5 agosto 2018

Lard Free ‎– I'm Around About Midnight (1975)

Uno dei gruppi più apprezzati fra le scoperte archeologiche della List, con il disco d'esordio del 1975. Come poteva essere logico in un percorso evolutivo, il quartetto di Gilbert Artman si lasciò alle spalle il corpulento jazz-rock delle origini per immergersi anima e corpo in un elettronica globale e lungimirante, che in 6 tracce esprime altrettante ambientazioni, evocando fosche arie dark-ambient (Violez l'espace), caracollanti digressioni world con chitarre frippiane (In a desert alambic), soavi cicalecci alla Jade Warrior coevi (Does East Bakestan Belong...), citazioni di corrieri cosmici tedeschi (Tatkook a roulette), escursioni pianistiche su tappeti siderali (Even Silence..), lasciando soltanto alla minacciosa Pale Violence under a reververe l'esecuzione in stile classico con sezione ritmica, peraltro già distantissima dai luoghi comuni che già avevano tritato col precedente. Vien da chiedersi se forse fu questo ad ingraziare Stapleton per l'inclusione. Grandi.

venerdì 3 agosto 2018

Balletto di Bronzo - Live Nearfest 2000 (bootleg)

Mi permetto molto candidamente di rubare di peso un post alla Stratosfera, trattasi di un bootleg relativo al Balletto Di Bronzo che si esibì alla seconda edizione del Nearfest in Pennsylvania nell'ormai lontano 2000. Si trattava di un festival neo-prog fra i più prestigiosi al mondo (ha cessato di esistere qualche anno fa), e fu senz'altro un riconoscimento importante per Gianni Leone essere invitato a parteciparvi come prima entità italica. Il Balletto del 2000 era al Mark II, avendo egli già sostituito la sezione ritmica; di recuperare la chitarra non se ne parlava neanche, ma devo ammettere che questo splendido concerto riesce a farla dimenticare nei frangenti di Ys in cui Ajello folleggiava.
Spilli e Corsi sono a dir poco impeccabili, i suoni moderni ma non troppo, Leone denota una forma vocale quasi immutata a 30 anni dall'originale, persino i pezzi della fase Leo Nero sono migliori dell'originale. Molto, molto meglio dell'originale Trys con cui era stato bagnato il ritorno nel 1996.

mercoledì 1 agosto 2018

Scream From The List 73 - Frank Köllges ‎– Drums, Voices, Knispel Nie (1977)

Batterista di Dusseldorf di estrazione jazz, ma negli anni '80 attivo anche in progetti sperimentali a noi oscuri come Die Krupps e Harte 10. Nel 1977, a soli 25 anni, si guadagnava un posto nella list con un programmatico album per voce e batteria (Knispel è un cane che fa un cameo ululante nella traccia One for Knispel), inciso per un'oscurissima label. Un one-shot bizzarro che resterà isolato per 15 anni, quando il buon Frank riapparirà in solitaria ma con tutt'altro affare orchestrato.
Poco da dire, si tratta di una follia; il vociare equivale ad uno scat che passa dal borbottio al dimenarsi schizofrenico ed animalesco con tutto quello che ci passa dentro, mentre il drumming è di quelli che sì, sono tecnici, ma non sono esercizi. Quindi ben altro che un manuale o uno sfoggio di perizia: è una spontanea e genuina dimostrazione di freakitudine, ed è irresistibile.
Per la cronaca, mai ristampato.