domenica 29 gennaio 2023

Julia Kent – Asperities (2015)


Nove struggenti e melodrammatici affreschi di vario impatto nel quarto album della pregiatissima cellista canadese, sulla scia del bel precedente ma con una propensione più cinematica e panoramica. Non solo il superbo arco a farla da padrone, ma anche lievi bordoni tastieristici di sottofondo ed in un caso persino un glaciale beat elettronico (la mediana Terrain, davvero straniante nel contesto). Un manifesto di austerità ma anche di un cuore grande così, sia declinato in sterminate contemplazioni che in cavalcate tempestose, con tutte le varianti che possono esserci nel mezzo. Nemmeno una caduta di tono, per un lotto da consumare senza interruzioni talmente coeso che si potrebbe definire un concept.

mercoledì 25 gennaio 2023

Muffins – Manna/Mirage (1978)

Eccellente jazz-rock strumentale di estrazione della più nobile matrice softmachiniana, ma con un tocco di personalità che fa sensazione tutt'oggi. Protagonista un'anomalia americana, questo quartetto di Washington che nel proprio essere isolato creò un caso unico. Come ha memorabilmente scritto PS, condussero un'esistenza misera e solitaria ed infatti non furono filati da nessuno fino a quando, negli anni '90, furono rivalutati un po' da tutto il mondo del settore. Ma c'è da dire che se fossero stati europei,  Manna/Mirage, il loro debutto, risalterebbe ancora oggi come un bellissimo disco di tecnica applicata alla fantasia ed all'immaginazione, componente che li fa inquadrare anche nel tag progressive (allo stesso modo dei Soft Machine o dei Colosseum, cioè molto grossolanamente). Poco vanesio e concentrato sulle elaborate strutture compositive, Manna/Mirage è imperniato su due pezzi molto lunghi, Amelia Earhart e The Adventures of Captain Boomerang, che sviluppano decine di tessiture in rapidissima successione con protagonisti gli ispiratissimi fiati e le tastiere, ma anche con una sezione ritmica spettacolare, forse alla fine della fiera l'elemento più interessante. Mai troppo tardi per scoprire questi atipici yankees.

sabato 21 gennaio 2023

Screams From The List #113 - David Cunningham – Grey Scale (1977)


Di Cunningham principalmente si sa della sua carriera di produttore e di band-leader nei Flying Lizards, una breve avventura nell'electro-art-pop-wave capace di almeno un disco notevole. Prima di tutto questo, però, il compositore irlandese esordì poco più che ventenne con questa prova d'avanguardia surreale e straniante, in cui suona in maggioranza da solo, chitarre, tastiere, violino, percussioni, con qualche contributo esterno. E' una prova che testimoniava già un notevole eclettismo: si passa da litanie semi-demenziali ad arie austere e minacciose, da precarie deambulazioni a minimalismi intenzionalmente falliti, da sketches cabarettistici a suoni acquatici (nel vero senso della parola). Necessita di qualche ascolto per essere capito, ma per l'età dell'autore era un passo piuttosto audace e maturo.

martedì 17 gennaio 2023

Fontaines D.C. – Skinty Fia (2022)


Stavo per tirare un bestemmione anglicano quando ho riflettuto un po' sull'essenza di Skinty Fia, il terzo disco dei battutissimi ed ormai celeberrimi irlandesi. Al primo ascolto non mi ha entusiasmato; innanzutitto parte male con una litania emo-indie dal titolo impronunciabile in lingua, e fatica a carburare almeno fino a metà. Qualche diversivo per fisarmonica, un semi-plagio dei Whipping Boy, un paio di cantilene un po' monotone alla Protomartyr, ed ero pronto alla stroncatura. Ma ad un certo punto arrivano le chicche, Roman Holiday, I Love you, Nabokov, la title-track, ed il livello si alza notevolmente.

Rispetto al precedente, più wave e meno punk, meno grinta e più perdizione. Ciò che resta e salva questo disco dal mio totale dimenticatoio resta l'impressione di personalità, di espressione orgogliosamente francobollata agli stereotipi storici, ma comunque vada sarà un successo (molto è merito del cantante, occorre dire, più per il timbro e l'espressività che per doti tecniche). Ma resta anche il presentimento che dal prossimo disco sarà quasi impossibile confermarsi, a meno di piccole rivoluzioni. Sarà difficile, presumo.

venerdì 13 gennaio 2023

Colin Newman – Not To (1982)


Terzo album in rapida successione per CN in meno di 2 anni, terzo centro. Una media paurosa, umanamente destinata a non perdurare, ma certo da incorniciare. Prima il fulminante A-Z a prendersi la reale eredità Wire, poi la pausa dada-sperimentale con Singing Fish (sul serio, sottovalutatissimo), e poi Not To a tornare rapidamente alla forma canzone, alle melodie spesso orecchiabili ma senza mai lesinare sulle trovate surreali, sui micro-inserti dissonanti, sulle puntine rumoriste. Disco segnato a livello produttivo dall'assenza del (fino a prima) fido produttore Mike Thorne, per una registrazione leggermente compressa ma che esaltava forse un po' di più le armonie chitarristiche (a tratti sublimi, come in Lorries, nella title-track, Remove for improvement, in Truculent Yet). E' un Newman al suo vertice artistico-espressivo, quasi da pilota automatico creativo, che però non disdegnava l'inserimento in scaletta di un tris di pezzi di fatto outtakes di Wire, in quanto co-firmati da Lewis, Gilbert e Gotobed. Si avverte comunque l'aria di fine ciclo, a posteriori facile da asserire.

lunedì 9 gennaio 2023

Harlassen – The Neckar Blues (2015)


Harlassen atto secondo, postumo. Registrato originalmente nel 2008 come seguito dell'eccellente A Way Now (sul serio, uno dei 3-4 migliori di tutta la saga Skelton), venne messo in un cassetto per essere poi rispolverato nel 2015 e rielaborato per la collana Archivial Series, una serie di recuperi vari effettuati durante una fase di stanca produttiva di Riccardo Cuor di Leone. 

Certo, chiamare queste 3 sezioni blues suona piuttosto paradossale, considerando che si tratta di preziose ipnosi droniche nella migliore scia del primo Skelton, in quel periodo in uno stato torrenziale di creazione di questo tipo di paesaggi. Fra striature di violino, bordoni galattici, tonfi percussivi, i Neckar Blues sono una seduta di musico-terapia da mettere in loop, nè emotivi come A Broken Consort e Landings, nè romantici come Carousell; semplicemente Harlassen, una meteora luminosissima della galassia Skelton, forse più lucente proprio per la sua fugace apparizione. Un recupero più che doveroso.


giovedì 5 gennaio 2023

Primus – Tales From The Punchbowl (1995)


Chiamati a confermare un successo sempre più ampio col loro quinto album, i Primus riuscirono a tenere la barra dritta e chiusero il loro glorioso ciclo iniziale. Tales fu l'ultimo disco col trio originale, a seguito del quale il batterista Alexander se ne andrà, e per forza di cose da lì in poi non saranno mai più le stesse. Il tour a seguito li portò in tour anche da noi e nell'autunno di quell'anno assistetti ad uno dei primissimi concerti della mia vita, di sicuro il primo grande concerto serio. Non ne ho un ricordo molto nitido, complice la lontananza dal palco. Però so che il mio apprezzamento nei confronti dei Primus col passare degli anni è cresciuto, e Tales non fa eccezione. Un lavoro composito, ricco di sfumature, complesso e giocoso, scuro e virtuoso, con le acrobazie e le pirotecnie sempre una goduria per stimolare chi ama la tecnica applicata agli strumenti. Ed il gusto per l'avanguardia, per il nonsense, per il paradosso, per il Capitano, per i Residents, per il teatro dell'assurdo, per la possenza di un suono tremebondo che non perde mai il proprio impatto. Eterni.

domenica 1 gennaio 2023

Smile – A Light For Attracting Attention (2022)


Signorine e signorini, a 6 anni di distanza da A moon shaped pool, ecco il nuovo dei Radiohead. Ed è il migliore da circa una ventina d'anni a questa parte.

Perchè così suona, e sfido a sindacare. Ci sono Yorke e J.Greenwood, che da sempre ne sono stati i protagonisti principali e lampanti legati da un vincolo granitico. A light for attracing attention ha le sembianze di uno schiaffo in piena faccia agli altri 3, con tutto il rispetto e la stima possibile. Prove tecniche di separazione? I tempi sarebbero stati ampiamente maturi per un ritorno della premiatissima azienda, ed invece è andata così. I due mastermind hanno preso freschezza a piene mani, il metronomico batterista Tom Skinner (bravissimo, suona come una macchina umana, nella migliore tradizione jakiliebezeitiana) e 13 pezzi che rappresentano un'autentica immersione nel classicismo radioheadiano senza dare la minima impressione di essere nè scarti nè operazioni di auto-riciclaggio.

L'operazione intera ha sapore di spontaneità, di libertà di espressione e di entusiasmo epidermico, quasi il contrario di ciò che è stato da In rainbows in poi. Innanzitutto il disco è suonato ed organico, c'è ben poca elettronica, molti archi e c'è ciò che fino ad Hail to the thief veniva loro meglio. Ci sono le languide ed ombrose ballad stracolme di spleen (Pana-Vision, Speech Bubbles, Open the floodgates, Waving a white flag, Skrting the surface), c'è il math-pop spigoloso ed arzigogolato (The opposite, The smoke, Thin Thing, A Hairdryer), ci sono le sfuriate alla 2+2=5 (You will never work on television again, We don't know what tomorrow brings), c'è persino uno squisito spaccato alla Neil Young (Free the knowledge). C'è la produzione chirurgica di Godrich, uno strumento invisibile che se non ci fosse crollerebbe tutto in polvere. Yorke vocalizza alla sua maniera migliore, Greenwood architetta con consumata esperienza e candido mestiere. Se le premesse sono queste, lunga vita a Smile; Radiohead ha dato, il re è nudo.