Avevo lasciato i Grails in un relativo oblio, dopo averli battezzati come "bravi, ma non sfruttano le loro potenzialità e sbrodolano eccessivamente". Così l'ascolto di Deep Politics, giunto in grave ritardo proprio per questo motivo, mi ha fatto saltare sulla sedia; un disco dalla bellezza mozzafiato, in cui finalmente i componenti si sono messi lì, concentrati, focalizzati ed omogenei, ed hanno dato vita ad un flusso musicale compiuto. E finalmente le loro qualità di arrangiatori ne sono uscite alla grande.
Lo spettro sonoro è di un'ampiezza disarmante, come sempre. Stupisce, come valore aggiunto rispetto al passato, uno spiccato morriconesimo che dilaga nelle tracce migliori: All the colors of the dark, il capolavoro, è una minisuite di 4 minuti che passa da un pianismo ipnotico ad un estasiata contemplazione in cui la chitarra snocciola un giro semplice ed epico, al finale corale e tempestoso. Si potrebbe quasi dire che è prog, ma io in merito mi asterrei e farei parlare il disco.
L'accorato sinfonismo della title-track rievoca l'Ennio Nazionale nelle sue fasi più pastorali e malinconiche, non fosse per la batteria di Amos che non perde mai occasione per rivelarsi drummer eclettico e versatile, ottimo per tutte le stagioni. I led three lives, 9 minuti, cita espressamente la chitarra affilata di Alessandroni sia col timbro che in progressione, ma sotto sotto c'è sempre l'orchestrazione Grails in azione con tutto il suo bagaglio di attualità: basso sintetizzato in propulsione, synth ed effetti elettronici inquietanti, esplosioni vulcaniche.
Sono tanti i nomi che vengono in mente, eppure qui la personalità si taglia col coltello: nell'iniziale Future Primitive lo strumming resta quasi sott'acqua, minaccioso, mentre un violino intona una danza a metà fra balcani e medio oriente. Quando le sei corde emergono fiorisce il caleidoscopio sonico in tutta la sua fragranza, qui finalmente benedetto da un songwriting ispiratissimo.
Nel resto del disco si viaggia ancora per altri mari; i caracollanti riff elettro-acustici di Almost grew my hair, la stasi ambient-rock di Deep snow, il downtempo per flautino solista Corridor of power, ed ancora sinfonismi sinistri con Daughter of Bilitis.
Niente punti deboli, nessun momento di stanca: alla soglia del decennio di attività i Grails sono riusciti a realizzare il loro meglio e potrebbero diventare un caso in cui la maturità supera la giovinezza, in termini di creatività.
Sempre che ritornino.
occhio, hai scritto 2001 invece che 2011
RispondiEliminaGrazie, mi capita spesso di essere disattento :-)
RispondiEliminaBelo bello davvero...
RispondiEliminaAndy
Non posso proprio non commentare.
RispondiEliminaDisco bellissimo (c.t.).