Non è che Eugene Robinson si conceda a chicchessia. Le ormai numerose collaborazioni che ha posto in essere negli ultimi anni (ultima temporalmente è quella con gli Zu) sono sempre state ben calibrate: il suo recitato vs. musicisti dalla forte personalità e di relativa popolarità, volti a ricreare ambientazioni vestibili del suo crudo e psicologico interloquire.
Ma la volta in cui si concede ad un'emerito sconosciuto, il grande nero ripone la penna con cui firma a nome proprio ed insieme danno un nome d'arte al progetto.
Le 5 notti bianco gesso sono messe in musica da tal Anthony Saggers, attivo da qualche anno come Stray Ghost (per me buio assoluto, devo rimediare, in carniere anche due passaggi su DeadPilot Records). Sono 5 temi di sottofondo, della media di 8 minuti di durata, che vertono sempre sullo stesso giro che si ripropone ossessivo. Sulla carta uno si potrebbe aspettare una noia esagerata, in realtà c'è solo da ammettere che Saggers qui si rivela un signor arrangiatore, eclettico e immerso in tante aree temporali molto diverse fra loro.
Perchè le 5 notti sono ognuna di colore diverso, sono sempre sfumature di buio ma accendono i riflettori a causa della loro bellezza minimalista. Il lamento ubriaco di una chitarra si agita sotto un tappeto di organi e uno scabro battito percussivo, per The nights of no sleep. Robinson propone sermoni meno agitati del solito, a tratti sembra quasi un debosciato. Beautiful boy with a stone lancia l'aspetto vintagistico con gli organi vibranti in primo piano ed una ritmica di stampo jazzistico seppur lineare. Non si fa mancare il pezzo drone, Saggers: An organist è un'unica tonica, prima levitata dalle tastiere e poi dalla chitarra, distorta ma in modalità controllata.
The last days of the sinner rappresenta il climax emotivo, se di emotività si può parlare in un disco che sembra comunicare desolazione e rassegnazione a chissà quale male: 6 note di piano che si ripetono all'infinito mentre attorno tutto si stratifica, Robinson per un attimo perde le staffe ma poi si perde, il riverbero viene inghiottito da una nebbia impenetrabile. Splendida.
A black cat chiude con quello che potrebbe anche essere riconducibile a quanto realizza Robinson col compare Wenner in acustico trasfigurata in un tremolio quasi celestiale.
E dopo quelle in bianco, chissà che non ritornino con altre notti.
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