sabato 31 gennaio 2015

Capricorni Pneumatici - Al Azif (1987)

Formazione di un'oscurità impenetrabile attiva nella seconda metà degli anni '80, che pubblicò soltanto lavori su cassetta; non sono riuscito a trovare nè foto nè nomi dei personaggi coinvolti.
Ammetto di averli ascoltati prima di tutto per il nome, perchè lo ritengo fra i migliori mai nati sul suolo nazionale. Ma l'ascolto non è del tutto deludente, anzi. I CP riempivano un vuoto fra le maglie dell'industrial nazionale; molto distanti sia dal rumorismo bieco di MB che dall'esoterismo dei Sigillum S, si proponevano come una risposta brutale a Cranioclast e Nocturnal Emissions. Dall'inesistenza di info reperibili deduco che non abbiano impressionato molta gente, ma i tonfi cupissimi delle loro collisioni abissali inducono ancora una certa soggezione.

mercoledì 28 gennaio 2015

Fausto Rossi - Lost and found (1996)

Messo in commercio furbescamente un anno dopo la resurrezione di L'erba, Lost and found in realtà è prodotto di Faust'O. Un live in studio del 1982 per rodare una formazione destinata ad una serie di concerti, potrei presupporre. E' il momento del grandissimo Out now, ma ha appena firmato per una major, è la sua seconda possibilità di diventare famoso ed è la vigilia di Faust'O, disco fatto di ottimo materiale ma rovinato da una produzione scandalosamente mainstream e plastificata.
Ad ogni modo, la formazione suona da paura e ha un tiro pazzesco, con il fido bassista Fioravanti sempre protagonista. Al termine di ogni pezzo scattano inevitabili gli applausi di massimo una decina di persone presenti in sala, presumibilmente addetti ai lavori. Delle 11 tracce in scaletta soltanto 4 finiranno nell'incriminato omonimo, mentre tutte le altre resteranno inedite e peraltro senza titolo (di certo un destino migliore, piuttosto che finire nel tritacarne).
E' new-wave imbastardita dal talento istrionico dell'autore, null'altro. Il sax onnipresente a punteggiare melodico, la sezione ritmica a motorizzare con incredibile perizia, una chitarra affilata ed efficace, Rossi in forma stellare. A dispetto della veste sciatta e rinnegata, Lost and found è il miglior esempio del Fausto euro-oriented.

domenica 25 gennaio 2015

Keiji Haino, Jim O'Rourke, Oren Ambarchi ‎– Imikuzushi (2012)

So che è brutto da dire, ma negli ultimi 10 anni alcuni dei tanti, troppi dischi da solo di Keiji Haino sono stati così deludenti da sfiorare l'auto-parodia della leggenda che incarna.
Fattosta che invece ogni qualvolta decide di contornarsi di compagni meno (Fushitsusha) o più nuovi (nella fattispecie di Ambarchi e O'Rourke, non propriamente dei gregari), riesce sempre a compiere le acrobazie che ci piace più ascoltare da parte sua. Il super-trio ha già realizzato 4 dischi in 4 anni e sono tutti  altamente consigliati.
Questo è un live registrato a Tokyo nel 2011 e giustifica la sua riuscita in un importante gioco delle parti: se come immagino non dev'esser facile supportare Haino, gli altri due si mettono semplicemente al suo servizio e così facendo diventano altrettanto protagonisti. L'australiano, che in gioventù si formò come batterista jazz e l'americano, in passato bassista per i Sonic Youth, formano un supporto ideale per le solite tortuose iperboli dell'eterno. E' un avant-rock cubista e spinosissimo quello che viene spiattellato senza remore al pubblico, che per quanto improvvisato trova sempre la sua dimensione senza mai perdere un obiettivo focale. Fra folate di rumore bianco, pause di quiete allucinata e torture giapponesi, sono 4 lunghe cavalcate di terrore e perdizione.

giovedì 22 gennaio 2015

Bpeople ‎- Petrified Conditions 1979-1981 (1986)

Oscura formazione di Los Angeles in possesso di un enorme potenziale per entrare nella storia; un paio di elementi (fra cui il mitico Tom Recchion alla batteria) provenivano da una LAMFS ormai tramontata dopo aver seminato scompiglio, l'altro era reduce dalla breve stagione punk; una prima incarnazione guidata dal cantante/chitarrista Gibson comprendeva alla voce un giovane Micheal Gira subito prima del coast-to-coast che lo portò a New York a creare gli Swans.
Da questo scontro culturale nacque una formula particolarissima di art-wave, una specie di fusione a freddo fra Joy Division (ritmi martellanti e lineari, linee di basso arzigogolate) e MX-80 Sound (i fragori chitarristici, le melodie out-pop, le svisate di un sax), con l'aggiunta di un decadentismo tipicamente wave dovuto al canto tormentato di Gibson.
Incisero solo un mini e un singolo, qui inclusi nella raccolta postuma, e si sciolsero dopo pochissimo. Un peccato, perchè affinando la coesione e magari buttandoci un tocco in più di arty le premesse per fare grandi cose c'erano alla grande.

lunedì 19 gennaio 2015

Mogwai - Les Revenants soundtrack (2013)

Qualche segnale di speranza c'era stato nel 2011, con quella meravigliosa Music for a forgotten future che mi faceva pensare che era quello il territorio verso cui i Mogwai si dovevano dirigere, quello pittorico / visuale.
Quale migliore occasione di rinascita se non la commissione della colonna sonora di un thriller a puntate? Beh, se così dev'essere, allora che facciano soundtracks tutta la vita.
Burns sembrerebbe essere il principale ispiratore di quello che, al netto di queste considerazioni, è uno dei migliori 3-4 dischi di tutta la loro carriera, punto. Carico di arie seriose e semi-drammatiche suonate in punta di dita e con la riflessività dei 40 anni, Les revenants indugia sul lato più meditato degli scozzesi, quello in cui avevano già fatto meraviglie in gioventù. Come traslare Kappa ai giorni nostri con una consistente dose di cinismo in più, poca ironia e la maestria di chi ha fatto scuola ma continua a distillare il proprio dna con sapienza.
Non muoiono mai.

venerdì 16 gennaio 2015

Screams From The List 2 - Amon Düül II - Yeti (1970)

Certo, è inutile dilungarsi ma quanta forza sprigiona ancora Yeti? Questi folli crucchi erano consapevoli che a distanza di oltre 40 anni questo doppo avrebbe avuto un effetto così devastante?
A differenza del precedente, pur fondamentale Phallus Dei, c'è meno magniloquenza e più propulsione animalesca. Le chitarre incendiano l'aria, la sezione ritmica è martellante: le altelene acustico-elettriche da capogiro, le pause mistiche mordono il freno e allentano la tensione opportunamente, nei momenti giusti. Giurerei che la struttura fu studiata a puntino, anche se si direbbe un disco più di pancia che di cervello; al punto che il secondo disco, costituito da improvvisazioni, si fa apprezzare per le sonorità ma è leggermente inferiore al primo. Potrei aver scritto un'eresia?

martedì 13 gennaio 2015

O-Type - Medication (2001) + Lugubrious (2002)

Sulla scia del rivelatore Strict, gli O-Type hanno proseguito un'intensa attività nei primi anni zero. Al fianco degli inseparabili Anderson e Sophiea, il contributo sparso dei due batteristi storici degli MX e in Medication di un altro chitarrista, Hrabetin.
Fra questi due lavori, editi dalla sempre ottima Family Vineyard, non c'è una grossa differenza a livello concettuale: sono fatti di ambientazioni fosche, presagi apocalittici, atonalità, scompigli sulfurei. I ritmi entrano raramente in gioco, le pochissime parvenze di melodia le fornisce di tanto in tanto Anderson quando si ferma a riflettere. Il sospetto che sia impro pura è molto forte e fondato.
Un suono illogico, privo di fondamento, che galleggia incostante e nomade. Per pochi intimi, pertanto, e neppure per chi ha amato gli MX-80; lasciarsi abbandonare a queste sculture non è cosa facile, ma chi ha le orecchie ben ricettive ha da goderne.

sabato 10 gennaio 2015

Dark Dark Dark - Who Needs Who (2012)

La più grande rivelazione melodica degli anni 10 fino ad oggi è questo quintetto di Minneapolis che compone pezzi dall'ampio spettro di umori, li esegue rigorosamente in acustica e fa vibrare le corde giuste dell'animo. Al centro del palco, la pianista/cantante Invie si ritaglia all'istante un ruolo di grande carisma grazie alle sue interpretazioni intense; non si scompone mai ma si sente che è trasportata dalle emozioni e la sua performance, pur non avendo nulla di fenomenale, è di quelle che colpiscono nel profondo.
Wild go, del 2010, peccava ancora di qualche pezzo deboluccio, anche se rivelava già un buon numero di pietre preziose; Who needs who, a tutt'oggi l'ultimo, non ha un solo momento di stanca e vede il gruppo ad un livello qualitativo che chissà se riusciranno a mantenere. Il risultato d'insieme è sia rustico che elegante, l'omogeneità del suono trova il suo motivo d'esistere nell'eccezionale media del songwriting.
A voler fare un dispetto per trovare un paragone: le melodie avvolgenti dei primi Beach House contro il crooning autunnale dei primi Black Heart Procession, con una propensione più a questi ultimi se si considera che non sembra esserci tanta dolcezza di fondo. In evidenza le fenomenali title-track, Patsy cline, Meet in the dark, Without you, How it went down (dall'incedere vagamente Mazzy Star).
Meriterebbero molto di più qualche riconoscimento da testate e siti, che peraltro non possono neanche scomporsi alla presenza di tal apporto emozionale. Almeno per me.


mercoledì 7 gennaio 2015

Angelic Process - Weighing Souls With Sand (2007)

Con l'invenzione del doom-gaze nel primo album del 2001, gli AP finirono per influenzare i Nadja che approdarono a queste sonorità soltanto un paio d'anni dopo. Ma a differenza delle suite quasi free-form di Aidan Baker, i georgiani sono sempre stati dalla parte delle forma canzone e soprattutto da quella della intensitività emo.
Come nel caso dei Nadja, trattavasi di una coppia mista, Kris e Monica, che in poco più di un lustro ha costruito questo suono originalissimo, indipendente da un ipotetico retaggio metal: muraglie impenetrabili di chitarre suonate alla maniera shoe-gaze con tutti gli effetti, ma con la sostanziale differenza della distorsione senza sosta: l'equivalente di uno tsunami. Ritmi generalmente lenti, di derivazione doom. Composizioni epiche, vocalità fine ma disperata, ed uno spleen emotivo che ricorda in qualche modo i Cure della gloriosa trilogia dark
Questo fu il loro testamento, nonchè apice di potenza e massimalismo del percorso. Se qualcuno pensa che sia un disco monotono perchè i pezzi si assomigliano tutti e lo tsunami alla lunga può stancare, allora non l'ha ascoltato con l'attenzione che si merita. Perchè scoprirebbe il filo rosso che segna le lunghe tracce (il sospetto di concept mi sovviene) in un escalation non scomponibile che culmina drammaticamente con How to build a time machine.
L'anno successivo lui ebbe un non meglio precisato infortunio alla mano e poi si tolse la vita. Certi demoni dovevano esser parecchio duri, da scacciare.


domenica 4 gennaio 2015

Belbury Poly - The Belbury Tales (2012)

Se non fosse per: 1) la produzione e la medio-alta fedeltà del suono, ascrivibile alla categoria freddo digitale 2) certi beat sintetici 3) un paio di episodi, peraltro non entusiasmanti, dediti rispettivamente alla new-wave (Chapel perilous) e ai corrieri cosmici tedeschi (Summer round), questo disco potrebbe tranquillamente essere confuso per un reperto library dei primi '70; l'influenza di Umiliani (che sia stata esposta all'artista o meno) aleggia su più o meno tutto, sia per i suoni che per il canovaccio compositivo.
E' un disco squisito, fresco e frizzante come una brezza estiva. Autore ne è Jim Jupp, solista gallese attivo già da una decina d'anni e co-proprietario di una label, la Ghost Box Music, dichiaratamente innamorata delle colonne sonore e della library degli anni '70. Così i pezzi scorrono che è un piacere, fra arie sbarazzine e melanconiche, intrise di tastiere vintage, ritmiche caracollanti e qualche vocalizzo femminile, con al vertice un paio di episodi clamorosi (A pilgrim's path e Earth lights).
Potrebbe anche piacere ai profani della library, vista la sua sopracitata e sottintesa modernità.

giovedì 1 gennaio 2015

Screams From The List 1 - Gong - Camembert Electrique (1971)

Giunto ormai ad un buon punto nell'ispezione analitica della NWW List, e ringraziando l'amico Vlad per avermi inconsciamente spinto in questo enorme cunicolo in cui mai mi sarei avventurato di mia spontanea iniziativa, mi sento di asserire che alcuni capolavori che non conoscevo valgono ampiamente l'avventura. A parte i capitoli da ascoltare, ho scovato dentro di essa tante perle di sperimentazione da parte di pionieri e/o folli oscurissimi che devono essere approfondite con estrema attenzione. Mi limiterò pertanto a citare quelli che secondo me sono da ascoltare subito o da ascoltare assolutamente.
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Poco considerato rispetto alla trilogia susseguente che ha scolpito il mito freak dei Gong, Camembert Electrique in realtà ebbe il grande pregio di aprire una breccia, ovvero di fondere la psichedelia con le angolazioni più secche del prog e di alternare spassose gag a scenari galattici. Canterbury era già abbondantemente alle spalle, e le scimmie ancora lontane.
Il tutto senza neanche una minima traccia di blues. I presupposti per realizzare un capolavoro fuori dagli schemi c'erano in partenza: la perfetta condizione di Allen, ormai apolide senza speranza e con la stoffa dell'hippy genio pazzoide ormai dotato di una certa esperienza e chitarrista fuori dalle righe, la formazione che vanta una sezione ritmica formidabile ed un arguto fiatista francese.
Le convulse e deliranti You can't kill me, Dynamite, Mister Long Shank  mandano in orbita e gloria il disco, con la follia geometrica delle composizioni e gli incastri senza sosta (molto influenti su Zoogs Rift, mi verrebbe da dire). Momenti magici però anche quando il gruppo allenta le briglie per rilassarsi e rivolgere lo sguardo ad orizzonti più distesi ed aperti, con Tropical Fish, I am your fantasy e Fohat digs holes in space
Un meltin pot da favola; Allen compone e sparge paranormalità in lungo ed in largo, ma la coesione e l'eclettismo del gruppo fu fondamentale per la riuscita finale.