Smessi i panni di Samuel Katarro (e come dargli torto, pochi monickers furono altrettanto sciagurati, ma un errore di gioventù si perdona a tutti), Alberto Mariotti ha colto l'occasione e varato KOTO, di fatto un trio col batterista Vassallo ed il polistrumentista D'Elia, anche co-autore di una metà delle musiche. E non è stato un passaggio puramente formale; dopo quel piccolo capolavoro visionario che l'aveva innalzato rivelazione italiana di fine anni '00, Mariotti ha formalizzato un upgrade stilistico che potrei banalmente definire crescita: via i rusticani excursus post-blues, via le asperità vocali in favore di un canto lineare, trasognato e mai sopra le righe come in passato, dentro 9 pezzi ben prodotti, con arrangiamenti professionali, dentro un lirismo che faceva già parte delle pagine più emotive di The halfduck mistery ma reso più solenne, a tratti tronfio, ma nell'accezione più positiva che si possa dare. Al primo ascolto non mi era piaciuto, al secondo già la storia è cambiata: GD, Nothing outstanding, Heart of Town le vette, a base di una psichedelia che ha preso campo, che suona classica all'istante, per quanto Mariotti non inventi nulla che non sia il suo stile personale.
Remember the WISHLIST
13 ore fa
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