Smessi i panni di Samuel Katarro (e come dargli torto, pochi monickers furono altrettanto sciagurati, ma un errore di gioventù si perdona a tutti), Alberto Mariotti ha colto l'occasione e varato KOTO, di fatto un trio col batterista Vassallo ed il polistrumentista D'Elia, anche co-autore di una metà delle musiche. E non è stato un passaggio puramente formale; dopo quel piccolo capolavoro visionario che l'aveva innalzato rivelazione italiana di fine anni '00, Mariotti ha formalizzato un upgrade stilistico che potrei banalmente definire crescita: via i rusticani excursus post-blues, via le asperità vocali in favore di un canto lineare, trasognato e mai sopra le righe come in passato, dentro 9 pezzi ben prodotti, con arrangiamenti professionali, dentro un lirismo che faceva già parte delle pagine più emotive di The halfduck mistery ma reso più solenne, a tratti tronfio, ma nell'accezione più positiva che si possa dare. Al primo ascolto non mi era piaciuto, al secondo già la storia è cambiata: GD, Nothing outstanding, Heart of Town le vette, a base di una psichedelia che ha preso campo, che suona classica all'istante, per quanto Mariotti non inventi nulla che non sia il suo stile personale.
martedì 16 aprile 2019
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