Un incontro necessario, per entrambe le parti. Tibet che continua a restare giovane cantore e torna alle sue stagioni del folk apocalittico, gli Zu del nuovo corso che scioperano, piaccia o non piaccia (Pupillo suona un basso doom solo in un pezzo, non odo tracce del sax di Mai neanche un attimo, ma potrei sbagliarmi), con la mediazione di Pilia, deus ex-machina musicale del disco con la sua acustica. Non è una somma delle parti, come scritto altrove, bensì un crocevia di tante esperienze diverse che collimano in un concept ininterrotto su questo Specchio Imperatore. Le anime sono sostanzialmente due, quella della ballad agreste-eterea e quella delle pulsioni elettroniche sinistroidi, con i due celli (Serrapiglio e Tilli) decisivi nel punteggiare i momenti più drammatici. Per Tibet non cambierà niente e forse non verrà neanche considerato in madrepatria, ma per gli Zu è un altro centro collaborativo, dopo quello con ESR ed un percorso autonomo incerto. Bellissimo.
martedì 30 aprile 2019
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