domenica 26 febbraio 2023

Captain Beefheart – Clear Spot (1972)


Anche se occasionale, è sempre un sottile piacere (quasi veniale, come se fosse un peccato) ripescare un Capitano della fase di mezzo, quella diciamo normalizzata, che va dalla doppietta del 1972 al 1974, alla doppietta inglese da tutti ferocemente stroncata. E' anche un mezzo perspicace per rendersi conto di un postulato abbastanza ovvio: essendo stato uno dei più grandi di sempre, anche nei suoi episodi meno acclamati non può essere mai stato deludente, ed infatti non lo fu. Per Clear Spot basta anche una riflessione incontrovertibile: nei micidiali concerti della sua ultima fase, fra il 1980 ed il 1981, in scaletta erano presenti estratti come la licantropica Nowadays A Woman's Gotta Hit A Man, le melliflua Her Eyes Are A Blue Million Miles e la vulcanica Big Eyed Beans From Venus, spesso posta come gran finale.

DVV doveva avere una buona considerazione generale di Clear Spot. E dagli torto. Non manca quasi nulla del suo stile, con le decostruzioni cubiste diluite e dilavate in un ispido e dinoccolato meta-blues, certamente più accessibile alle masse e fatto su misura per il suo canto impeccabilmente modulato (ma ci stancheremo mai di notare che razza di vocalist fosse?). Prendiamo la ultra-melodica My Head Is My Only House Unless It Rains o il soul puro di Too Much Time come estremi da una parte e la sanguigna Circumstances o la spezzettata title-track dall'altro capo. Con tutto ciò che ci sta nel mezzo, l'omogeneità di Clear Spot resta uno di quei misteri che nemmeno il tempo riesce a districare. Troppa classe, dai.

mercoledì 22 febbraio 2023

Lingua Ignota – Caligula (2019)


Fin dall'incipit, dalle polifonie gotiche di Faithful Servant Friend Of Christ, un affresco non distante da certe pagine Dead Can Dance, si è capito che il difficile terzo album di Kristin Hayter sarebbe stato naturalmente evolutivo rispetto ai due miliari precedenti. Un disco sfaccettato e composito, lunghissimo, che ha richiesto più attenzione e concentrazione per essere assimilato. L'effetto finale, per quanto l'impressione continui a restare altissima, è che l'immediatezza sia stata sacrificata in nome di una maggiore cura dei dettagli. Spicca infatti il coinvolgimento di diversi musicisti a sostegno (cello e violino, batteria e percussioni sparse, qualche sgocciolìo di elettronica) delle 11 composizioni, che raramente vedono la Megachurch Mom in perfetta solitudine come in passato.

La base di partenza resta la dolente sonata piano/voce, per mezzo della quale si dipanano le sfuriate harsh, le mazzate doom (Day of tears and mourning ricorda vagamente i Locrian), le orchestrazioni a pieni giri (Spite alone holds me aloft, I Am The Beast), in un labirinto difficilmente estricabile. Se si trattasse del disco di una esordiente i toni sarebbero forse più entusiastici; l'impressione generale è che si sia trattato di un episodio di transizione. Ma è la transizione di una fuoriclasse, ed è inevitabile renderle omaggio, ancora una volta.

sabato 18 febbraio 2023

Bel Canto – White-Out Conditions (1987)


Trio norvegese tutt'ora in attività, anche se l'ultimo disco risale a ben vent'anni fa, che in questo debutto concretizzava un particolare ibrido fra Dead Can Dance e Cocteau Twins, col surplus del loro dna scandinavo (provengono da una cittadina situata al Circolo Polare Artico) che infonde imponenza e magniloquenza. Sotto i riflettori la voce della Drecker, cantante dotata di un timbro fascinoso e calzante per le ottime composizioni, indugianti in un gotico etereo con influssi etnici disparati e poliritmiche ai limiti del synth-wave. Un complesso abbastanza ambizioso, variegato e ben riuscito, che oggi è invecchiato un po' maluccio soltanto per le sonorità troppo '80 e le relative tastiere, verso le quali ho un rigetto che probabilmente non mi passerà mai. Ma certi pezzi sono davvero molto belli.

martedì 14 febbraio 2023

Zelienople – Hold You Up (2020)


Vale più o meno lo stesso discorso, con le dovute differenze, che ho fatto tempo fa per Holy Sons; ci starebbe una pausa di un paio di settimane per fermarsi ed ascoltare in sequenza tutta la discografia, che consta di una ventina di titoli, con ogni probabilità mai meno che buoni. Per adesso conosco il debutto del 2002, forse leggermente acido ed acerbo in prospettiva, lo splendido mediano Give It Up del 2009, oggi è il turno del più recente del lotto, Hold You Up, che non può fare altro che confermare il mio apprezzamento per il loro polveroso e spiritato ambient-rock. Immancabilmente il motore della situazione è sempre Matt Christensen, ma non sarebbe una cosa di gruppo senza Weis e Harding, essenziali nel fornire un corredo che diventa l'essenza stessa dello Zelienople sound.

Una verve ritmica maggiore nell'iniziale Safer e nella finale America fanno da zavorre per il poker centrale di escursioni svanite e di durata potenzialmente infinita, da ascoltare e riascoltare e riascoltare senza stancarsi. Menzione speciale per la title-track e You Have It, ma è solo una questione di gusti. Abbandono totale; ce l'hai o non ce l'hai.

venerdì 10 febbraio 2023

Ant-Bee – Pure Electric Honey (1990)


Uno di quegli artisti americani che soltanto PS poteva introdurre all'Europa, Billy James, originalmente un batterista ma poi reinventatosi cantautore ultra-psichedelico negli anni '90. Il suo debutto Pure Electric Honey è un campionario totale di svanimento, grazie a delicate composizioni che si calavano direttamente dagli anni '60 in un atmosfera a dir poco ovattata, ed anche di stordimento, per quanto riguarda i debordanti spazi collagistici, quasi d'avanguardia. Un manifesto dello sballo, che mutua qualcosa dai primi Pink Floyd ma anche dal primo Frank Zappa (non a caso vi suonano alcuni reduci delle Mothers). Un'esperienza sensoriale che necessita di molta attenzione e non sempre fila liscia, ma davvero impressionante nel saper pennellare il concetto di espansione dell'anima.

lunedì 6 febbraio 2023

Mako Sica / Hamid Drake Featuring Tatsu Aoki & Thymme Jones – Ourania (2021)


Sempre più similari ad un unità jazz mobile che fa spots e featurings, i Mako Sica affinano le loro escursioni con orgoglio e senso di comunità. Perso il polistrumentista Newell, Drazek & Fuscaldo conservano Drake e per Ourania alzano l'età media con nientemeno che il venerando Thymme Jones (tastiere e tromba) ed il jazzista giapponese Tatsu Aoki (liuto shamisen e contrabbasso). Prende forma così un quintetto sorprendentemente coeso che genera 5 lunghe passeggiate riflettenti, incentrate su una trance misticheggiante sterminata in cui ciascun personaggio sembra fare a gara con gli altri ad apparire più quieto e meno invasivo possibile. Una sfida molto dura sulla carta, ma che sfodera il senso intero dell'operazione: jazz psichedelico lunare, intriso di umiltà e umanità.

giovedì 2 febbraio 2023

Damon Edge – The Wind Is Talking (1985)


Da un po' di tempo sono in una seria fase di rivalutazione dei Chrome post-split 1983, ovvero quelli di Damon Edge, un periodo che forse non ho mai veramente preso sul serio, un po' per l'enorme considerazione che ho di Helios Creed ed un po' per il sovraffollamento di dischi che DE fece uscire fra il 1985 ed il 1988, sdoppiati fra intestati ai Chrome e altri a suo nome (differenziati sostanzialmente dalla differenza di grafica, sempre a classica mano i primi e a caratteri stampati i secondi). Detto di un primo un po' altalenante, il secondo The Wind Is Talking fu già meglio. Ovviamente siamo nella solita area, un gothic-cyber-space-post-sci-fi-punk lascivo, minaccioso e melmoso, incrocio fra Hawkwind e Sisters Of Mercy declinato alla maniera personale di DE, acida ed ossessiva. I Don't Know Why, We're Down the road, Circle Of Time i migliori. Tutt'altro che il diavolo.