sabato 29 agosto 2015

Rollerball – Bathing Music (2000) + Ahura (2008)

Due episodi dell'ormai mitica (e miracolosamente ancora in attività) band montaniana che identificano un filo conduttore nonostante le dovute differenze, sia temporali che di situazione. L'inebriante Bathing music, primo album su Road Cone, che spegneva le iniziali velleità wave in favore di una preziosa scoperta: la formula art-rock purissima che travalicava jazz e prog, etnico ed elettronico, sperimentazione, impro e forma canzone con una freschezza fuori da ogni tempo.
Otto anni dopo, Ahura li vedeva finalmente oltrepassare l'Atlantico, salpando sul continente che li ha accolti con calore fin dalle prime avanscoperte, e perdipiù sul suolo italico: è stato il secondo su Wallace ed un pezzo è intitolato Cesena sweet pants. A parole la decisa sterzata melodica qui presente potrebbe sembrare una marcia indietro artistica; in realtà i Rollerball non deludono mai e l'ennesima impresa, con Ahura, è stata quella di diventare una band di post-RIO-pop che non ha eguali.

mercoledì 26 agosto 2015

Supervixens - Nature and Culture (2014)

Sorprendente album di debutto da parte di questo quartetto pisano inserito in un contesto che mi sembra svicolare dalla comunità italian occult psychedelia.
Acidi, ossessivi, rumorosi e martellanti, i Supervixens suonano uno psycho-noise che non può fare a meno di essere citazionista ma hanno trovato una loro via personale di successo perchè (complice il saggio e breve minutaggio) sanno alternare le diverse situazioni, che possono essere di caos, di fuga impazzita, di decollo spaziale, di allucinazione collettiva, di deriva in mare aperto senza controllo.
Il patron della situazione è Cambuzat degli Ulan Bator, che ha militato anche nei Faust. Probabilmente la leggenda tedesca, nelle incarnazioni degli anni '90, è il nome a cui si potrebbe accostare maggiormente quello dei toscani. Ma nulla toglie al loro merito nell'aver confezionato un lavoro davvero impressionante.

domenica 23 agosto 2015

Catherine Wheel ‎– Happy Days (1995)

In piena era brit-pop, gli Catherine Wheel erano troppo bravi per ricavare successo commerciale. Eppure, dopo il bellissimo secondo, se ne uscirono con un lavoro ancor più orecchiabile e con una produzione molto più boombastica. Che il motivo fosse dato dalle pressioni della major o da un caso artistico, non ha importanza. 
Con Happy Days aumentava lo spessore delle chitarre, sempre meno shoegaze e più alternativamente fragorose, con qualche impennata alla guitar-hero del bravo Futter. Aumentava la ruffianaggine di alcuni pezzi, smaccatamente melodici. Il timbro vocale di Dickinson era talmente peculiare da renderle comunque atipiche, persino nel caso delle ballads teneramente accorate.
Eppure si trattava di un altro ottimo disco, variegato nella giusta misura, diverso ormai anni luce dall'esordio che risaliva a solo 3 anni prima. Fu la fine della crescita per loro, troppo incompresi per poter andare avanti a lungo.

giovedì 20 agosto 2015

Klaus Schulze ‎– Cyborg (1973)

Ristampa di una decina d'anni fa in cui l'assemblaggio è un po' discutibile: affiancato al colosso originale appare un live, But beautiful, registrato in una cattedrale di Bruxelles nel 1977. Pur trattandosi di una suite pre-new-age dignitosissima, non mi sembra abbia molta attinenza (non si poteva abbinare alla ristampa dei, peraltro numerosi, album contemporanei?). 
A parte questo dettaglio, Cyborg: pochissime parole per un mastodonte di oltre 90 minuti in cui il berlinese dietro il suo arsenale di macchine spaziali schierava un'imponente orchestra chiamata a fornire strati su strati di ghiaccio, di impenetrabili oscurità, di bordoni incessanti. Favolose come sempre le frasi di organo che Schulze ricamava con seriosità tutta teutonica. 
Quarant'anni dopo, questi monumenti di arte cosmica fanno ancora impressione. Com'è possibile?

lunedì 17 agosto 2015

Magnog ‎– Mist Waves Riding The Hills 7" (1996)

A chiudere la brevissima discografia del trio di Seattle, dopo aver disquisito dei due meravigliosi album rilasciati in vita, rendo conto di un singoletto che ho recuperato recentemente fatto uscire nel '96 dall'etichetta inglese Enraptured. Più per completismo che per altro; sono sempre molto restìo a giudicare piccoli formati perchè non misurano la reale statura dell'output dei musicisti.
In questo caso, 3 pezzi per 13 minuti, piuttosto criptici, che anticipavano certe tendenze weird-psych degli anni zero, che barbarizzavano le origini shoegaze e teutoniche in un vortice minimalista allucinatorio.

venerdì 14 agosto 2015

Steve Jablonsky & Explosions In The Sky ‎– Lone Survivor (2013)

Ma sì, sembra proprio questo il destino dei grandi post-rockers; fare colonne sonore, che può essere dettato da tanti motivi, come il provare esperienze diverse, come il provare a superare il blocco creativo dandosi scadenze improrogabili, come la necessità di fare cassa, come semplice desiderio, etc. Per i Mogwai ha rappresentato un segno di rinascita, e per gli Explosions invece? Dieci anni dopo il felicissimo debutto con Friday night lights, il supportare un film di guerra dal budget importante si propone come occasione propizia per gli Explosions di rilanciarsi in una nuova veste.
Il parallelo coi Mogwai si ripropone, diabolicamente, anche in tema filosofico: li adoro talmente tanto che desidero si sciolgano subito, perchè il declino che hanno intrapreso sembra inesorabile. Pensavo la stessa cosa degli scozzesi dopo Hardcore will never die, finchè non è arrivato Les revenants. Ma secondo me ciò che aveva causato l'exploit era stato un bagno di umiltà, il che qui sembra improbabile semplicemente perchè gli Explosions non possono mai smarrirla, ce l'hanno troppo dentro.
A parte questo, anche su Lone survivor c'è poco da dire: è bellissimo ed al netto delle pause e delle lungaggini funzionali alla pellicola, contiene la solita ricetta di arpeggi incantevoli, scenari panoramici, tuffi solari ed introspezioni lunari. Ci poteva scappare fuori un buon album di inediti? Forse sì, forse no. La scintilla scatta sempre, ma la riflessione finale è; tutto molto bello, ma mi sa che stiamo esaurendo le risorse. Poco più che ininfluente il contributo di Steve Jablonski, già autore per cinema e per videogames, con sole 4 tracce su 20.
Potrei cambiare idea guardando il film, quello sì: se il loro posto è lì sul grande schermo, allora anche i fans incalliti ne trarranno soddisfazioni. Chissà che non arrivi un Oscar, se lo meriterebbero veramente.

martedì 11 agosto 2015

Gnaw Their Tongues ‎- Per Flagellum Sanguemque, Tenebras Veneramus (2011) + + Eschatological Scatology (2012)

Il nostro satanasso prediletto con quella che di fatto è stata l'ultima main release, escludendo EP, raccolte, splits e miscellanee varie. Come promesso in diverse interviste, De Jong ha rallentato il ritmo quasi insostenibile delle uscite inedite di GTT, dal momento che si rendeva conto che così tanti dischi avrebbero rischiato di far calare l'attenzione. Alquanto improbabile fare di meglio delle opere immediatamente precedenti, eppure con Per flagellum De Jong è riuscito a variare ancora la formula terrificante, guidando la bestia verso sonorità più magniloquenti, a tratti surreali. Notabili l'uso massiccio di archi, percussioni e fiati orchestrali, vocalizzi femminili. La solita dose di malevolenza black e le esplosioni incontrollabili di violenza sono veicolate da un senso di allucinazione non percepito nelle precedenti pubblicazioni. Un inevitabile, ennesimo capolavoro.
Eschatological Scatology invece è una raccolta di materiale inciso fra il 2008 e il 2009, di non meglio specificata provenienza ed auto-rilasciato soltanto in formato digitale. Lo stampo è quello più sbilanciato sul versante black-doom, fortemente chitarristico e quindi interessante per la quasi totale assenza delle sei corde nel repertorio GTT. Ottimo materiale, che è stato giusto diseppellire.

sabato 8 agosto 2015

Screams from the list 9 - Free Agents - £3.33 (1980)

Nel 2011 la Drag City ristampò i 3 titoli che nel 1980 furono licenziati dall'etichetta inglese Groovy, di proprietà di Shelley dei Buzzcocks e Cookson dei Tiller Boys, sconosciuto gruppo wave che conobbe la delusione del rifiuto di pubblicazione da parte della Factory e si sciolse subito dopo.
Assolutamente nulla a che fare nè col punk nè con la wave, comunque. Free Agents era un progetto collaterale di una parte dei Tiller Boys, e 3.33 è diviso in due parti: la prima facciata registrata dal vivo e la seconda in studio. Shelley partecipò solo a quest'ultima. Ci troviamo in un area grigia che è ben difficile da definire.
Essendo un titolo del 1980, i NWW lo inserirono sull'ampliamento della list sul secondo album, ed è uno dei rarissimi casi di influenza al contrario: la facciata A, quella live, è un collage free-industrial che deve senz'altro qualcosa a Chance meeting...., sia per l'approccio ossessivo ai suoni che per le strutture chiaramente aleatorie di come si sviluppa. Impressionante e con un senso tutto suo (che capisco non sia facile cogliere nell'immediato).
Nella facciata B, divisa in tre parti, compare Shelley e il suo peso si sente, ma siamo ancora in area tangente NWW: la sua chitarra sa essere sia quella commercial di Nicky Rogers (lo sgherro responsabile dello studio che impose la sua presenza su Chance meeting in cambio delle registrazioni gratuite) e quella maltrattata di John Fothergill. Nel sottofondo si agitano ritmi sconquassati ed ossessivi, urla bestiali in eco, cattiverie gratuite ma anche squarci filo-tedeschi di contemplazione (l'ultima traccia). Forse concettualmente più vicina ai Throbbing Gristle, ma con meno spirito iconoclasta.
Parafrasando una massima un po' maligna di Vlad; si tratta del miglior disco dei Buzzcocks.

mercoledì 5 agosto 2015

Church - After Everything Now This (2002) + Uninvited, Like The Clouds (2005)

I Church sono fra i massimi alfieri dell'onesto mestiere di continuare a fare musica con lo stesso spirito da più di 30 anni. Questi due lavori del decennio zero non sono stati nè più nè meno rappresentativi di quanto realizzato in passato; contengono highlights elevatissimi e pezzi più ordinari, in ogni caso non hanno mai costituito una caduta di tono per i loro standard. Kilbey, con la barba imbiancata, è ancora magnetico come in gioventù e la voce non perde un grammo della propria espressività. Wilson-Piper forse ha un generatore di melodie chitarristiche di sua costruzione che non si è ancora rotto. Non so quante band, fra il ventesimo ed il trentesimo anno, godano ancora di tale forma. L'assenza di successo li ha preservati dagli eccessi e dall'inaridimento creativo?
After everything risentiva ancora delle mareggiate psichedeliche degli anni '90 ed è nel complesso uno dei migliori 3-4 di tutto il repertorio (Numbers, Songs for the asking, Chromium). Uninvited è stato un ritorno agli stili di fine anni '80, con un suono più ampio e fragoroso, in grado di riscattare qualsiasi leziosità soltanto con la qualità di scrittura, sempre di livello mondiale. E al termine, durante la magnifica Song to go..., improvvisamente si sente la voce di Kilbey modulata attraverso un vocoder. Un gesto inatteso, forse ironico, forse beffardo. Come a dire: noi siamo sempre noi, questa è per farsi una risata in un contesto serio.

domenica 2 agosto 2015

Eiko Ishibashi - Car And Freezer (2014)

Polistrumentista giapponese attiva già da una decina d'anni, patrocinata da Jim O'Rourke e sorta all'attenzione l'anno scorso a causa dei voti altissimi ricevuti fra rete e carta stampata.
Nel dettaglio, la Ishibashi è una pianista/batterista/cantante. Potrebbe sembrare ininfluente cosa suoni, ma durante l'ascolto di questo graziosissimo Car and freezer il paragone si staglia inesorabile: lo spirito più melodico e gentile di Robert Wyatt rivive gioviale in questi 8 pezzi (moltiplicati per 2, una versione in nipponico ed una in inglese, ma non ci sono differenze) ed il gioco è fatto.
Raramente ho sentito affinità di fondo con un'artista immenso in modo così ispirato. Oppure, senza stare a focalizzare troppo, il Canterbury-Sound non è mai suonato così fresco ai nostri giorni. Giova al complesso la produzione che più vintage non si può di O'Rourke. Il giochino della doppia scaletta è un caso più unico che raro di godimento al riascolto. Di sicuro il futuro della musica non passa da qui, ma che classe....