In piena era brit-pop, gli Catherine Wheel erano troppo bravi per ricavare successo commerciale. Eppure, dopo il bellissimo secondo, se ne uscirono con un lavoro ancor più orecchiabile e con una produzione molto più boombastica. Che il motivo fosse dato dalle pressioni della major o da un caso artistico, non ha importanza.
Con Happy Days aumentava lo spessore delle chitarre, sempre meno shoegaze e più alternativamente fragorose, con qualche impennata alla guitar-hero del bravo Futter. Aumentava la ruffianaggine di alcuni pezzi, smaccatamente melodici. Il timbro vocale di Dickinson era talmente peculiare da renderle comunque atipiche, persino nel caso delle ballads teneramente accorate.
Eppure si trattava di un altro ottimo disco, variegato nella giusta misura, diverso ormai anni luce dall'esordio che risaliva a solo 3 anni prima. Fu la fine della crescita per loro, troppo incompresi per poter andare avanti a lungo.
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