I Church sono fra i massimi alfieri dell'onesto mestiere di continuare a fare musica con lo stesso spirito da più di 30 anni. Questi due lavori del decennio zero non sono stati nè più nè meno rappresentativi di quanto realizzato in passato; contengono highlights elevatissimi e pezzi più ordinari, in ogni caso non hanno mai costituito una caduta di tono per i loro standard. Kilbey, con la barba imbiancata, è ancora magnetico come in gioventù e la voce non perde un grammo della propria espressività. Wilson-Piper forse ha un generatore di melodie chitarristiche di sua costruzione che non si è ancora rotto. Non so quante band, fra il ventesimo ed il trentesimo anno, godano ancora di tale forma. L'assenza di successo li ha preservati dagli eccessi e dall'inaridimento creativo?
After everything risentiva ancora delle mareggiate psichedeliche degli anni '90 ed è nel complesso uno dei migliori 3-4 di tutto il repertorio (Numbers, Songs for the asking, Chromium). Uninvited è stato un ritorno agli stili di fine anni '80, con un suono più ampio e fragoroso, in grado di riscattare qualsiasi leziosità soltanto con la qualità di scrittura, sempre di livello mondiale. E al termine, durante la magnifica Song to go..., improvvisamente si sente la voce di Kilbey modulata attraverso un vocoder. Un gesto inatteso, forse ironico, forse beffardo. Come a dire: noi siamo sempre noi, questa è per farsi una risata in un contesto serio.
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