martedì 28 febbraio 2017

Core Of Bells - Bottle keep (2010)

Grazie all'insanabile passione per il Sol Levante del mio conterraneo Savini, di tanto in tanto testo l'ascolto di gruppi nipponici più o meno fuori di testa. Il quintetto Core Of Bells è decisamente dentro la categoria dei primi; un suono imprendibile, un folle incrocio fra Aburadako, Hella e Red Krayola, compresso fra sfuriate ultra-compresse, gag surreal-matematiche, teatrini dell'assurdo ipertecnici, banzai sonici come se non ci fosse un domani. Irresistibile e mai banale.

domenica 26 febbraio 2017

Zoogz Rift ‎– Water (1987)

Uno dei 7 album con il quale ZR inondò il catalogo SST fra l'87 e l'89, dei quali ho già imparato ad amare Water II e Nonentity. Insieme a questi, Water costituisce la trilogia dell'acqua ed è una delle sue classiche sarabande di gag-rock serrato con la chitarra in grande evidenza, sia in veste funzionale che in libera uscita di assolo. Memorabili I'll rip your brains out, Getting laid at grace park, Burn in hell e Mongoloid Middle America.

venerdì 24 febbraio 2017

Buñuel ‎– A Resting Place For Strangers (2016)

Dopo la clamorosa collaborazione con gli Zu, Eugene Robinson torna a svernare in Italia, questa volta con un trio all-stars di quelli che sulla carta si direbbero supergruppo: Iriondo, Capovilla e Valente. Ovvero tutti e 4 ragazzi degli anni '90.
L'operazione sa tanto di autoreferenzialità, per non dire di autocelebrazione nostalgica; muscoli in bella vista con una sezione ritmica classicamente yankee-noise, ER che sbraita alla sua maniera, Iriondo lobotomico ed incisivo. In pratica un aggiornamento del suono Touch & Go con la cura professionale delle registrazioni attuali. Concettualmente più o meno quanto pensavo del Teatro Degli Orrori, ma qui la somma delle parti è superiore. Un disco che, per quanto produzione di 4 volponi che sanno bene il fatto loro e che alla fine portano (quasi sempre) a casa il risultato, può intrigare anche gli extra-amanti del settore, per quanto fatto dannatamente bene.

mercoledì 22 febbraio 2017

Crash Worship ‎– Triple Mania II (1994)

Collettivo californiano che negli anni '90 propose un mix incendiario di industrial, tribale, esoterica e psichedelia. Data la fortissima componente scenica del progetto (in rete si trovano testimonianze di come i loro concerti fossero dei potentissimi baccanali orgiastici), probabilmente il nucleo decisionale non cercò di convogliare al meglio le creazioni musicali, bensì di cercare di ricreare una parvenza dei loro show.
Per questo Triple Mania II più che un disco sembra una carrellata, un catalogo delle ossessive pulsazioni che portavano sul palco: i tamburi incessanti, i synth a fischiare e rombare, le voci manipolate, le emissioni animali, questo ed altro concorreva a creare allucinazioni che vissute dal vivo avranno reso il concetto di inferno molto vicino alla realtà.

lunedì 20 febbraio 2017

Gang Wizard ‎– Important Picnic (2014)

Band californiana in attività da quasi 20 anni, quindi ben precedente l'ondata dell'harsh-noise sia quella dello shit-gaze. Risalta quindi che questo album, ultimo di una lista che inevitabilmente è fin troppo lunga, fuoriesca come un'improbabile incrocio fra le due correnti. con una componente primitive-arty che ricorda tanti nomi del passato remoto e persino certe correnti più o meno sotterranee statunitensi di 20 e passa anni fa.
Un disco delirante, lo-fi, sgangherato ma con una visione ben precisa dall'inizio alla fine. Un suono che aliena come quelli delle metropoli ma elabora anche allucinazioni di naivetè a loro modo stilish.

sabato 18 febbraio 2017

Six Finger Satellite ‎– Weapon EP (1991) + Machine Cuisine (1994)

Due uscite corte prima e dopo il rinomato debutto su Sub Pop: difficile pensare, ad orecchie inconsapevoli che sia la stessa band. L'EP Weapon contiene 4 pezzi di alternative-noise fragoroso, con qualche scoria di post-hardcore ma già piuttosto maturo. Le chitarre hanno il sopravvento ed il cantato di Ryan è ancora sintonizzato su uno screaming monotonale. Per un gruppo all'esordio assoluto, niente male.
Machine Cuisine, un mini-lp edito soltanto su vinile 10", fu un episodio controverso; PS gli assestò addirittura un impietoso 4/10, dopo aver dato uno dei suoi rari 8/10 a The Pigeon. Si trattava di un evidente disco di transizione, oltre che il primo approccio radicale dei 6FS all'elettronica; la band era in pieno rimescolamento di formazione (se ne erano andati il chitarrista Phillips ed il bassista Niemand), ed alla luce di questo a mio avviso non è da buttare, anzi; la schizofrenia residente nel dna esce alla grande nelle pulsazioni ossessive di White Temples, mentre sono irresistibili le marcette kraftwekiane di Love (Via Machine) e The well tempered monkey. Il resto, sì, si poteva limare qualcosa, ma non è che infici di tanto.

giovedì 16 febbraio 2017

Necks - Vertigo (2015)

Il wonder-trio di Sidney non finisce mai di stupirci ed è sempre più difficile trovare le parole per descrivere le loro uscite. Dopo un profondo excursus su alcuni stadi della loro colossale carriera, eravamo arrivati al tumultuoso e dissonante Mindset, al quale è seguito Open, il loro disco forse più visionario e meditativo (per non dire mistico, aggettivo che mancava dalla loro tavolozza) e poi il rovinoso Vertigo, con ogni probabilità il più scuro ed inquietante. Di una durata inedita (soltanto 44 minuti in luogo della solita oretta), propone una delle novità più rilevanti, ovvero l'utilizzo predominante da parte di Abrahams dell'organo e del Rhodes e visti gli overdub degli stessi, si tratta di una costruzione diversa dai loro standard. L'uso rarefatto dei piatti di Buck e quello in penombra del double-bass di Swanton rientra invece nei canoni di umiltà di questi due grandi uomini che sanno lavorare al servizio della suite, alchemici. Dietro la placida copertina che immortala cime di alberi su una distesa d'acqua, c'è il pezzo forse più astratto di una carriera che incredibilmente non conosce tregua di successo artistico. Che durino cent'anni.

martedì 14 febbraio 2017

Popol Vuh & Florian Fricke ‎– Kailash (2015)

Prezioso doppio ripescaggio, a testimonianza che a 15 anni dalla morte non si finisce mai per tributare uno dei veri grandi della musica teutonica, anche se la cittadinanza gli fu sempre stretta in senso artistico.
Il primo cd contiene incantevoli sonatine per solo piano, estatiche e contemplative, registrate fra il 1972 ed il 1989 ed in gran parte inedite. La classe e l'eleganza mistica di Fricke in perfetta solitudine non avrebbe potuto trovare miglior assortimento, dato anche che indeterminati pezzi sono stati recuperati dopo la scomparsa.
Così possiamo godere di probabili outtakes di Hosianna Mantra (Moses sembra davvero esser fatta di quella divina pasta), di contemplazioni leggere come piume ma anche di rarefazioni interrogative ai limiti dell'inquietante (Garden of Pytaghoras, degna ipotetica soundtrack di un thriller).
Messa a ruota di tale meraviglia, la colonna sonora realizzata per la scalata al Kailash in Tibet di un Fricke in versione alpinista insieme al Popol Vuh/Filmmaker Franck Fiedler, suona un po' ridimensionata. Eppure si tratta di purissima new-age di filigrana nobile, di quella che fa scomparire il 99,5% della produzione mondiale di tal categoria. Nel cofanetto è incluso anche il DVD col docufilm in questione.

domenica 12 febbraio 2017

Idaho ‎– The Broadcast Of Disease (2015)

Per lungo tempo ci avevo sperato, che Martin facesse luce sul decennio buio. Poi, dopo la delusione di You were a dick, il mio interesse per Idaho si è incorniciato alla voce "vecchie glorie che ho ascoltato a ripetizione, basta un ripescaggio ogni qualche anno". Quindi, l'uscita a ciel sereno di questa raccolta è stata un fulmine rivelatorio, non più sospirata ma un ripescaggio che fa giustizia e sostanza.
Il decennio buio va dal 1983, anno in cui Martin andò a Londra a cercare fortuna, al 1993, l'uscita di Year After Year. Interrogato su quanto realizzato in tutto questo tempo, lo stesso ha sempre nicchiato accennando a progetti abortiti e generici insuccessi. Per quale diavolo di motivo nessun discografico si sia preso la briga di pubblicarli, resta un mistero ancor più fitto vista la qualità generale di The Broadcast, una bazza di 19 pezzi che fa godere non poco gli Idaho-heads.
A partire dalla Paralyzed che già conoscevamo, si può udire una progressione ben precisa che segna la crescita di Martin, Berry ed il batterista Smith da un suono un po' arty-80, effervescente e variopinto, verso il sacro slow-core del debutto discografico. Burning my hands, 67 Down, Qurelle, Freeze, Untitled, Lumberjack, Hell's kitchen song, So far Apart sono gli highlights più splendenti che stabiliscono un trampolino rimasto troppo tempo oscurato. 
Il tutto poi tristemente accresciuto dalla notizia della morte di John Berry, avvenuta pochi mesi dopo l'uscita. RIP

venerdì 10 febbraio 2017

Clock DVA ‎– Thirst (1981)

Secondo album di quello che era ancora una band e non un'entità guidata da Adi Newton come successe dal 1983 in poi. Era la chiusura di un ciclo breve ma significativo e molto peculiare nella storia della new-wave inglese: un suono spigoloso, spesso guidato dal basso, mutuato dai coevi giganti del funk bianco (ma perchè no? Persino dai Van Der Graaf di The Quiet Zone!), ma già possessore di una spiccata sensibilità arty e con i fiati a scorrazzare e seminare panico. E con un paio di pezzi persino accattivanti per gli standard di quegli anni, come Blue Tone e 4 Hours.
C'è chi preferisce o dà più importanza ai DVA cibernetico/elettronici e chi invece privilegia la prima fase; difficile asserire con fondatezza, resta sempre una questione di gusti. Io non ho dubbi, ascoltando le tracce più coraggiose di Thirst trovo più longevi quelli più vecchi.

mercoledì 8 febbraio 2017

Slant Azymuth ‎– Slant Azymuth (2012)

Progetto per il momento limitato a questo eponimo fra Andy Votel (dj e produttore mancuniano di lungo corso) e i Demdike Stare (i Demdike Stare). C'è da dire che se non sapessi nulla, darei la paternità del disco a questi ultimi, ma non conosco la musica di Votel per cui mi limito a godere di queste 7 tracce di elettro-ambient un po' dubbato e piuttosto scuro, con sonorità vintagistiche q.b. per renderlo appetibile anche agli hauntologici.
Palma della scaletta alla suite Intervision in 3 parti, alternate fra altri pezzi. La 1 è una marcia solenne per stratificazioni di synth, la 2 una scansione dubstep con percussioni modificate in primo piano (come un Micky Hart androide), la 3 un breve delirio di audio-generatori come degli Orb in corto circuito.
Molto interessanti anche le altre tracce, fra collage storti ed escursioni trance a la '90s. Lo so, non è di sicuro il nuovo che avanza, ma è sempre un bel sentire.

lunedì 6 febbraio 2017

Matthew Robert Cooper ‎– Miniatures (2008)

Mister Eluvium in una parentesi a suo nome di documento, strategicamente piazzata nella pausa fra Copia e Similes. Numero inaugurale di una piccola label dell'Oregon e uscito originariamente solo su vinile, Miniatures sembra vivere della stessa ispirazione del primo, capolavoro orchestrale del 2007, seppur messo in scena in vesti più spoglie, come se fossero brillantissime out-takes prima degli arrangiamenti lussureggianti che furono ad esso riservati.
Rigorosamente numerate, le miniature di Cooper si susseguono, titolate solo per numero progressivo, come digressioni estatiche per organo, solipsismi dimessi di solo piano, polverose scie cosmiche per synth e fiati statici, rigorose e gelide folate di Eminent.
E' quella che si dice in gergo un'uscita preventivamente minore, ma con Cooper c'è sempre stato poco da fare: la classe non è quella alle sue spalle.

sabato 4 febbraio 2017

Zeitkratzer + Keiji Haino ‎– Live At Jahrhunderthalle Bochum (2014)

Questa è la strada giusta per KH, una volta superati i 60 anni, una volta disidratatasi quasi completamente la sua vena creativa: affidarsi ad altri nel compito esclusivo di supportare musicalmente le sue performances vocali. Se poi si tratta di materiali parecchio infiammabili, tanto meglio.
La collaborazione con i Zeitkratzer, ensemble tedesco d'avanguardia la cui espressione ho letto esser definita chamber-noise (!), conta 3 dischi in 8 anni e sembra una delle più incompromissorie della sua intera carriera, al punto che si potrebbe quasi definire la sua naturale propaggine (se vogliamo, anche colta).
Questo live, che ad un orecchio superficiale come il mio si direbbe improvvisato, vede KH intento a dipanare il suo intero spettro vocale coeso in un contesto a dir poco orrorifico, in cui i 10 elementi diretti dal band leader Reinhold Friedl passano da creazioni astratte (Ghosts, Roses) a serrate percussive ai limiti dell'industriale (Smashine, Wet Edge), con i fiati impazziti in grande evidenza. Questa è l'orchestra giusta per KH, ovvero quella che srotola al meglio le partiture dell'assurdo, la violenza psicotica e la follia allucinata più adatte al Nostro, ancor di più oggi, nella presunta età della pensione.

giovedì 2 febbraio 2017

Scream From The List 55 - Costin Miereanu ‎– Luna Cinese (1975)


Gran bella testa, quella del rumeno Miereanu: dopo diversi titoli in patria, andò a studiare da Stockhausen e Ligeti, per poi trovare pianta stabile in Francia dove è diventato professore di filosofia e scienze delle arti. Apparentemente la sua discografia è concentrata nella prima metà degli anni '80, ma come spesso capita nell'avanguardia, forse solo una parte delle sue composizioni sono finite su vinile, e Luna Cinese è censito come debutto su Discogs. Il titolo in lingua è dovuto probabilmente al fatto che Gianni Sassi lo volle pubblicare su Cramps nell'ambito della collana Nova Musicha, coraggiosissimo atto di amore verso le avanguardie più radicali, e come prevedibile rimasto appannaggio di ben pochi negli anni anche a venire.
Logico l'inserimento di Stapleton: Luna Cinese è composto da due flussi di elettroacustica oscurissimi, una dark-ambient ante litteram scandita da bordoni inquietanti, suoni concreti, un recitato spiritato femminile, fischi atonali di flauto, scampanellii, tremolii di organo, e chissà quanto altro. L'effetto è più che ipnotico, quanto basta per spingere il tastino repeat più volte. Autentico gioiello di astrattismo.