Delizioso folk-pop da cameretta per un autore che, in tutta sincerità, ho sempre bellamente ignorato fin dai primi anni zero. La colpa è (quasi) tutta da imputare alle recensioni pedanti di certe firme pesanti di Blow Up alle quali ormai non faccio neanche più caso, salvo nomi già conosciuti con cui ci si può trovare anche d'accordo; certi toni trionfalistici non fanno per uno come me, se poi si parla di indie-pop ed aree affini, l'allergia è quasi automatica.
Però ad uno così osannato, prima o poi, una chance bisogna concederla e Carrie & Lowell, sorta di concept dedicato alla madre defunta, è davvero un gran bel disco, di quelli monolitici che colpiscono il segno con la loro omogeneità e focalizzazione. Un disco low-tech, con pochi overdub ed i toni alti al minimo, che vive in una dimensione ovattata e sognante. Voce e chitarra oppure voce e tastiere, per un confessionale a cielo aperto diviso in 11 squisite vignette melodicamente disarmanti, su cui Stevens canta delicatissimo, con zero estensione e poca più emotività.
Su queste 11, almeno 4-5 sono di quella stoffa pregiata che solo i più dotati cantautori possiedono e si scolpiscono nell'immediato in testa. Ed allora tocca tornare indietro nella discografia, credo...
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