domenica 21 giugno 2020

Matt Christensen ‎– Coma Gears (2014)

Assimilata la sorpresa con Honeymoons e indagato superficialmente sugli Zelienople, la voglia di ascoltare altro di MC non è tardata. Nel voler approfondire il discorso, però, affiorano i seguenti problemi: 1) un sassofonista jazz omonimo, anch'egli statunitense, dal quale è facile discernere vista l'area di operatività distante anni luce, ma che crea comunque sovrapposizioni 2) la relativa oscurità in cui il chitarrista naviga, dal momento che si tratta sostanzialmente di un dilettante (per dire, neanche una su Pitchfork!) 3) finchè si prende Discogs come riferimento, le uscite non sono tantissime ma se si finisce sulla sua pagina Bandcamp, la lista dei titoli è infinita.
Vale così lo stesso discorso che faccio per Aidan Baker. Un titolo a caso che mi piace e vada come vada. Sorpresa, Coma Gears è un'altro bellissimo disco, e diverso da Honeymoons. Ormai l'ho inquadrato, MC: è uno di quei soggetti che ha il suo fortissimo stile personale, che cicla e magari ricicla all'infinito le stesse idee, ma ha il tocco magico di conferire un impronta che lascia il segno. Il suo songwriting spiritato, a passo di lumaca, scazzato e deciso al tempo stesso, è qualcosa che si ama o che si odia. Coma Gears è un disco che infonde una sorta di trance a tratti desertica, e quindi dai connotati americani decisi, ma che già tradisce la fascinazione per l'ambient-rock britannico delle leggende più citate in Honeymoons in vesti più ruvide (in un paio di pezzi, Worry e Blame The World sembrerebbe quasi dei demo inediti dei Loop di Heaven's End).
Niente ritmi, un deciso uso di tastiere atmosferiche a fare da tappeto e sostenere la sua Telecaster, sopraffina ed indiscussa protagonista nel dispensare le note giuste, in sequenze e numeri. E la conferma di avere in questo impiegato nei servizi sociali (nonchè avido bevitore di caffè) uno dei migliori non-inventori degli ultimi anni.

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