mercoledì 12 ottobre 2022

Lingua Ignota – All Bitches Die (2017)


Uscito a soli 6 mesi di distanza dal sensazionale esordio, All Bitches Die ne è stato l'ideale complemento nonchè la giusta prosecuzione. Anche in questo caso, difficile trovare le parole per descrivere quella che, più che musica, è una forma di auto-terapia generosamente donata al mondo. La Hayter avrebbe potuto insistere sul versante più urticante del suo stile, come lascia intuire l'incipit di Woe To All: clangori metallici, scansione harsh-synth e scorticamento belluino di ugola. Al quinto minuto però tutto si placa e la nostra eroina si siede al piano, compassata, e comincia a gorgheggiare estatica, dando la stura a ciò che preferisco della sua arte; il rapimento etereo, la vocalizzazione virtuosa ed emotivamente spericolata.

God gave me no name è la sonata gotica per organo e performance gospel nero-pece, un raggio di sole nel suo buio esistenziale. Sempre più rapita, intona la title-track su un filone similare (ma al piano) e genera 13 minuti da pelle d'oca, con un brevissimo intervento di larsen a fare da spartiacque fra due distinti, brillantissimi tronconi. For I Am the light ripristina l'atmosfera da messa horror, che finisce per deflagrare in un altro gospel sotterrato dal rumore bianco ad intermittenza. Chiude Holy is my name, evocativa fino alla massima rarefazione.

Probabilmente frutto della stessa miniera da cui ha estratto Let the evil....., All Bitches Die è stata la conferma perfetta di un talento mostruosamente fuori da ogni canone. Credo che la si possa amare o la si possa odiare, difficile riscontrare indifferenza. Divina.

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