Fra liquefazioni desertiche e ribellione cameristica, i D3 pervennero al loro punto più alto nel 2000 con questo 6-trax da incanto vero e proprio. Nonostante la povertà di mezzi che non prevede altro che i 3-elementi-3, Whatever giganteggia per lo stile che è sì ambizioso, ma privo di mediazioni accademiche di alcun appartenenza.
Ellis è il conduttore; c'è qualche sovraincisione del suo rigoglioso violino, ma sono dubs puramente funzionali. Ha avuto il grande merito di sapersi fare largo nell'ambiente indie-rock per lo sdoganamento definitivo di uno strumento ritenuto anacronistico, obsoleto, mentre questo eccellente esecutore ha dimostrato che nelle mani giuste può dare le stesse sensazioni, se non di più, degli strumenti canonici. Alle sue spalle il chitarrista Turner e il batterista White, meramente ritmici e discreti. Il sentore finisce per essere antico nel senso più nobile del termine, e le composizioni sono il non-plus-ultra della formula: la commovente Some summers they drop like flies apre procurando subito brividi sulla schiena. Barocchismi westernati si manifestano con I've really should have gone out tonight, prima che arrivi la fase melanconica in cui i D3 eccellono, sempre con grande savoir-faire e grezza eleganza. Allucinazioni desertiche con la suite I offered it up to the stars, in un crescendo inarrestabile, un po' la Heroin del post-rock strumentale. Tutte tematiche che vengono sviscerate in formule diverse anche nella seconda tripletta, con l'aggiunta di qualche spruzzo di jazz in Stellar, o perlomeno una concetto di materia jazz che si possa imparentare con la sopraffina essenza di bastardi che hanno i D3.
Ovviamente, dotati anche di gloria.
Ellis è il conduttore; c'è qualche sovraincisione del suo rigoglioso violino, ma sono dubs puramente funzionali. Ha avuto il grande merito di sapersi fare largo nell'ambiente indie-rock per lo sdoganamento definitivo di uno strumento ritenuto anacronistico, obsoleto, mentre questo eccellente esecutore ha dimostrato che nelle mani giuste può dare le stesse sensazioni, se non di più, degli strumenti canonici. Alle sue spalle il chitarrista Turner e il batterista White, meramente ritmici e discreti. Il sentore finisce per essere antico nel senso più nobile del termine, e le composizioni sono il non-plus-ultra della formula: la commovente Some summers they drop like flies apre procurando subito brividi sulla schiena. Barocchismi westernati si manifestano con I've really should have gone out tonight, prima che arrivi la fase melanconica in cui i D3 eccellono, sempre con grande savoir-faire e grezza eleganza. Allucinazioni desertiche con la suite I offered it up to the stars, in un crescendo inarrestabile, un po' la Heroin del post-rock strumentale. Tutte tematiche che vengono sviscerate in formule diverse anche nella seconda tripletta, con l'aggiunta di qualche spruzzo di jazz in Stellar, o perlomeno una concetto di materia jazz che si possa imparentare con la sopraffina essenza di bastardi che hanno i D3.
Ovviamente, dotati anche di gloria.
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