Australiano, English fa parte di quella corrente di artisti elettronico-ambientali dal piglio più fragoroso e scultoreo, per farla breve epigono di Ben Frost e Tim Hecker, i nomi di punta internazionali del filone, con i quali peraltro ha già collaborato.
Al contrario dei due, però, ha pubblicato una media di 3 dischi all'anno, pertanto risulta difficile dare un giudizio globale di quanto realizzato. Wilderness of mirrors si segnala per un omogeneità quasi impressionante, per il suono compatto ma costantemente increspato dalle ruvidezze, per certi climax che lo rendono quasi rabbioso e schiumante.
Non si tratta di un disco facile neanche per le orecchie abituate a questa materia; ha bisogno di più ascolti per essere assimilato e anche dopo essi non è semplice trovare una messa a fuoco. Non lo definisco un capolavoro perchè i due sopracitati hanno fatto di meglio, ma l'impatto è di quelli che non lasciano indifferenti.
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