Band inglese molto originale e dalla storia curiosa: due album ravvicinati nel decennio scorso e poi la migrazione del leader in Indonesia, ponendo la parola fine alla breve esistenza. La formula del quartetto vedeva di primo acchito lo spoken word del suddetto Quinn, per accento e cadenza molto molto simile a Mark E. Smith, ma dando un orecchio all'insieme era chiaro che si trattava solo di un dettaglio non dominante; il dispiegamento di sax e clarinetti e la sezione ritmica incessante e fluida, col basso in evidenza, rendono Isle of grain un flusso fresco e gradevole fra post-rock, dub bianchissimo e residuati jazzy dal basso profilo. Ed allora, sopra tutto questo contesto dai pezzi di durata contenuta, i discorsi cockney di Quinn diventano il valore aggiunto di un insieme che forse non può durare una vita, ma che lascia una bella testimonianza. Il gruppo si è riformato un paio d'anni fa ma ancora non ho ascoltato le nuove produzioni.
martedì 18 luglio 2017
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