Uno dei masterpieces del doom-metal anni '90, da parte di una delle punte della triade britannica completata da Paradise Lost ed Anathema. Significativo perchè, al terzo album, il cantante abbandonava del tutto i growls in favore di una modulazione sofferta e fatalista, la produzione era più pulita rispetto al precedente, le parti lente e titaniche sempre più predominanti, violini e tastiere impreziosivano le orchestrazioni in modo essenziale e melodico. Un disco monocromatico, ma così emotivo e straziante da abbattere anche le lungaggini (una decina di minuti in meno avrebbe giovato all'insieme). Black Voyage e The cry of mankind le tracce migliori.
martedì 27 novembre 2018
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Gran band!
RispondiEliminagran disco, anche se preferisco Like Gods of The Sun o The Dreadful Hours. Il latrato desolato/desolante di Stainthorpe è davvero unico.
non li ho mai considerati una Doom band.
Ok, ma perchè non li consideri doom? D'accordo che ne rappresentavano un evoluzione, però la matrice era quella....
RispondiEliminaIl mood è sicuramente assimilabile...
RispondiEliminaI riff a mio avviso sono altra cosa.
Col post-punk il doom e affini è il mio pane da sempre, vado molto a estro...
Ho osservato che la sposa moribonda la rispolvero quando sono in vena metallona.. Poi è soggettivo, un amico cui facevo sentire gli Shellac mi ha detto che gli ricordavano i Rage Against The Machine! Non amo catalogare per forza ma dico se sono in trip da Cathedral non ascolto i My Dying Bride.