Iniziava con un riffone metallico piuttosto fuorviante il secondo degli Areknames, al punto da far aggrottare le ciglia. Erano passati 3 anni dal delizioso debutto e la formazione era mutata, con l'ingresso di un nuovo chitarrista. Il soggettivo disorientamento per fortuna dura poco: tempo un minuto ed i pescaresi si tuffano nuovamente nel loro universo dark-prog con un lunghissimo e labirintico album (concepito come doppio, come ben precisato nelle note).
Un lavoro articolatissimo, registrato divinamente, con grandi pezzi come Deceit, Ignis Fatuus, Stray Thoughts, The Web Of Years in evidenza, ma sopratutto uno stile generale improntato all'equilibrio miracoloso di non tediare mai, di non specchiarsi mai sulla propria bravura, ma di creare scenari fantasiosi e stuzzicare la mente con un suono luccicante e orchestrato con grande bravura da Michele Epifani, sempre più bravo a smarcarsi dalle influenze PH/VDGG. Un capolavoro di neo-prog difficile da ignorare per gli intenditori, negli ultimi 20 anni.
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