Da quanto si è dato irrimediabilmente ad un gotico elettronico che sembra emergere dalla nebbia delle brughiere britanniche, Brian Pyle è un artista molto diverso da quello che emerse dalla multiforme scena weirdo orbitante alla Not Not Fun, ben più di un decennio fa. Il punto di svolta avvenne nel momento in cui il californiano lasciò l'etichetta che aiutò a lanciarlo per accasarsi alla tedesca Denovali, che dal 2013 gli ha rilasciato 6 album. Con Melt Into Nothing avevo già notato che la metamorfosi si era compiuta, e con buoni risultati. Blossoms in red, l'anno successivo, ha fatto persino meglio. Cinque pezzi tutti molto diversi: in apertura un drone leggermente tedioso di 8 minuti, poi parte un beat elettronico che introduce la muraglia di synth della title-track, di sicuro impatto ma forse un po' scolastico.
A partire da On The Sand, il terzo pezzo, si inizia a fare sul serio. Un giro di organo saturo, note isolate di chitarra, il filo di voce, la batteria a passo slow-core, l'incedere maestoso e melmoso, un gran pezzo. La voce di JMoon (l'italiana Jessica Einaudi) prende il proscenio nella successiva You by candlelight, un altra stasi altamente ipnotica a passo lentissimo, con le stratificazioni sottopelle di organo e chitarra a costruire una tensione spasmodica. In spiazzante chiusura, il minimalismo di pianoforte Nothing is perfect, che per il suo fascino avrebbe meritato sicuramente uno sviluppo ulteriore.
Ma la musica di Brian Pyle è così. Non importa la forma, forse conta più l'istinto, il momento, la creazione di uno stato d'animo con i pochi mezzi a disposizione. Non tutto funziona su Blossoms In Red, ma quando gira, gira molto bene.
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