giovedì 28 ottobre 2021

Jesu ‎– Terminus (2020)


Un benvoluto ritorno per Justin Broadrick aka Jesu, che in solitaria non pubblicava da ben 7 anni, nel frattempo c'era stato il ritorno di Godflesh, l'epifania collaborativa con Markone Kozelek, diciamo riuscita al 70/80% nel 2016 e poi conclusa in modo scarso nel 2017. Terminus ritorna grosso modo a quello che gli riesce meglio, ovvero a quello slow-doom-gaze che gli fece raggiungere vette molto alte una decina d'anni fa, rilasciando senza timori quell'influenza redhousepaintersiana che tanto mi emoziona e mi fa sentire ancora giovine.

Il punto di partenza per un margine di miglioramento è contenuto in 3 delle 8 tracce presenti in scaletta: la batteria umana di Ted Parsons, l'immarcescibile batterista decano e veterano di tante band storiche. A dirla tutta, sono 3 performances che probabilmente la maggioranza dei batteristi professionisti sarebbe stato in grado di fare, per la loro natura pacata e minimalista, ma gia di per sè sono un simbolo di ciò su cui dovrebbe e potrebbe insistere JB: l'ulteriore umanizzazione di un suono che, ripetendosi, rischia di rinchiudersi in una nicchia sempre più elusiva.

Due di questi pezzi, la title-track e Don't wake me up, sono i migliori del disco, insieme a Sleeping in. Escluse un paio di parentesi debolucce, Terminus è un altro rifugio confortevole per chi ama il lato più intimista e riflessivo di JB, con quel passo di tartaruga sotto il sole, con la corazza non scalfibile ed il cuore in mano.

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