Dopo il disco della tartaruga Hasegawa decise di fare un break lunghissimo per riflettere sul rischio che gli Aburadako si standardizzassero, ed infatti passarono ben 7 anni prima del disco del pesce (o del pescatore, a seconda dei punti di vista, l'immagine di copertina è un primo piano di entrambi).
Ed i cambiamenti erano più che tangibili: al posto del suono impeccabile e professionale del precedente, 1996 vedeva il mirabolante quartetto di Hasegawa alle prese con impronte ben più abrasive, in particolare quella possente e fuzzata del basso di Komachi. Per quanto riguarda le spericolate e maniacali architetture sonore, si era sempre di fronte ad uno scenario dell'assurdo e dell'impossibile, chè neanche l'abusata definizione math-rock può rendere lontanamente l'idea. Uno perchè l'urlo rantolante di Hasegawa restava sempre il delirio più assoluto, due perchè le sciabolate del chitarrista Izumi fuggivano qualsiasi stereotipo.
Anzi, a far quasi auto-ironia, c'era qualche frangente in cui si sfiorava un jazz-punk radioattivo (Oo mai goddo, probabilmente il picco del lotto, oppure le dissonanti Sakusou e Soui), oppure una mutazione genetica di blues-rock (Keitchitsu, davvero peculiare in quanto Hasegawa prova persino a modulare un canto, con esiti esilaranti). Quasi inutile aggiungere che la sezione ritmica fa scintille e faville.
Anche gli episodi meno incompromissori (Guriin pakin, Tappingu peesuto) si fanno apprezzare come lievi boccate d'ossigeno nella selva più intricata di queste fenomenali acrobazie.
Ripeto fino alla noia, un gruppo eccezionalmente unico.
Ed i cambiamenti erano più che tangibili: al posto del suono impeccabile e professionale del precedente, 1996 vedeva il mirabolante quartetto di Hasegawa alle prese con impronte ben più abrasive, in particolare quella possente e fuzzata del basso di Komachi. Per quanto riguarda le spericolate e maniacali architetture sonore, si era sempre di fronte ad uno scenario dell'assurdo e dell'impossibile, chè neanche l'abusata definizione math-rock può rendere lontanamente l'idea. Uno perchè l'urlo rantolante di Hasegawa restava sempre il delirio più assoluto, due perchè le sciabolate del chitarrista Izumi fuggivano qualsiasi stereotipo.
Anzi, a far quasi auto-ironia, c'era qualche frangente in cui si sfiorava un jazz-punk radioattivo (Oo mai goddo, probabilmente il picco del lotto, oppure le dissonanti Sakusou e Soui), oppure una mutazione genetica di blues-rock (Keitchitsu, davvero peculiare in quanto Hasegawa prova persino a modulare un canto, con esiti esilaranti). Quasi inutile aggiungere che la sezione ritmica fa scintille e faville.
Anche gli episodi meno incompromissori (Guriin pakin, Tappingu peesuto) si fanno apprezzare come lievi boccate d'ossigeno nella selva più intricata di queste fenomenali acrobazie.
Ripeto fino alla noia, un gruppo eccezionalmente unico.
Grandissimi!
RispondiEliminaNon so perchè ma mi ricordano tantissimo i Jesus Lizard, anche se hanno ben poco a che vedere questo grandissimo e, come dici tu, veramente unico gruppo.
A me non ricordano nessun'altro gruppo al mondo che abbia mai sentito!
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