mercoledì 16 novembre 2011

Oren Ambarchi - Grapes From The Estate (2004)

La prima volta che ascoltai Ambarchi, qualche anno fa (Insulation), lo trovai non proprio di mio gradimento. Magari non era il momento giusto, fattosta che mi sembrò un sound involuto che mi ricordava gli audio-test fatti in cuffia durante le visite mediche del lavoro, per misurare la capacità uditiva su diverse frequenze.
Questo Grapes, invece, lo apprezzo decisamente. L'australiano ha incontrato una discreta fama avanguardistica per la ricerca del suo suono, diretta ad una purezza astrattiva insistita fino al maniacale. Non potrei giurare che si tratta di un lavoro sulla scia del minimalismo storico, nè che si tratta di un semplice droning-sound. Io la definirei una musico-terapia volta all'ipnotismo più cullante, come nei 20 minuti di Stars aligned, web spuns, fatti di infiniti cerchi concentrici.
Diversamente non saprei spiegare le micro-punte a bassa frequenza nell'intelaiatura di Corkscrew e nella prima parte di Girl with the silver eyes, che da metà in poi si schiude ad una inaspettata serie di splendide pennellate chitarristiche di radice misteriosa.
Già. perchè Ambarchi si siede ed imposta la sua missione sulla 6 corde, ma nasce come nientemento che batterista jazz. E' ora quindi di rispolverare le spazzole e piatti leggerissimi per il capolavoro del disco, la suadente Remedios the beauty: seppur la ritmica si mantenga ad un soffio appena percettibile, la differenza col resto del disco è immane. Una lunga intro minimal di piano elettrico, l'imbastire di una linea pseudo-bassistica, il rintocco circolare di 3-note-3 di chitarra, gli sfrigolii subliminali, e l'effetto estatico è servito.
Ma non così immediato, eh, ci vuole qualche ascolto...e magari fra un po' di tempo riuscirò anche a rivalutare quel traumatico Insulation.

2 commenti:

  1. Chissà perchè la frase sui test audiometrici e i dischi di Ambarchi mi ricorda qualcosa... :)

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  2. Ehehe....te lo ricordi bene anche tu, vedo :-)

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