O'Malley-O'Sullivan. Che il nome del primo basti a garantire un minimo d'attenzione?
Di fatto Æthenor è uno di quei (non pochissimi, eh) progetti in cui viene da pensare che il primo non sia uno sperperatore del proprio talento, anzi. Il secondo invece è il tastierista dei Guapo, rivalutatore totale del vecchio Fender Rhodes che qui viene impiantato su un substrato che definire ambient è un po' riduttivo, tale è il fascino morboso che questi 4 movimenti sprigionano.
Completa l'organico un altro tastierista, De Roguin.
Di fatto Æthenor è uno di quei (non pochissimi, eh) progetti in cui viene da pensare che il primo non sia uno sperperatore del proprio talento, anzi. Il secondo invece è il tastierista dei Guapo, rivalutatore totale del vecchio Fender Rhodes che qui viene impiantato su un substrato che definire ambient è un po' riduttivo, tale è il fascino morboso che questi 4 movimenti sprigionano.
Completa l'organico un altro tastierista, De Roguin.
I è la loro versione della dark-ambient, con un ciclico risuonare di gemiti, rimpasti di suoni deformi, cunicoli cechi.
II è un sordo droning di astrattismo semi-industriale che fiorisce in una luminosa tavolozza di organo.
III stabilisce il vero parallelo coi Guapo in virata illbient: la litania di Fender inquietante e tintinnante, che gira su sè stessa estenuata fino all'ipnosi.
IV prende una piega psichedelico-esoterica non male, poi si espande in un pallone aerostatico krauto, e finisce con un beffardo carillon che sembra voler comunicare era tutto uno scherzo.
Tutto il disco è pervaso da field recordings di ogni tipo, di bleeps, frequenze basse, sfrigolii disturbanti. Si diceva che O'Malley suona la chitarra? E dove sta 'sta chitarra?
Deep in the ocean lascia con un senso di disorientamento, di thrilling in sospeso, di colpi non inferti. E' proprio qui sta il suo grande fascino, unitamente alle trovate sonore ricche di soluzioni sempre spiazzanti.
III stabilisce il vero parallelo coi Guapo in virata illbient: la litania di Fender inquietante e tintinnante, che gira su sè stessa estenuata fino all'ipnosi.
IV prende una piega psichedelico-esoterica non male, poi si espande in un pallone aerostatico krauto, e finisce con un beffardo carillon che sembra voler comunicare era tutto uno scherzo.
Tutto il disco è pervaso da field recordings di ogni tipo, di bleeps, frequenze basse, sfrigolii disturbanti. Si diceva che O'Malley suona la chitarra? E dove sta 'sta chitarra?
Deep in the ocean lascia con un senso di disorientamento, di thrilling in sospeso, di colpi non inferti. E' proprio qui sta il suo grande fascino, unitamente alle trovate sonore ricche di soluzioni sempre spiazzanti.
Nessun commento:
Posta un commento