domenica 30 giugno 2013

Jim O'Rourke - The Visitor (2009)

Suite stracolma di citazionismo vintagistico per un O'Rourke che si auto-smaschera, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno: niente di nuovo in quel di Tokyo, ma è fatto così elegantemente che non riesco a non subirne il fascino.
Così, a The visitor si concede volentieri 40 minuti di, più o meno nell'ordine: fingerpicking, country, progressive canterburyano, post-rock, jazz languido, e quant'altro stia nei paraggi di essi. Maggior difetto di quest'operetta è una dispersività assurda, e vien da pensare che concentrandosi su una metà dei passaggi migliori l'output sarebbe stato quasi incantevole. Ma secondo me O'Rourke non è mai stato personaggio accondiscendente nè scontato, nonostante una delle critiche peggiori che si leggono nei suoi confronti  sia che lo si taccia di derivativismo e scarsa creatività.
Si potrebbe discutere su di questo, ma io preferisco godermi The visitor in tutto il suo dispiego di eleganza.

giovedì 27 giugno 2013

Onna-Kodomo ‎- Syuuka (1997)

Edito dalla benemerita Charnel Music di San Francisco, che negli anni '90 ha rilasciato diversi capitoli importanti di art-avant-post-noise (un nome per tutti, i Gravitar), Syuuka ne è una chiara eccezione e metteva in gran mostra questo peculiarissimo progetto nipponico composto da una soave vocalist in gorgheggio costante, un violino che fa il possibile per non sembrarlo ed infatti finisce per diventare strumento di droning ed un basso che crea figure allungate, per non dire deformi, rintocchi funerei e profondissimi.
Ciò che ne esce è una versione purgatoriale dei Popol Vuh più mistici. Un trio visionario al contrario: anzichè aprire la mente e cercare lo zen, si chiude in sè stesso e rimescola, rattrappisce i suoi mantra anemici con fare circospetto.
Si tratta di un disco di difficile assimilabilità, che spesso vira verso una psichedelia nera pece, scandito da questa sirena in estasi perenne che rapisce, che qualcuno potrà anche trovare snervante: io ci sento dentro tante belle cose del passato con una personalità notevolissima; d'altra parte i giapponesi ci hanno sorpreso tante volte.

mercoledì 26 giugno 2013

Oneohtrix Point Never - Replica (2011)

Elettronica vintage e library anni '80: sono queste le materie prime di Lopatin, che con notevole abilità campiona, manipola, distorce e crea questa formula originalissima, ma che fa riflettere: possibile che in questi anni per creare qualcosa di non già sentito occorra sempre rivolgersi al passato e saccheggiarlo?
Lasciamo stare interrogativi senza tanto senso: l'ascolto di Replica è una goduria immediata e senza riserve. Da qualcosa che più fuori tempo massimo (elettronica vintage) e trash di così (library anni '80, e s'intende anche sonorizzazione per videogiochi) non si potrebbe (aggiungo in extremis la new age), Lopatin tira fuori qualcosa di magnetico, affascinante, che non può non solleticare le memorie di chi come me era bambino negli anni '80. La componente melodica lo rende orecchiabile e quella freak fa drizzare le orecchie: la durata breve fa terminare il disco che se ne vorrebbe ancora, magari come il meglio di ciò che esprime (Replica, Explain, Power of persuasion).

martedì 25 giugno 2013

Tara Jane O'Neil - Peregrine (2000)

Finita la fondante esperienze con i Rodan e quella meno significativa con Sonora Pine, la O'Neil si mise in proprio con questa delicata raccolta di ballads acustiche, raccolte e sofisticate.
Il dna è riconoscibile fra milioni, quel louisvillanesimo che trasuda da tutti i pori e da tutte le note, qualsiasi versante si prenda: un songwriting in chiaroscuro, che mette a proprio agio ma che lascia sempre un alone di mistero dietro di sè. Nel pezzo migliore, 1st street, le discrete spazzolate di batteria sono quanto di più movimentato nell'arco del disco, a sostenere splendidi arpeggi chitarristici che girano su sè stessi.
La voce, discreta e mai oltre il range di puro confidenziale, è perfettamente aderente. Le tessiture chitarristiche, ricercatissime. Impossibile porre la questione che nel complesso il disco sia un po' sonnacchioso; si sente che dietro queste fragili (e perchè no, sottilmente intellettuali) ballate c'è un cuore, magari un po' complicato ma grande.

lunedì 24 giugno 2013

Oneida - Absolute II (2011)

E' da 3-4 anni che gli Oneida hanno sensibilmente cambiato approccio; si sono ripiegati in una specie di elettronica sulfurea, isolazionista, probabilmente priva di sbocchi artistici rilevanti.
Praticamente irriconiscibili rispetto agli Oneida che estraevano giochi di prestigio con stupore una decina d'anni fa, che rappresentavano una risposta deviata plausibile ai primi Trans Am, che rivaleggiavano con gli amici Liars in termini di audacia. Absolute II lo diresti farina del sacco di un solista ombroso e paranoico, magari scandinavo, rinchiuso in una baita innevata. Soltanto i primi 10 minuti di Pre-human possono (alla lontana) sembrare un provino rallentato delle antiche gigionerie, anche se le modulazioni di synth e rhodes farebbero pensare ad un ingombrante riflusso tedesco.
Nei restanti 30 invece, il buio più assoluto. Thriller androide (Horizon), orrore puro (Gray area), quasi silenzio (Absolute II) e il pacchetto in sè non è tanto esaltante, in mezzo alla moltitudine di offerte simili che ci raggiungono. Superato lo stupore che questi sono gli Oneida, non resta un granchè di significativo.

sabato 22 giugno 2013

Omit - Tracer (2005)


Elettronica lunare, emissioni androidi dalla Nuova Zelanda da parte di Clinton Williams, un uomo isolato che per 15 anni ha prodotto cataste e cataste di musica e soltanto ultimamente ha rallentato il ritmo (anzi, il suo ultimo ha ormai 5 anni di vita pubblica e quindi vien da chiedersi cosa gli sia successo).
Tracer è un doppio cd, ed oltrepassa di poco le 2 ore di durata. Sarebbe facile pensare ad un orchìte devastante, invece Williams è sorprendentemente bravo a mantenere desta l'attenzione con una miriade di idee, di effetti e trovate. Quindi, un vero e proprio compositore elettronico che crea scenari in maggior parte glaciali e desolati, ampi come l'illustrazione di copertina, ma con un fondale musicale che è impossibile ignorare.
Sorprende ancor di più il verificare che la scaletta consta di 24 tracce, di cui soltanto 5 oltrepassano i  6 minuti (includendo la migliore secondo me, Link-op), quindi nessun sbrodolamento, nessun dilungarsi inutilmente, nessun colpo a vuoto: ambient scabra, cosmicità ereditata dai tedesci, isolazionismo, dark, allucinazioni industriali, residuati primi '80, davvero un pregiato campionario che riempie 2 ore  digitalmente intense.

mercoledì 19 giugno 2013

Om - Live At Jerusalem (2007)

Estratto dal mitologico concerto di oltre 4 ore (!) che Cisneros e Haklus tennero in un locale di Gerusalemme chiamato Uganda Club nel dicembre 2007, pubblicato esclusivamente su vinile dalla Southern Lord. 
Di fatto il passo d'addio del batterista dal ride più squillante del pianeta, che già il mese successivo si chiamò fuori dall'avventura.
Due gli estratti: Flight of the eagle, notevolmente rallentata rispetto all'originale su Conference, e l'allora recente Bhima's theme, che resta uno dei migliori esempi della prima fase di Om.
Vista anche la non eccelsa fedeltà sonora, un prodotto per collezionisti e stretti amanti della band; questo è innegabile, ma non mi esento dall'esclamare un'altra volta metal-mantra forever.

martedì 18 giugno 2013

Old - Formula (1995)

Alle origini, Plotkin e Dubin erano in questo progetto che prima sperimentava con gli stereotipi del death-metal, ma poi progressivamente si spostò sempre più fuori da quei confini fino ad uscirne completamente con questo Formula, ultimo disco prima dello scioglimento.
Erano un'anomalia in casa Earache, specialmente in quel primo lustro dei '90 in cui il grind-death conobbe la sua epoca di gloria commerciale. In un altro periodo probabilmente non gli avrebbero fatto neanche il contratto, ma lo spessore artistico era già prominente. Resta il fatto che Formula è stato il disco meno venduto di sempre della scuderia.
Siamo in una terra di nessuno: alcuni pezzi sembrano residuati di new-wave atmosferica dai toni epici, anche se il tratteggio va a parare spesso su aree quasi industriali. Le chitarre di Plotkin sono acide ed ossessive, la voce di Dubin è relegata in un angolo angusto e quasi sempre elaborata al vocoder. Avevano perso la sezione ritmica e si arrangiavano con una batteria elettronica, forse l'unico vero punto debole dell'impianto. Ma nel complesso le idee erano originali.

lunedì 17 giugno 2013

Oceansize - Effloresce (2003)

Soltanto andando a ritroso nel percorso musicale di Ingram sono venuto a conoscenza del fatto che suonava negli Oceansize, che peraltro hanno avuto una durata abbastanza lunga, circa una decina d'anni. E sono ancora più sorpreso di non averli neanche sentiti nominare, nonostante il loro potenziale commerciale piuttosto vasto nell'ambito (una volta si diceva) alternativo.
In questo debutto, i manchesteriani entravano con fragore ed influenze chiarissime fin dal primo ascolto: i Cave In di Jupiter in primis, i Porcupine Tree più hard, i Soundgarden, con un tris di chitarre granitiche, ritmica tornitruante ed emotività a valanghe. Nel mezzo, ci sono addirittura un paio di placidi strumentali mutuati dai Mogwai....
Soltanto che, a causa del songwriting irregolare e di svariati scarti ritmici imprevedibili, sono stati infilati nella categoria progressive. Senza stare a dissentire, la mia è che qui gli Oceansize erano semplicemente indecisi e frenetici, con la pericolosa tendenza a disperdere un po' il loro talento (il disco è eccessivamente lungo): Efflorescence è  appassionato e avvincente, ma i momenti più belli vengono sepolti inesorabilmente....

giovedì 13 giugno 2013

Nurse With Wound - Salt Marie Celeste (2003)

Secondo alcuni Stapleton è stato uno dei più grandi truffatori della storia della musica, additato di riuscire a perpetrare la sua visione grottesca della sperimentazione da più di 30 anni conservando un rispetto generale da parte degli addetti ai lavori e musicisti di rilievo (Faust, Larsen, Sunn O))) sono solo i primi che mi vengono in mente come collaboratori).
Un lavoro come Salt Marie Celeste sarà senz'altro citato da tali detrattori come uno degli emblemi di questa grande truffa: trattasi di un ora di dark-ambient cosmica scandita da due-note-due di ondata synth-sinfonica, i cui unici contorni sono tre principali rumori: una fredda sirena, una porta che cigola e un ronzio in flanger che direi essere il moto di una bicicletta. Un'ora di una ripetitività diabolica, oserei dire basinskiana.
Il messaggio non è molto chiaro ma Stapleton ha addirittura eseguito dei live di questa suite, a dimostrazione del fatto che ci ha creduto. E ho letto in giro che Salt Marie Celeste è indicato da molti il suo ultimo lavoro rimarchevole. Senza girarci tanto attorno, secondo me l'ascolto è extra-gravitazionale ed anche se manca la sua classica ironia, è imponente e travalica persino gli angusti confini della dark-ambient.


mercoledì 12 giugno 2013

Nurse With Wound - Rock 'n Roll Station (1994)

Il disco hip-trance di Stapleton, con tutte le particolarità e le anomalie della situazione; ritmi secchi e caracollanti, emissioni androidi, sussurri anemici, samples di innumerevoli fogge ed origini.
La traccia-manifesto è senz'altro Two golden microphones, folgorante escursione sintetica con retroterra tribale che si prolunga per 17, intensissimi minuti e provoca stato di trance profondissima (degnissima al tempo di entrare in una selezione Mental Hour, una di quelle che magari mi persi).
I riferimenti al titolo del disco finiscono ai samples di chitarra elettrica che pervadono R+B through Collis Brone: altri due picchi sono The self sufficient sexual shoe, sensuale e spettrale come da titolo, e la conclusiva Finsbury Park che si fa pulviscolo di quanto udito fino ad allora su una pseudo-ambient-cosmica da manuale subliminale.

martedì 11 giugno 2013

Nurse With Wound - Sylvie and Babs (1985)

Folle arrembaggio di cut-ups, che fin dalla copertina tradisce l'elevato senso ironico (che non mi sembrerebbe di quello classicamente british) di Stapleton unita al solito gusto per l'assurdo.
Due tracce di 20 minuti, che viaggiano su due binari paralleli: i copia ed incolla sequenziali e gli effetti disturbanti di Stapleton: all'ascolto i primi hanno la maggioranza del volume (You Walrus campiona in gran parte big-bands che rimandano all'epoca della cover, spassosissima musica circense e colonne sonore immagino televisive), ma i secondi pian piano finiscono per avere il sopravvento, e sono di nuovo geniali. Si passa così da atmosfere spensierate ai nonsense, talvolta anche abbastanza inquietanti, come si fa una risatina.
Great balls of fur invece riprende arie più squisitamente fine '60/inizio '70, con chitarre distorte, alla Amon Duul fino alla disgregazione progressiva, ad una deriva sonora per certi versi sorprendente (intorno a metà c'è una specie di techno-trance ante-litteram). 
Essenziale.

lunedì 10 giugno 2013

Nurse With Wound - Merzbild Schwet (1980)

   
Terzo album, primo in perfetta solitudine per Stapleton. Per cui addio alle gloriose e scalcinate avventure nell'ignoto naif dei primi due leggendari episodi di NWW e lancio in grande stile della sperimentazione che caratterizzerà un grande decennio.
Due suite di 24 minuti: Dada X e Futurismo. Basterebbero i titoli per dare un idea del folle contenuto, ma la concettualità era soltanto una base di partenza per questi due collages dell'assurdo. Dada X parte con un pattern ritmico rallentatissimo (una buona dose di bpm in più e sarebbe un'anticipo di trip-hop), tromboni in libertà, voci femminili atonali come sirene in bad trip, ritagli di mellotron sullo sfondo, fino al minuto 15 in cui avviene la degenerazione elettronica con fischi e oscillatori a manetta. Al minuto 21 entra in scena un pianoforte da cabaret d'igiene mentale, in vero stile dadaista, che chiude il discorso.
E' ancora un pianoforte ad introdurre Futurismo, questa volta però manipolato ed allungato mentre nello sfondo buio si stagliano richiami fiatistici (un clarinetto, direi) inquietanti, che a metà inoltrata si trasformano in un drone sgocciolato. Tornano le voci femminili, questa volta marziali e stentoree, che ci portano verso il termine col fantasma di un'accordion scarnificato, mentre tutt'intorno le percussioni timbrano riverberate a puntellare. Tutta un'altra pasta rispetto al lato opposto; in virtù anche di questa diversificazione, Merzbild Schwet è senza dubbio uno dei dischi più geniali di Stapleton.

domenica 9 giugno 2013

No-Neck Blues Band - Sticks And Stones May Break My Bones (2001)

Collettivo newyorkese dedito ad un free-form-jazz-etnico-psychedelico che più selvaggio non si può. Un senso generale di colto cazzeggio permea questo lunghissima collezione di improvvisazioni, e seppur sia ricchissimo di soluzioni strumentistiche appare alquanto arduo mantenere desta l'attenzione.
Non sempre è un difetto, però: un po' Red Krayola di Parable of the arable land, un po' primi Jackie-O Motherfucker, molto Embryo (con cui infatti hanno diviso uno split), la NNBB da anni non bada a spese e mette a segno calderoni fumiganti di freak-orchestrazioni che immagino essere molto avvincenti dal vivo.
Su disco, beh, ottimo sottofondo per trascendere indietro di molti anni e respirare un aria genuinamente vintagistica planata sul frenetico oggi, senza però far caso all'inevitabile mancanza di ogni filo logico.

giovedì 6 giugno 2013

Nocturnal Emissions - Spiritflesh (1988)

Equiparabile come contemporaneità e percorso a Steve Stapleton (nonchè ad un'incontinenza discografica incontrollabile), Nigel Ayers è uno sperimentatore inglese che da oltre 30 anni incide sotto la sigla NE. Partendo da caustiche basi industriali come altri conterranei contemporanei, col passare del tempo ha virato in favore di sonorità ambientali, esoteriche e di bizzarrie assortite (fra le quali spicca un disco realizzato soltanto con voci di infanti), nonchè di un elettronica abbastanza ritmata a metà anni '90.
Non ha raggiunto la relativa popolarità di NWW e certuni cambi di orientamento farebbero pensare quasi ad un astuto osservatore dei movimenti altrui, in realtà alcuni suoi dischi sono di ottimo spessore ed in particolare questo Spiritflesh è un bel saggio di drone-ambient ritualistica, immerso nella natura come il cucuzzolo immortalato in copertina.
Il panorama è mistico e meditativo, con tappeti di synth fra il celestiale e l'inquieto, condito da concretismi animali e percussionismi atti a movimentare la quiete naturistica di fondo (c'è anche una danza della pioggia). Suoni antichissimi mixati ad un elettronica analogica; una ricetta che non era nuovissima già allora ma poteva regalare ottime, agresti sensazioni.

mercoledì 5 giugno 2013

No Age - Everything In Between (2010)

E' un disco contraddittorio, il seguito dell'esaltante Nouns. Il duo losangeleno sembra avere ancora il comando del saper scrivere pezzi appiccicaticci e divertenti, ma un'accurata produzione finisce per avere il sopravvento sul senso di completezza che convinceva nel predecessore.
Una normalizzazione che fa pendere la bilancia sul versante indie-rock robusto (diciamo Dinosaur Jr. zona Bug o Green mind) a discapito della componente grunge-punk, ma non è questo il problema quando nel mazzo ci sono gioiellini irresistibili come Valley hump crush, Depletion, Shed and transcend, che da soli valgono l'ascolto. Diciamo quindi che c'è qualche debolezza sparsa che inficia sul livello generale e anche le usuali pause di ambient-gaze, qui concentrate nella seconda metà e neanche tanto memorabili, rendono inferiore il disco. Sarebbe stata dura bissare l'efficacia di Nouns, per cui non li voglio ancora dare per persi. Alla prossima.

martedì 4 giugno 2013

Nico - The end (1974)

Tributo metaforico a Jim Morrison, The end segnava un passo di scarto notevole rispetto a Desert shore: l'importanza è rivolta più agli arrangiamenti tenebrosi e quasi cruenti di Cale piuttosto che alle composizioni della chanteuse, chiuse in sè stesse ed involute più che mai.
Se il precedente era un cantico alla desolazione di altissimo lirismo, questo fu un trattato di psicologia della depressione. Non c'è un pezzo in particolare che si faccia ricordare, a parte la densa You forgot to answer; il dolore per la perdita dell'amato Jimbo si taglia a fette e sembrava offuscare la grande dote di Nico nel saper creare atmosfere tangibili. Cale ispessiva con il suo arsenale, a mascherare la relativa limitatezza del materiale. Non bastava una stravolta versione di The end a risollevare le sorti di un disco troppo sofferto  ed emotivo; fu una caduta da cui la tedesca non si rialzò più.

lunedì 3 giugno 2013

Joanna Newsom - Have One On Me (2010)

Si sono spesi fiumi e laghi di parole per lo stralunato prog-folk di Ys, e un po' meno per lo struggimento liristico di Have one on me. Peccato, perchè la magia di questo che al momento resta l'ultimo dell'arpista californiana secondo me è quasi impareggiabile.
Ma come si fa a confezionare due ore di vere e proprie mini-sinfonie senza stancare neanche un-secondo-uno, in questi nostri anni in cui è sempre più difficile non dico fare musica, ma regalare emozioni così vibranti?  Non ha senso neanche citare tanti pezzi piuttosto che altri (tutt'al più direi i primi due, ma più che altro per la sorpresa che mi istillarono al primo ascolto, e Baby birch), tant'è la meraviglia messa in campo dalla Newsom con un impianto così scarno: l'arpa, un po' di violino, qualche schitarrata acustica sparsa, un paio di pezzi al piano, e quella voce che a tanti sembrerà irritante.
Dichiarò di esser stata influenzata dal Roy Harper di Stormcock, ed in effetti pare essere l'unico paragone plausibile per questa lunghissima sequenza di dolci struggimenti, in cui non si può far altro che immergersi con corpo e mente.

domenica 2 giugno 2013

Colin Newman - Provisionally Entitled The Singing Fish (1981)

Giusto per smentirsi un po', dopo il debutto killer A-Z Newman svoltò schizofrenicamente con questo pesce-cantante. Anche se poi fu una parentesi, chè l'anno dopo tornò alla forma canzone con Not to, a testimonianza di un talento inquieto ed incapace di seguire una linea, un percorso preciso.
Disorienta e lascia interdetti, Newman; 12 pezzi intitolati numericamente, strabordanti di creatività deviante, di una vulcanità inarrestabile. Ci sono almeno 5-6 papabili filoni, una gragnuola di spunti che così assemblati al primo ascolto lasciano l'ascoltatore in preda ad un interrogativo: ma dove voleva andare a parare?
A tratti Newman sembra non volersi prendere per nulla sul serio, sembra scherzare con una specie di auto-cabaret: ma subito dopo entra a gamba tesa con una traccia serissima, a smentire radicalmente.
Si potrebbe quasi incasellare come un disco di library implicita, o una fantomatica colonna sonora per thriller.  Superato lo scoglio del primo approccio, Singing fish si manifesta come genialata arty che a 30 anni di distanza rivela ancora qualcosa di importante fra le sue pieghe nascoste.

sabato 1 giugno 2013

New Wet Kojak - New Wet Kojak (1995)

Per chi come me amava alla follia i GVSB nel 1995, questo debutto dei NWK fu sconvolgente. McCloud e Temple inscenarono quello che era il progetto parallelo perfetto: molto diverso dal gruppo madre anche se figlio delle stesse alienazioni metropolitane, altrettanto ispirato (se non di più) e sensibilmente originale. Non mi sarei stupito pertanto se avesse preso il sopravvento: così non successe, ma appartiene ad un'altra storia.
Fin dall'attacco di Stick out your tongue è uno show di suoni svaccati, indolenti e sornioni: sax che starnazza, basso penetrante in primo piano, cicaleccio pigro di chitarrina, mormorio vocale sconnesso. Un risveglio lento che preclude al capolavoro di Sexy postcard, di ben altro passo ritmico; le influenze wave sono asservite al meglio per un risultato a dir poco trascinante.
Memorabili almeno altri 3 pezzi: le sguaiate Freak now e Unbuckled, mix perfetti di malcelata indolenza, la sorprendente Me acuerdo de ti, spagnoleggiante fino al midollo con tanto di inciso femminile (tutt'altro che impeccabile, come di rigore in tema). Altrove, le moviole ultra-fumose di You got some dog e Shake you down sembrano voler incupire ancor di più l'atmosfera, mentre Thought you was e Tito tito gigioneggiano sardonicamente.
Se i GVSB comunicavano un senso di tensione dinamica fuori dal comune, i NWK mostravano il lato più debosciato della grande mela in un substrato surreale, ancor più sui generis. Discone, impareggiabile dai successivi.