Edito dalla benemerita Charnel Music di San Francisco, che negli anni '90 ha rilasciato diversi capitoli importanti di art-avant-post-noise (un nome per tutti, i Gravitar), Syuuka ne è una chiara eccezione e metteva in gran mostra questo peculiarissimo progetto nipponico composto da una soave vocalist in gorgheggio costante, un violino che fa il possibile per non sembrarlo ed infatti finisce per diventare strumento di droning ed un basso che crea figure allungate, per non dire deformi, rintocchi funerei e profondissimi.
Ciò che ne esce è una versione purgatoriale dei Popol Vuh più mistici. Un trio visionario al contrario: anzichè aprire la mente e cercare lo zen, si chiude in sè stesso e rimescola, rattrappisce i suoi mantra anemici con fare circospetto.
Si tratta di un disco di difficile assimilabilità, che spesso vira verso una psichedelia nera pece, scandito da questa sirena in estasi perenne che rapisce, che qualcuno potrà anche trovare snervante: io ci sento dentro tante belle cose del passato con una personalità notevolissima; d'altra parte i giapponesi ci hanno sorpreso tante volte.
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