Suite stracolma di citazionismo vintagistico per un O'Rourke che si auto-smaschera, nel caso in cui ce ne fosse stato bisogno: niente di nuovo in quel di Tokyo, ma è fatto così elegantemente che non riesco a non subirne il fascino.
Così, a The visitor si concede volentieri 40 minuti di, più o meno nell'ordine: fingerpicking, country, progressive canterburyano, post-rock, jazz languido, e quant'altro stia nei paraggi di essi. Maggior difetto di quest'operetta è una dispersività assurda, e vien da pensare che concentrandosi su una metà dei passaggi migliori l'output sarebbe stato quasi incantevole. Ma secondo me O'Rourke non è mai stato personaggio accondiscendente nè scontato, nonostante una delle critiche peggiori che si leggono nei suoi confronti sia che lo si taccia di derivativismo e scarsa creatività.
Si potrebbe discutere su di questo, ma io preferisco godermi The visitor in tutto il suo dispiego di eleganza.
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