Dopo i fasti degli anni '80 e '90, la carriera di Grubbs sembra aver imboccato il vicolo semi-cieco della vecchiaia, con la stampa che diventa progressivamente più fredda nei suoi confronti. Vero è che non ci sono sviluppi notabili nel suo stile, e persino lo stesso Grubbs sembra rendersene conto dato che negli ultimi 10 anni le collaborazioni con terzi straboccano, ma vogliamo discutere sulla portata e sulle capacità del personaggio?
An optimist notes the dusk è soltanto un'altra prova convincente della sua formula, apparentemente così semplice ma sempre profonda nella sua asciuttezza. Le stabili e stentoree tessiture della chitarra semi-acustica, la sua voce flebile ed incerta, atmosfere asettiche e prive di riverbero come una sala operatoria; nessun trucco e nessun inganno di produzione, questa la sua costante. Un filo di tromba, un pezzo con batteria (la trascinante Holy Fool Music), un esperimento silente alla Oren Ambarchi (The not-so-distant, 12 minuti di meditazione inquietante) sono le varianti alle sue digressioni post-folk un po' malinconiche e distaccate che continuo ad apprezzare, con poche riserve e grande rispetto.
Nessun commento:
Posta un commento