Poteva passare alla storia come uno di quegli spostati outsiders reduci dalla seconda metà dei sixties approdati ad un disco solista destinato ad essere ricordato, come Peter Green, Skip Spence, Bruce Palmer ed altri. E così sarebbe stato se John Adler non si fosse rifatto vivo dopo una ventina d'anni, seppur sempre nell'ambito di operazioni nostalgiche. Poco male, perchè Think Pink resta comunque un piccolo gioiello di psichedelia britannica variopinta e neanche troppo eccentrica. Dietro la bella copertina che immortalava il batterista / songwriter nel mezzo di un bosco autunnale si celavano dieci pezzi quasi tutti di diversa fattura, dall'esperimento spettrale (The coming of the one, i Godz in elettronica), la ballad elettrificata solenne e malinconica (Ten thousand words, Tiptoe on the highest hill, Suicide), lo strumentale lisergico (la superba Fluid), sarabande tribali deliranti (Mexican Grass War, Three Little Piggies), il mid tempo hard-rock demenziale (The sparrow is a sign). Alla fine è molto più il disco di un gruppo piuttosto che di un solista, vista anche la presenza quasi al completo dei Pink Fairies + altri ospiti di rilievo per l'epoca. A metà fra il viscerale e lo svanito, Think Pink resta il gagliardo reperto di un epoca magica.
sabato 19 agosto 2017
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