Ricordo un'intervista a traino di To Everybody, (in verità accolto con relativa freddezza come tutti e 3 dischi dei 90DM) in cui lo straordinario drummer Cayce Key riassumeva in una frase il senso dell'evidente mutazione del gruppo, e faceva più o meno così: sul primo disco sono stato narciso, volevo dimostrare la mia bravura a tutti i costi; adesso l'amalgama viene prima di tutto, ed è importante che tutti gli strumenti siano sullo stesso piano. Non è che su To everybody le sue grandi doti vennero meno, ma la metamorfosi fu traumatica rispetto ad un debutto che era già stato sensazione immediata: l'avanzata gerarchica di Lansangan, che costellava costantemente col suo piano elegante, contribuì alla materializzazione di uno splendido post-prog, modernissimo e luminoso, che mediava fisicità e cerebralismi, tecnicismi ed atmosfere crepuscolari con una maestria da instant classic. 6 pezzi per 38 minuti, neanche un secondo sprecato o inferiore; dovendo proprio citare i momenti migliori, andrei per il lungo mantra di Saint Theresa in ecstasy, divino esercizio di minimalismo che Mark Hollis avrebbe volentieri fatto suo, il minuetto con allucinazioni allegate We Blame Chicago, l'accorata e barocchissima Alligator ed il finale di A national car crash, che recupera parzialmente la foga del debutto, ma posseduto dalla nuova vena emotiva che lo rende oro colato.
A 17 anni di distanza, il valore netto cresce, alla faccia di tutti quelli che li hanno ignorati.
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