Di fatto fu un nuovo debutto, dopo i due primi, interessanti ma ancora sostanzialmente acerbi, un po' retrogradi e non indicativi delle prodezze di cui sarebbero stati in grado, sia qui che col successivo Gentlemen. Fu l'eleganza innanzitutto a rivelare una nuova identità, con le tastiere elettroniche a disegnare scenari inquietanti, spiraliformi, a tratti di derivazione teutonica, come a denunciare quella componente mitteleuropea che invadeva l'animo di David Sylvian.
Qualche ingenuità non mancava, ma considerando l'età (all'epoca il nostro aveva soltanto 21 anni) dopotutto è perdonabile. Restano i capolavori: Despair, il capostipite della hyper-ballad pianistica tenebrosa ed ammaliante, In vogue, il disincanto sospinto mid-tempo autunnale-fantascentifico, The other side of life, la proto-sinfonia struggente anticipatoria delle meraviglie soliste. Dietro al leader, brillano tutti di luce propria esecutiva: un Karn eccezionale, un Barbieri polivalente per tutte le stagioni, un Jensen poliritmico, da rilevare perchè spesso sottovalutato.
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