giovedì 27 aprile 2023

Kitchens Of Distinction – The Death Of Cool (1992)


Trent'anni fa leggevo il nome dei londinesi KOD su Rumore, nei riquadri da 1/4 di pagina che erano riservati alle recensioni corte raggruppate per settori geografici o di generi settoriali. Mi incuriosivano, ma li dimenticai rapidamente. Quindic'anni fa li ascoltai per la prima volta, col secondo album Strange Free World, e lo trovai una mezza delusione per la sua monotonia di fondo. Ma nel frattempo le rivalutazioni si sono accavallate come si accavallano i corsi e ricorsi della vita, ed il loro terzo album The Death Of Cool incontra il mio favore, complice forse la passione maturata nel frattempo per i Chameleons, che mi ha aperto un mezzo mondo. La leggenda capitanata da Mark Burgess fu senza alcun dubbio un'influenza importante per i KOD, se non altro a livello compositivo/atmosferico, che proponevano però un indie-psych-shoegaze contrassegnato dall'ottima voce del bassista Fitzgerald, un ruvido-melodico di razza, e dalle stratificazioni del chitarrista Swales, un po' Sergeant degli Echo & The Bunnymen ed un po' Guthrie dei Cocteau Twins.

L'importanza del suono e della produzione prevaricano spesso le architetture, ma le buone composizioni non mancano: What Happens Now?, On Tooting Broadway Station e Gone world gone riecheggiano per l'appunto i Chameleons più lineari e baldanzosi, Mad As Snow e Blue Pedal i loro manifesti shoegaze, la finale Can't trust the wave una superba ballad che curiosamente rievoca i Church. Un disco avvolgente, da ascoltare senza pause, per un esperienza davvero atmosferica.

domenica 23 aprile 2023

Oiseaux-Tempête – Oiseaux-Tempête (2013)


Il titanico esordio del collettivo francese dai fortissimi connotati socio-geo-politici, un lunghissimo excursus (Ouroboros arriva fino a 18', altri due pezzi si aggirano ai 10', ma non è sfiancante) dai toni fatalistico-apocalittici, per certi versi affine ai Godspeed You Black Emperor di cui rappresentano una versione dimessa strumentalmente (Opening Theme, La Traverseè), senza escludere però di mostrare qualche muscolo ritmico (Kirie Eleyson. Ottimi gli spunti in dilatazione (L'Ile, Call John Carcone), fino a sfiorare una formula ispida di psych-rock senza speranza. Il limite più grande di questa musica (registrata benissimo) è semplicemente che è molto bella per chi ama il genere, ma ha una concorrenza spietata sotto la quale rischia di finire dimenticata.

mercoledì 19 aprile 2023

Japan – Tin Drum (1981)


Per me, adolescente folgorato dalla magica triade '80 di David Sylvian, i Japan hanno sempre rappresentato una dicotomia snob/seduzione, con la quale forse mi sono riappacificato poco tempo fa, completando una piena rivalutazione, soprattutto dei loro gioielli Gentlemen take polaroids e Quiet Life. Tin Drum fu l'ultimo prima dello split e rappresente forse la perfezione formale / produttiva della loro discografia, grazie anche all'operato di Steve Nye, all'epoca uno dei produttori inglesi più in voga ed in grado di esaltare il lato più world, per non dire esotico, dei Japan. Un matrimonio quasi perfetto, se non fosse che a tratti si rasenta quasi l'asetticità a scapito della spontaneità; vien da chiedersi, viste le tensioni in seno al gruppo, se fosse una conseguenza naturale.

Il basso di Karn, sempre più sinuoso e sgusciante, è il protagonista insieme alle tastiere di Barbieri. La voce di Sylvian un pochettino sotto nel mixaggio finale, le sue composizioni assortite fra esotismi e retaggio emozionale (ovviamente gli episodi migliori, l'immenso Ghosts destinato a sopravvivere negli anni, ma anche Still Life In Mobile Homes, Cantonese Boy, The Art Of Parties). Un disco altissimamente estetico, un probabile punto di non ritorno ed anche indice che Sylvian ebbe una grande intuizione; quella di tornarsene a casa e mettersi in proprio, felicemente.

sabato 15 aprile 2023

Peter Jefferies – Closed Circuit (2001)


Il disco dell'addio del grande outsider neozelandese, almeno fino al 2019 quando sono emerse un paio di raccolte di inediti e rarità assortite, molto eterogenee ma essenziali per ogni fan, e che hanno alimentato quantomeno la speranza di vederlo tornare in attività. Closed Circuit, quasi un titolo programmatico a suggellare una carriera stellare iniziata una ventina d'anni prima, a lungo vagante nel sottobosco locale e poi finalmente emersa nei '90 anche negli USA con la militanza su Emperor Jones, che gli diede la giusta visibilità. Un disco scomodo in quanto successore del suo apice sperimentale Substatic (un oggetto misterioso che disorientò anche i suoi sostenitori), un ritorno alla sua comfort zone fatta di alternanze fra velluto e carta vetrata, non all'altezza dei suoi principali capolavori ma capace di dare conferme del suo enorme talento. Certo la recriminazione resta alta: se il disco avesse beneficiato di una produzione migliore, pezzi come State of the nation (gotico atmosferico inedito), Dryest month in 100 years, Closed Circuit, Ghostwriter, Whatever you want ne avrebbero giovato. Con buona pace di SIB, il maggior sostenitore giornalistico italiano del talento di PJ, che però bolla il disco come il suo peggiore. No caro Direttore, non sono d'accordo. Quest'uomo non ha fatto un peggior disco.

martedì 11 aprile 2023

Harold Budd / Brian Eno – The Pearl (1984)


Seconda ed ultima ambient-opera per i due masters-pioneers, quattro anni dopo Ambient 2 : The Plateaux of mirror, stesso setting-up: Eno ad apparecchiare lo studio per ottenere un suono più espanso possibile e Budd seduto ad improvvisare le sue laconiche frasi di pianoforte. Questo capitolo, però, fu maggiormente soddisfacente per il californiano, che ebbe a dire che in confronto il precedente era uscito naif. 

Punti di vista. In The Pearl possiamo trovare fra le vignette più ispirate del primo Budd (The Silver Ball, Dark-eyed sister, Late October, Still Return), ma l'essenza coesiva di questo microcosmo ovattato resta integra anche dopo una moltitudine di ascolti. Perchè immancabilmente va in loop senza che neanche ce ne accorgiamo, facciamo altro, ci fermiamo e ci abbandoniamo a queste bellezze storiche, cristallizzate dal tempo, senza ritorno.

venerdì 7 aprile 2023

Remember Remember – The Quickening (2011)


Gradevole instrumental-post-rock variopinto e cinematico da parte dell'ensemble di Glasgow, qui al secondo album di un terzetto che vedrà nel successivo Forgetting the present il loro canto del cigno. Tre dischi forse corrisponde al numero perfetto per questo tipo di complessi? Per la sua natura esclusivamente strumentale, il collettivo guidato dal polistrumentista Ronald ha sviluppato tutte le proprie potenzialità espressive con perizia, c'è da ammetterlo. In The Quickening hanno espresso qualità di arrangiamento eccellenti, a fronte di composizioni rassomiglianti più a dei mantra circolari che altro. L'avvincente Unclean Powers svetta sul resto, con un crescendo quasi godspeediano, la baldanzosa John Candy strizza l'occhiolino ai God Is An Astronaut, il deliquio di Scottish Widows rimanda alle gesta cameristiche dei Balmorhea, l'evocativa One Happier una panoramica sulle brughiere britanniche, con orgoglio e delicatezza. Questa era la loro essenza: bravi in più o meno tutto, meritevoli di un ascolto, con n. 1 pezzo memorabile in ogni disco, ma sempre di una categoria inferiore.

lunedì 3 aprile 2023

Gong – Flying Teapot (Radio Gnome Invisible Part 1) (1973)


Due anni dopo il fulminante esordio di Camembert Electrique, Daevid Allen si ripresentò con una line-up rivoluzionata e forse più dotata tecnicamente, per dare forma alla Teiera Volante, primo tassello di una trilogia completata nei 2 anni a seguire. Sebbene sia di gran lunga il disco più famoso e celebrato dei Gong, io lo ritengo leggermente inferiore all'esordio, in parte per una maggiore professionalità che andò a scapito delle atmosfere, in parte per le scelte di arrangiamento (troppo sax, passaggi un po' narcisisti ai limiti del jazz-rock). Siamo comunque a livelli ancora molto alti, grazie ai due pilastri della scaletta: la title-track, una cavalcata space-funk che conquista sulla lunga distanza e soprattutto Zero The Hero And The Witch's Spell, che rilancia le geniali invenzioni del precedente con un allucinato e surreale psych-vaudeville pieno di sorprese ad ogni angolo.