Trent'anni fa leggevo il nome dei londinesi KOD su Rumore, nei riquadri da 1/4 di pagina che erano riservati alle recensioni corte raggruppate per settori geografici o di generi settoriali. Mi incuriosivano, ma li dimenticai rapidamente. Quindic'anni fa li ascoltai per la prima volta, col secondo album Strange Free World, e lo trovai una mezza delusione per la sua monotonia di fondo. Ma nel frattempo le rivalutazioni si sono accavallate come si accavallano i corsi e ricorsi della vita, ed il loro terzo album The Death Of Cool incontra il mio favore, complice forse la passione maturata nel frattempo per i Chameleons, che mi ha aperto un mezzo mondo. La leggenda capitanata da Mark Burgess fu senza alcun dubbio un'influenza importante per i KOD, se non altro a livello compositivo/atmosferico, che proponevano però un indie-psych-shoegaze contrassegnato dall'ottima voce del bassista Fitzgerald, un ruvido-melodico di razza, e dalle stratificazioni del chitarrista Swales, un po' Sergeant degli Echo & The Bunnymen ed un po' Guthrie dei Cocteau Twins.
L'importanza del suono e della produzione prevaricano spesso le architetture, ma le buone composizioni non mancano: What Happens Now?, On Tooting Broadway Station e Gone world gone riecheggiano per l'appunto i Chameleons più lineari e baldanzosi, Mad As Snow e Blue Pedal i loro manifesti shoegaze, la finale Can't trust the wave una superba ballad che curiosamente rievoca i Church. Un disco avvolgente, da ascoltare senza pause, per un esperienza davvero atmosferica.